Politici, economisti e analisti per una volta sono d'accordo: i fondi del PNRR rappresentano un'occasione unica per l'Italia. Tante le opportunità ma tantissimi, soprattutto, gli errori da non ripetere. «Dal 2014 al 2020 ben 46 miliardi di euro su 72,5 messi a disposizione dalla Comunità Europea non sono stati spesi. Guai a correre un rischio simile con i fondi del PNRR», spiega Marco Valerio Morelli, Presidente di Assoconsult, l'associazione che raggruppa le imprese di management consulting italiane e internazionali che operano nel nostro Paese.
Per sfruttare al meglio queste risorse, vi candidate a un ruolo chiave
«I fondi non vengono spesi a dovere perché non ci sono le competenze giuste all'interno della Pubblica Amministrazione. È il motivo per cui siamo adesso in contatto con i vari ministri, per metterci a disposizione come associazione per supportare questa prima fase. Perché un approccio di project management metterebbe in condizione queste strutture ministeriali di essere un po' più veloci nel riuscire a organizzare il trasferimento di queste risorse».
L'esperienza del privato nel settore pubblico. La vostra idea è un nuovo modello di pubblica amministrazione
«Assolutamente sì. Dipenderà dal lavoro del Governo. Certo che l'ingaggio che la consulenza ha sulla PA in Europa è maggiore rispetto a noi. Germania, Inghilterra ma anche Spagna e Francia. Se si dovesse aprire al mercato la possibilità di mettere in condizioni la PA di farsi aiutare un po' di più dalle aziende, è chiaro che ne risentirebbe in positivo tutto il sistema. Già adesso il Governo sta facendo una lotta alla carta senza precedenti, per rendere il più possibile digitale quello che nella stragrande maggior parte dei Paesi europei già lo è, mentre noi siamo ancora a carta e penna… Dipendesse da noi innovazione sarebbe una parola che va di pari passo con consulenza».
Nello specifico, che cosa fare di tutti questi soldi?
«Innovare il sistema Paese è necessario e fondamentale, quasi scontato, ma alla fine anche con i passati provvedimenti si sono messe le imprese nella condizione di potersi aggiornare, comprare il capannone o il nuovo macchinario e ampliare il mercato, ma poi si rimaneva deboli sull'avere il know how e le competenze per poter stare aggiornati con ciò che si era comprato. A che serve avere uno strumento all'avanguardia se non si sa come sfruttarlo? Riuscire a coinvolgere la consulenza, che poi significa anche fare tanta formazione, può mettere in condizioni le imprese o le aziende che usufruiscono di questi fondi di utilizzarli al meglio anche in ottica di prospettiva, non solo nel momento».
Qual è la cosa da non fare invece?
«La vera insidia è il tempo. Non bisogna perderne. I bandi, e così anche gli accordi quadro per come sono strutturati adesso, hanno delle tempistiche molto lunghe che rischiano di farci perdere tempo. L'idea è quella di riuscire a velocizzare tutto, per esempio utilizzando per i bandi un elenco merceologico dei servizi di cui le aziende potrebbero aver bisogno già standardizzato, così da partecipare e avere subito i servizi richiesti. Se continuiamo con lo stesso format si perde un sacco di tempo, bisogna alleggerire».
Per evitare di scontrarsi sul solito scoglio chiamato burocrazia…
«Le persone che oggi sono ai posti e sembrano sicuramente più preparate adeguate e competenti. A volte nel passato anche offendo collaborazioni gratis si finiva in un imbuto ideologico, farsi aiutare da Confindustria veniva visto in maniera negativa. Adesso ci sembra che davvero le persone giuste siano nei posti giusti e quindi anche questo piano che sta arrivando potrebbe finalmente portare a una svolta decisiva».
Quanto incideranno questi fondi per il vostro comparto?
«Noi abbiamo stimato che tra PNRR e fondi strutturali, il settore ne prenderà il 4 o 5%, questo significa per noi una crescita vicina al 20% annuo grazie a circa 3 miliardi di euro l'anno. Questo significa molta più professionalità da inserire nel mondo del lavoro. Ci sono circa 3000, 3500 laureati ogni anno che potrebbero venire occupati nel settore ma dall'anno prossimo aumenteranno sicuramente».
Un settore importante, con un fatturato di oltre 5 miliardi di euro più di 50mila addetti.
«Sono numeri importanti ma potenzialmente in difetto. All'interno di Assoconsult possono tranquillamente convergere anche la società che fanno consulenza ambientale, sul lavoro, legale. Nell'ultimo anno abbiamo avuto 40 nuovi ingressi, quasi il 25% in più di associati. L'obiettivo è quello di far crescere un settore terziario avanzato anche dentro Confindustria con una spinta propulsiva che possa profittare bene di questi cinque anni di PNRR».
Ma qual è la mission specifica della consulenza?
«Il mondo della consulenza negli ultimi dieci anni è cambiato tantissimo, basti pensare alla digital transformation. Se si mette insieme anche alla parola informatizzazione si capisce come l'intero mercato, specie in Italia, ha dovuto aggiornarsi. Non si tratta più della consulenza aziendale tipica di fine anni '90, oggi è tutt'altro. È cresciuta nei servizi che può dare e nell'assistenza che può fornire. Un settore che è cresciuto mediamente del 7% all'anno negli ultimi 10 anni, e dopo la battuta di arresto del Covid-19 già quest'anno ha ripreso a correre. È un settore in grandissima salute perché dove c'è una necessità di adeguarsi, allinearsi, aggiornarsi o anche semplicemente crescere il ruolo del consulente è ormai fondamentale».
Cresce la consulenza. Perché in Italia siamo ignoranti o perché abbiamo voglia di migliorare?
«Sicuramente per la seconda ragione. Per il semplice motivo che la consulenza, in quanto tale, genera il capitale umano che di per sé è sempre un qualcosa che si innova, si aggiorna e si perfeziona. Quindi di conseguenza porta tutto questo innovamento, questo perfezionamento e questo aggiornamento nelle società clienti per le quali si è chiamati a lavorare. È una cosa naturale. Trovi e quello che fa internazionalizzazione quello che fa innovazione quello che fa strategia in ogni settore della filiera produttiva di un Paese che ha comunque sempre bisogno di consulenza per fare un upgrade».
Chi è il soggetto tipo che chiede consulenza?
«Chiunque faccia impresa. Si va dalle grandi partecipate, fino al manifatturiero di dettaglio dell'ufficio periferico che sa fare solo un prodotto specifico ma che ha bisogno di un consulente per internazionalizzare il commercio e aggiornare la propria filiera produttiva».
Un futuro roseo, quindi
«Dalle università arrivano ragazzi sempre più preparati, il problema è semmai che abbiamo meno appeal di qualche anno fa perché il settore è cresciuto tanto ma gli stipendi no. Per questo i giovanissimi plurilaureati o con master e con curricula molto validi cominciano a guardarsi anche intorno, tra le big di Internet. Alcuni tornano al finance e con noi fanno un po' più fatica ma su questo ci stiamo attrezzando e siamo convinti che torneremo competitivi».
A patto che i fondi vengano utilizzati bene…
«Anche per questo ci siamo messi a disposizione del governo. C'è grande entusiasmo, voglia di fare squadra e sfruttare al meglio questa opportunità». ©
Mariano Boero