Il gender gap è un problema in Italia che riguarda ogni settore. Lo dicono i numeri. Le donne che lavorano sono solo il 48,8% del totale. Molto lontano dal 66,8% degli uomini. Soltanto il 25% tra dirigenti e imprenditori è donna il che ci pone al penultimo posto in Europa. Anche sugli stipendi, in base all'ultimo rapporto sul gender gap salariale della Commissione Europea, il differenziale uomo-donna sulla paga oraria lorda in Italia è fra i più bassi dell'Unione: il 5,3% contro una media dell'Europa a 28 del 16,2%. Ma i dati choc sono molti. Nell'ultima rilevazione disponibile sono circa 30mila ogni anno le donne che rassegnano le dimissioni dal lavoro a seguito di una maternità. Nell'ambito di questi dati a tinte fosche, lo sport non fa differenza, anche se, finalmente, qualcosa si muove. Secondo il rapporto sulle politiche di genere 2021 dell'Uisp, negli ultimi 30 anni la pratica sportiva nel nostro Paese è cresciuta grazie anche alla presenza delle donne e alla richiesta di una nuova proposta sportiva più flessibile. Eppure già con l'adolescenza inizia un calo della pratica sportiva femminile che culmina con un divario enorme tra i 18/20 anni. La scelta delle attività rispecchia ancora le peculiarità tradizionalmente associati ai concetti di uomo e di donna. Nei confronti delle atlete che maggiormente sfidano i confini simbolici del genere, praticando attività tipicamente maschili, viene spesso messa in discussione la femminilità, così come stentano ad affermarsi versioni maschili di sport che richiedono caratteristiche distanti rispetto alla maschilità tradizionale.
«Per promuovere pari opportunità e contrastare discriminazioni nello sport occorre partire dalle donne – spiega Manuela Claysset, responsabile politiche di genere e diritti dell'Uisp – Nonostante il divario ed i problemi di abbandono enorme è l'incremento nella pratica sportiva delle donne. Le Federazioni hanno riconosciuto discipline da sempre patrimonio dei maschi come il calcio, il rugby in molti casi grazie soprattutto al pressing di enti di promozione sportiva, soprattutto l'Uisp, che per prima ha creato occasioni di pratica al femminile per queste discipline». Le ultime nomine Coni hanno portato le consigliere nelle federazioni da 50 a 120, con le donne elette o nominate vice-presidenti che sono diventate 13. Un primo passo ma la strada è ancora lunga. «Il Cio ha obbligato i comitati olimpici dei vari Paesi a rispettare delle quote. Basti pensare che le prime donne sono entrate nel 1981 prima erano solo uomini… Con una maggiore presenza di donne si possono inserire competenze più attente e diverse. Lo dimostrano le grandi aziende dove sono state inserite più donne nei consigli direttivi: i risultati delle performance sono migliorati». Per quanto riguarda lo sport, la battaglia per la parità è differente. «Il mondo dello sport resta un mondo difficile, faticoso e ancora molto chiuso. Siamo un paese molto sedentario e per crescere servono scelte pubbliche importanti. Bisogna capire bene quali azioni mettere in campo per le donne ed è la politica chiamata a fare scelte per dare diritti e fornire tutele garantite. Noi cerchiamo di dare l'esempio: nel consiglio nazionale Uisp le donne sono già il 40%».
Manuela Claysset, Uisp: «Gender gap, la strada è giusta ma ancora lunga»
