martedì, 23 Aprile 2024

SIMONTACCHI, BonelliErede: «IL BRAND MADE IN ITALY ATTRAE INVESTIMENTI, SIAMO AFFIDABILI. MA PER RIPARTIRE DOBBIAMO PUNTARE VERSO ALTRI MERCATI, COME AFRICA E CINA»

Nella competizione economica globale i confini di investimento si allungano ad Asia e Africa. Per questo è necessario guardare a nuove sfide, dalla tecnologia a nuovi accordi commerciali, puntando a una visione ampia per progetti a lungo termine. «C’è bisogno di un vero e proprio piano strategico di medio lungo termine (Vision Italia 2030) che indichi la rotta verso l’Italia che vogliamo essere», dice Stefano Simontacchi, Presidente di BonelliErede, studio legale di fama internazionale.
Al netto del sollievo per i fondi europei e gli investimenti privati in arrivo, infatti, se non ci sarà una svolta internazionale nel nostro Paese resteranno i limiti emersi violentemente in questo periodo complicato, dalla digitalizzazione alle infrastrutture, che ci fanno correre verso un adeguamento inderogabile. L’instabilità politica non ci ha aiutati con il tempismo per un piano strategico di uscita dalla pandemia, che adesso sembra avviato ma con qualche punto ancora da limare: per esempio la gestione delle riaperture o i Ristori, che hanno creato molti mal di pancia.

Siamo partiti in ritardo rispetto agli altri, accusano in molti: per stare al passo, quali sono gli interventi più urgenti?

«La crisi legata alla pandemia ha avuto una portata globale e sistemica, toccando tutti gli aspetti della vita: sanitario, sociale, ambientale, economico, ecc. Questo ci ha messo – come persone, come società e come nazioni – inesorabilmente a confronto  con i nostri limiti, innescando così la possibilità di fare ricorso alle risorse per affrontare un cambiamento. Non c’è dubbio che le riforme siano un requisito essenziale per finalmente avere un indirizzo strategico che possa tradursi in azioni efficaci. Burocrazia, giustizia, fisco, infrastrutture e istruzione sono senza dubbio prioritarie.
Ma vanno affrontate con i giusti tempi e, soprattutto, avendo come riferimento una direzione. Altrimenti, avremo perso l’ennesima occasione. Valorizziamo i nostri punti di forza al fine di stimolare e sostenere gli investimenti, in particolare quelli esteri, che sono e saranno sempre di più un grande driver di crescita, insieme all’export e all’internazionalizzazione delle aziende italiane.
Tra i punti di forza per attrarre investimenti spiccano il nostro posizionamento geografico al centro del Mediterraneo, la forza lavoro qualificata in diversi settori del Made in Italy e ambiti competitivi come quello aerospaziale e farmaceutico. In questo ambito, è di rilievo il lavoro della cabina di regia per l’attrazione degli investimenti: abbiamo bisogno di valorizzare in modo adeguato il nostro Paese nel contesto internazionale Inoltre, non sono così convinto che siamo partiti in ritardo, anzi siamo stati il primo Paese occidentale che ha subito e affrontato l’attacco del virus e lo abbiamo fatto in modo più rigoroso e responsabile degli altri.
Con il “senno del poi” si può sempre fare meglio, ma è emersa ed è in atto una grande coesione nell’affrontare le ondate, le varianti e tutte le evoluzioni di un virus appunto “sconosciuto”. Ad oggi abbiamo piani di vaccinazione e aperture con timeline ben definite, che cambiano e si aggiornano in funzione dell’andamento dei contagi e del progredire del virus».

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A che punto è l’internazionalizzazione delle aziende italiane, quali sono i Paesi più favorevoli ad accoglierci?

«Per molti anni, il processo di internazionalizzazione delle imprese italiane è stato principalmente appannaggio di grandi gruppi, mentre le PMI hanno preferito operare solo in Italia o concentrarsi sull’export, eventualmente facendo ricorso ad agenti e distributori locali. Solo una quota minoritaria di PMI ha optato per investimenti diretti e su questo siamo indietro rispetto ad altri Paesi europei, in primis Francia e Germania. Cruciale da questo punto di vista è il grande lavoro che sta svolgendo il Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale con il presidio delle nostre Ambasciate e Consolati.
Come ho più volte menzionato, l’Africa e il Mediterraneo costituiscono l’area su cui l’Italia dovrebbe puntare con una strategia di posizionamento come hub internazionale degli investimenti diretti in loco. L’Africa offre enormi opportunità alle imprese italiane: già da anni e ancor più nei prossimi decenni, il continente rappresenta l’area del mondo con più forte sviluppo e l’impatto del Covid-19 è stato minore che in altre aree del mondo. La crescita è alimentata da un sempre maggiore orientamento dei governi locali a promuovere e facilitare gli investimenti internazionali e noi, come italiani, abbiamo un vantaggio competitivo nel continente grazie alla prossimità geografica, culturale e ai rapporti politico-governativi con svariati Paesi di questa regione».

Quali sono invece gli ostacoli più alti da superare?

«Ce ne sono diversi, soprattutto – come naturale – per le PMI che devono attivare un processo di trasformazione organizzativo e culturale per affrontare il complesso percorso dell’internazionalizzazione. Tuttavia, in taluni casi questi ostacoli diventano in realtà opportunità per le nostre imprese. In primis, a seconda dei Paesi, possono sorgere complessità nel reperire risorse locali qualificate o nel trovare il giusto partner locale: è essenziale un investimento strategico-organizzativo da parte dell’impresa che coniughi le esigenze di breve termine con una visione a medio-lungo, che preveda la formazione di risorse e partner locali per il successo futuro.
In aggiunta, le pratiche burocratiche necessarie per ottenere licenze e permessi possono costituire un ostacolo perché non sono sempre agevoli e preventivabili: in Africa ad esempio il miglioramento su questo aspetto è stato tangibile, come testimoniano recenti analisi della World Bank. Sempre in tema Africa, il continente presenta in media forti carenze infrastrutturali nel settore dei trasporti e delle costruzioni e ciò costituisce al tempo stesso una difficoltà per le imprese che investono, ma anche un’opportunità di business per le aziende che operano in questi settori e nell’indotto.
Un fattore chiave di facilitazione per le realtà interessate nel percorso di internazionalizzazione per arrivare alla capacità di “fare sistema” tra istituzioni, associazioni di categoria e singole imprese: un approccio “istituzionale” organico e coordinato (es. missioni settoriali, finanziamenti agevolati…) è essenziale e, da questo punto di vista, il Governo italiano sta andando nella giusta direzione con le iniziative dell’ultimo anno tra cui il Patto per l’Export».

La stagflazione preoccupa: le misure di ripartenza basteranno a rendere armonico il futuro economico e finanziario o c’è il rischio che proceda su binari separati?

«Qualsiasi misura sarà efficace se all’interno di una chiara visione strategica a medio lungo termine (Vision Italia 2030), di cui il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) è solo una parte.  Le misure devono inoltre prevedere chiarezza delle regole, tempestività nell’attuazione e qualità delle decisioni, oltre a trasparenza nell’avanzamento dei lavori. Tutti fattori fondamentali per (ri)generare la fiducia dei cittadini-consumatori verso le istituzioni, verso la ripresa economica e verso il nostro Paese in generale.
A sua volta, come ben ci insegna Keynes, si attiverà il circolo virtuoso di stabilità e crescita grazie alle aspettative. Infatti sono le aspettative il vero motore dell’attività economica e in particolare dell’attività imprenditoriale. Secondo Keynes l’andamento effettivo delle variabili economiche non è il vero parametro di interesse per gli imprenditori: ciò che è rilevante è l’eventuale discrepanza fra aspettativa (si potrebbe dire valore atteso delle variabili ex-ante) e valore effettivo (si potrebbe dire realizzazione ex-post). Nella misura in cui esista una discrepanza, le persone sono indotte a rivedere le proprie aspettative e quindi le proprie decisioni, in modo più o meno radicale, viceversa si verificherà una stabilità delle scelte».

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Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, e Mario Draghi, presidente del Consiglio

Nel PNRR si parla di riforma fiscale, i cui punti dovrebbero essere la creazione di un codice unico di riferimento e una revisione delle aliquote IRPEF: la pressione fiscale da noi è maggiore della media europea e dell’OECD…

«Il PNRR evidenzia quattro ambiti di intervento: (i) la raccolta e razionalizzazione della legislazione fiscale in un unico Codice tributario; (ii) la possibile revisione dell’IRPEF per ridurre il carico fiscale preservando la progressività e l’equilibrio dei conti pubblici; (iii) il potenziamento dell’operatività dell’Agenzia delle Entrate nella parte relativa all’azione di contrasto all’evasione fiscale; (iv) l’efficientamento del sistema della riscossione. Nel corso degli anni nel nostro Paese si è registrata una sempre più marcata frammentazione della legislazione tributaria, da cui è derivato un sistema fiscale articolato e complesso.
Il Codice tributario unico rappresenta uno strumento ineludibile per garantire un contesto di fiducia per tutti gli investitori. Per quanto riguarda la proposta di riforma dell’IRPEF, si tratta sicuramente di un intervento necessario al fine di rendere il sistema maggiormente progressivo e allineato ai principi di capacità contributiva.  Tuttavia, un serio progetto di riforma fiscale dovrebbe fondarsi su una visione di lungo periodo e dovrebbe abbracciare diversi interventi funzionali alla progettualità e agli obiettivi prefissati. Se si insistesse nel perseguimento di obiettivi specifici di riforma del sistema tributario non coordinati con una visione complessiva si rischierebbe, da un lato, di rendere ancora più complesso il sistema tributario esistente e, dall’altro, di perdere l’occasione per utilizzare la leva fiscale ai fini del rilancio del Paese».

Guardando alle Borse, le cryptovalute attirano opinioni contrastanti: sono croce o delizia dei nostri mercati?

«Le cryptovalute sono un fenomeno che andrebbe inquadrato strategicamente (in che direzione si vuole andare rispetto ai sistemi di pagamento) e conseguentemente regolato. È quantomeno singolare che pagamenti che avvengono in via telematica – e quindi tracciabili per definizione – siano completamente fuori da qualsiasi controllo e tracciabilità. È uno degli esempi che dimostra come in una dimensione globale della società e dell’economia solo risposte coordinate e globali possono avere efficacia».

Da esperto di tematiche legate alla capacità di intercettare investimenti esteri, ritiene che oggi l’Italia possa essere affidabile agli occhi degli interlocutori stranieri?

«Ci sono diversi indici che ci confermano l’affidabilità del nostro Paese per un investitore straniero.  Secondo il Kerney FDI Confidence Index 2021 (survey che vede coinvolti annualmente global business executives che posizionano i Paesi in funzione della loro capacità di attrarre investimenti nei successivi 3 anni), l’Italia si colloca all’ottavo posto tra le economie più attrattive, in aumento di una posizione rispetto al 2020. E ancora il Global Attractiveness Index 2020 di The European House – Ambrosetti, posiziona l’Italia al 18esimo posto, su 144 Paesi analizzati, tra le economie a buona attrattività (in netto miglioramento rispetto la 25esima posizione del 2017). Quindi, nonostante alcune criticità legate alla burocrazia interna, è innegabile la forza del “brand” Made in Italy, che continua a suscitare interesse e quindi attrarre investimenti».

Nel numero scorso de Il Bollettino l’ambasciatore del Marocco Youssef ci ha raccontato la realtà green del Paese Africano: investono da tempo in sostenibilità e sono leader mondiali nel settore delle energie rinnovabili. Grazie a questo, e a riforme regolamentari, richiamano al lavoro in Patria gli ex cervelli in fuga. Una realtà che fa riflettere: da noi la burocrazia sembra scoraggiare chi vuole investire in rinnovabili (leggi qui l’intervista e qui l’approfondimento)

«Senza dubbio, i tempi per ottenere le autorizzazioni per gli impianti di energie rinnovabili in Italia sono molto, troppo elevati e questo causa ritardi o addirittura il blocco degli investimenti. Tuttavia, l’istituzione di un ministero dedicato alla transizione ecologica va proprio nella direzione della semplificazione normativa e quindi la linea di sviluppo per il futuro è tracciata. In aggiunta, nel documento conclusivo della Cabina di Regia per l’Internazionalizzazione redatto ad Aprile 2021, è stata formalizzata la necessità di consolidare una sempre più ampia ed efficace offerta nazionale di investimento da comunicare agli investitori esteri, e tra le diverse macro-aree di intervento la prima è proprio la transizione energetica, che include energie rinnovabili, efficienza energetica, economia circolare ed idrogeno.
Riallacciandomi al caso del Marocco, e più in generale dell’Africa, non vi è dubbio che il continente sia ottimamente posizionato per cogliere le opportunità future connesse alla crescita delle energie rinnovabili, grazie alla smisurata disponibilità di fonti rinnovabili (solare, eolico) e di materie prima per tecnologie critiche per il mondo delle rinnovabili (cobalto usato per le batterie, platino usato per le celle ad idrogeno), e quindi una partnership rafforzata tra l’Italia e il continente, che auspico da tempo, potrebbe permettere alle nostre imprese di cogliere opportunità in questo campo anche in Africa».

L’obiettivo più grande dell’amministrazione di Joe Biden al recente vertice Nato è stato ricompattare il fronte europeo contro la Cina. Il presidente si è detto tranquillo nei confronti dell’Italia…

«Sì, dopo qualche anno di tensioni e provocazioni durante la presidenza Trump, Stati Uniti ed Europa sembrano essersi riavvicinate ed è significativo che il primo viaggio estero di Biden dal suo insediamento sia proprio stato un tour europeo e che, contestualmente, sia stata siglata una “tregua” in relazione alla disputa che durava da 17 anni, la più lunga nella storia del WTO, sugli aiuti di Stato erogati rispettivamente a Boeing e Airbus. Sin dai suoi primi giorni alla guida dell’amministrazione americana, il presidente ha chiarito che anche lui come Trump considera la Cina un rivale strategico, dal punto di vista commerciale, ma soprattutto dell’innovazione tecnologica.
L’Europa, e più in generale la NATO, concorda che occorre affrontare le sfide che l’ascesa della Cina pone alla sicurezza globale, tuttavia l’Europa, e tantomeno l’Italia, non vuole una nuova “guerra fredda” con la Cina. Tra Stati Uniti e Italia c’è la volontà di rafforzare le già profonde relazioni bilaterali sulla scia dell’approccio dichiaratamente positivo di Biden in merito al ruolo dei rapporti “transatlantici”, che sono ancora un cardine della politica estera USA, Non dimentichiamo che il Ministro Di Maio è stato il primo ad essere ricevuto dal Segretario di Stato americano dopo l’elezione di Boden. Biden ha anche speso parole di elogio verso l’Italia, in particolare per il ruolo giocato sulla stabilizzazione della Libia e in connessione all’impegno dell’Italia come presidente di turno del G20».

La Cina intanto si espande, compra un territorio in Sierra Leone per 55 milioni e costruisce un nuovo porto. In Italia e nel Mediterraneo ha un piede in molti hub e, dopo il Golden power di Draghi contro Pechino di aprile, ora i due Paesi tornano a dialogare: «Siamo pronti a collaborare nei campi del commercio, degli investimenti, dell’energia e del clima», ha detto Li Keqiang, primo ministro di Pechino. In Borsa si guarda al Paese asiatico, lei che visione ha?

«Le relazioni tra Cina ed Europa, e dunque Italia, in questo frangente storico sono piuttosto delicate: in particolare, 3 iniziative hanno messo in stand-by gli investimenti cinesi in Europa ed Italia, ovvero 1) la decisione della Commissione Europea di sospendere a maggio i negoziati per l’accordo bilaterale sugli investimenti, che era stato firmato a Dicembre 2020; 2) l’introduzione a livello comunitario di una proposta per bloccare le sovvenzioni alle aziende da parte di governi di Paesi terzi, e 3) l’utilizzo, da parte di Draghi, del “golden power” in merito all’acquisizione da parte di un’azienda cinese di un player italiano del settore dei semiconduttori. La Cina si aspetta che l’Italia assuma un ruolo di leader in ambito all’Europa per riprendere i negoziati per l’accordo sugli investimenti e per sviluppare le relazioni.
E anche per l’Italia, la Cina può essere un partner fondamentale: Draghi punta a rafforzare e rendere più equi i rapporti economico-commerciali bilaterali affrontando efficacemente i temi su cui restano ancora differenze di opinione. A latere di tutto ciò, il mercato cinese rimane in costante crescita su tutti i punti di vista (innovazione tecnologica, finanza, consumi) anche post-Covid-19, al contrario di ’Europa e Stati Uniti. A differenza del “reshoring” che coinvolge i produttori americani in Cina, per gli operatori italiani il mercato cinese è – e sarà – sempre più centrale ed esiste una possibilità per le aziende nostrane di poter collaborare su questa crescita su mercati “terzi”, compatibilmente con gli equilibri geopolitici».

Che cosa accadrà, dunque, nelle relazioni geoeconomiche?

«La Cina continuerà a importare prodotti e ad attrarre investimenti italiani in misura crescente. Meno evidenti sono i tempi e i modi della possibile ripresa degli investimenti diretti del colosso asiatico in Italia, attualmente in stallo, ma che comunque penso siano da accogliere con grande favore, almeno quando non riguardino direttamente settori strategici».

Direttore de il Bollettino dal 2020, giornalista dal 1998. Dopo esperienze nel campo musicale e culturale, mi sono occupata di attualità, politica ed economia in radio, tv e carta stampata. Oggi dirigo un giornale storico, del quale ho fatto un completo restyling e che vede coinvolta una redazione dinamica e capace: ho la stessa passione del primo giorno, ma con un po’ di esperienza in più.