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sabato, 10 Giugno 2023

Lavoro: +560.000 nuovi posti nel biennio 2020-2021

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Nel 2021 l'andamento delle posizioni di alle dipendenze si è rafforzato: da giugno il numero di attivati è tornato sui livelli prevalenti prima dello scoppio della pandemia e, negli ultimi mesi dell'anno, ha quasi raggiunto il sentiero di crescita che si sarebbe registrato se l'evoluzione della domanda di lavoro si fosse mantenuta, anche durante l', sugli stessi ritmi del periodo 2018-19. Nel complesso del 2020-21 sono stati infatti attivati, al netto delle cessazioni, circa 560.000 nuovi posti di lavoro alle dipendenze, rispetto ai 605.000 del biennio precedente. La dinamica beneficia tuttavia del basso numero di cessazioni, ancora contenuto dal ricorso diffuso agli strumenti emergenziali di integrazione salariale, di cui è previsto il graduale superamento nel 2022.

Nell'anno appena concluso la creazione di posti di lavoro è stata sostenuta soprattutto dai contratti a tempo determinato (365.000 su circa 597.000 posti di lavoro). Agli andamenti complessivi del 2022 contribuirà pure la capacità del sistema produttivo di preservare tali posizioni, molte delle quali sono giunte a il 31 dicembre del 2021. Anche il saldo delle posizioni permanenti è cresciuto, seppur a ritmi più moderati: nel primo semestre, a fronte della debolezza delle attivazioni, il miglioramento è stato determinato esclusivamente dal numero contenuto di cessazioni. Nella seconda parte dell'anno, invece, alla dinamica dell' di tipo stabile ha contribuito anche la ripresa delle assunzioni e delle trasformazioni, che in autunno hanno superato i livelli pre-pandemici. Da luglio l'incremento delle dimissioni ha sospinto il numero delle cessazioni. I licenziamenti sono invece rimasti su livelli mediamente modesti (27.000 contratti cessati ogni mese con questa causale nella media del 2021, circa il 40 per cento in meno rispetto al 2019); gli incrementi registrati nei mesi immediatamente successivi alla rimozione dei vari blocchi (30 giugno per l'industria, ad eccezione del comparto tessile e dell'abbigliamento; 31 ottobre per tutti gli altri comparti) appaiono avere natura temporanea e verosimilmente riflettono esuberi già previsti nei mesi precedenti.

Nell'industria la marcata accelerazione delle costruzioni ha compensato il rallentamento della manifattura che, pur non registrando significative perdite occupazionali, non è ancora tornata sullo stesso sentiero di crescita che aveva, in media, nei due anni prima della pandemia. Nonostante la ripresa nei mesi primaverili ed estivi, rimangono ampi i margini di recupero nel turismo, che era significativamente cresciuto prima dell'emergenza sanitaria.

La ripresa del 2021 ha favorito l'occupazione maschile, tornata sul sentiero di crescita del 2018-19; rimangono ancora ampi i margini di recupero per quella femminile il cui andamento mostrava segnali di relativa debolezza già prima dell'emergenza sanitaria. Le lavoratrici continuano inoltre ad essere penalizzate da una minore domanda di lavoro di tipo permanente: nonostante rappresentino circa il 42 per cento della forza lavoro, incidono solo per un terzo sul saldo delle posizioni a tempo indeterminato.

Nelle regioni centro-settentrionali l'occupazione alle dipendenze non ha ancora completamente recuperato gli andamenti, sostenuti, del 2018-19; la ripresa si è tuttavia rafforzata nella seconda metà dell'anno quando è cresciuta la domanda di lavoro stabile. Il Mezzogiorno ha risentito in misura più limitata dell'emergenza sanitaria: nella media del periodo 2020-21, il Sud e le Isole hanno registrato tassi di crescita superiori a quelli, molto contenuti, del biennio precedente. Il miglioramento riflette però esclusivamente il calo delle cessazioni determinato dalle misure governative (blocco dei licenziamenti, estensione degli strumenti di integrazione salariale), che hanno prolungato la durata effettiva dei contratti, generalmente inferiore in queste aree. Le assunzioni a tempo indeterminato continuano a crescere più lentamente rispetto al Centro Nord.

Il tasso di pubblicato mensilmente dall'Istat è stimato a partire dai dati della Rilevazione sulle Forze di Lavoro (RFL), un'ampia indagine di natura campionaria. Sulla base di una definizione standardizzata elaborata dall'Eurostat, compatibile con i criteri dell'International Labour Office (ILO), gli individui vengono classificati come disoccupati se sono privi di un impiego, dichiarano di cercarlo attivamente e di essere disponibili immediatamente a lavorare. Accanto a questa misura statistica fissata in base a una nozione economica di disoccupazione, in molti paesi ne esiste una seconda che ricorre ai dati di natura amministrativa e identifica i disoccupati con le persone destinatarie di interventi pubblici di sostegno al reddito o di supporto all'attività di ricerca di un impiego. Le due misure di disoccupazione risultano complementari: il numero di disoccupati statistici, escludendo coloro che non cercano attivamente lavoro per scelta, mira a valutare i margini produttivi inutilizzati e le potenziali tensioni sul del lavoro; i disoccupati amministrativi sono invece identificati secondo una condizione oggettiva che risente tuttavia della disponibilità delle politiche di sostegno e della scelta dei potenziali beneficiari di aderirvi. In Italia, dal punto di vista amministrativo, la condizione di disoccupato è attestata dalla Dichiarazione di Immediata Disponibilità al lavoro (DID). Il documento, che può essere rilasciato on-line o in presenza presso uno dei Centri per l'Impiego (CPI), è necessario per accedere ai servizi pubblici di reinserimento nel mercato del lavoro offerti dai CPI o ad alcune prestazioni di sostegno al reddito, come le indennità di disoccupazione (NASpI, DIS-COLL) e di recente il Reddito di Cittadinanza (RdC). L'uscita, temporanea o definitiva, dalla condizione di disoccupazione amministrativa coincide con la sospensione o la revoca della DID, che avviene in caso di nuovo impiego di durata rispettivamente inferiore o almeno pari a sei mesi. I dati amministrativi non risentono direttamente dell'eventuale interruzione dell'attività di ricerca: se un individuo smette di cercare un impiego ad esempio perché scoraggiato circa la possibilità di trovarne uno, anche se non è più rilevato come disoccupato in senso statistico, può risultare ancora disoccupato in senso amministrativo se la sua DID rimane valida. I flussi giornalieri raccolti ed elaborati dall'ANPAL permettono di definire i saldi tra ingressi e uscite dalla disoccupazione amministrativa, arricchendo la base informativa utile per una tempestiva analisi degli andamenti del mercato del lavoro. Nel 2019 il numero di disoccupati amministrativi ha risentito anche del rilascio di DID connesse con l'erogazione del Reddito di Cittadinanza, introdotto nel mese di marzo. Durante la prima ondata pandemica l'interruzione dell'attività di ricerca di un impiego si è tradotta in un calo della disoccupazione rilevata dalle indagini campionarie dell'Istat, ma non ha inciso sul numero di DID valide. Nel corso del 2021 l'andamento delle due serie è stato invece relativamente simile.

La dinamica delle DID è tipicamente caratterizzata da un'alta stagionalità che riflette quella dei flussi occupazionali: a una flessione nella prima parte dell'anno, contestuale all'attivazione di nuove posizioni lavorative, segue una risalita in autunno quando molti contratti giungono al termine. Nel 2021, tra il 1° gennaio e il 30 novembre il numero di disoccupati amministrativi si è ridotto di circa 356.000 unità (solo -57.000 nel 2019 e -37.000 nel 2020). L'entità del calo riflette in parte il riassorbimento di lavoratori precedentemente usciti dal mercato del lavoro, ma soprattutto il minore numero di persone che sono entrate nello stato di disoccupazione per la prima volta o dopo aver perso un lavoro a tempo indeterminato. La dinamica, che si associa a una partecipazione al mercato del lavoro ancora inferiore rispetto ai livelli pre-pandemici, ha interessato in maniera sostanzialmente analoga gli uomini e le donne.

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