Abbonati
domenica, 10 Dicembre 2023

Mosca rischia il fallimento, Nabiullina (CBR): «Necessari cambiamenti strutturali»

DiArianna Francesca Brasca

24 Aprile 2022

La Russia rischia il fallimento come l’URSS. Le sanzioni colpiscono la vita quotidiana degli abitanti della Federazione, non più solamente il mercato finanziario. A comunicarlo è il governatore della Banca centrale di Mosca, Elvira Nabiullina. Secondo le sue parole, la Russia deve affrontare, nel secondo trimestre e nell’inizio del terzo, «cambiamenti strutturali della sua economia» a seguito delle sanzioni imposte come deterrente al conflitto in Ucraina, cambiando il suo «modello di business». 

Per la Russia starebbe per finire il tempo in cui il sistema Paese riesce a vivere di riserve. Nel concreto, questo significa che l’economia reale dovrà adattarsi o riqualificarsi verso i vicini non sanzionatori, dal momento che i problemi principali riguardano le restrizioni sulle importazioni e la logistica del commercio estero.

Il quadro attuale delle sanzioni, che sarebbe più opportuno chiamare “restrizioni” secondo quanto riportato nei documenti legislativi dell’Unione Europea (se davvero la mossa vuole essere un’operazione persuasiva e non punitiva, il linguaggio è importante), poggia su quelle già imposte da 8 anni con il Regolamento (UE) 833/2014. Il c.d. “quinto pacchetto” ha introdotto ulteriori provvedimenti di ampia portata: dalle restrizioni di natura finanziaria a quelle volte a colpire specifici soggetti, fino a minare lo scambio e il trasferimento di beni.  Se con il quarto step la UE ha introdotto limiti all’esportazione dei beni di lusso, con il quinto si giunge a un embargo quasi totale – escluso il dolente pacchetto energetico – degli scambi, diretti e indiretti, di beni destinati a persone di cittadinanza russa e a essere utilizzati in Russia. 

La Banca centrale russa aveva fissato un tetto per l’inflazione al 4%. Dal 24 febbraio, giorno dell’invasione del vicino occidentale, l’inflazione ha registrato una fiammata immediata e l’istituto di statistica Rosstat prevede che il costo della vita in un anno aumenti del 17%. I prezzi dei generi alimentari, preoccupanti per gran parte dei russi a basso reddito, hanno registrato un’impennata al 19,5% su base annua, sempre secondo Rosstat. Il costo della pasta è aumentato del 25%, quello del burro del 22%, lo zucchero è salito del 70% e frutta e verdura del 35%. In un market di San Pietroburgo gli acquirenti hanno confessato al giornale indipendente The Moscow Times di sentirsi in difficoltà. «Questo sta succedendo per via di scelte politiche, a quanto pare. Non lo capisco, a dire il vero», ha ammesso la 42enne Olesya Ogiyeva, un’operaia di fabbrica. Leonid Kabalin, anche lui operaio, ha affermato di non essere pronto per l’aumento vertiginoso dell’inflazione. «I prezzi sono aumentati, ma la paga non sta salendo».

I produttori e i consumatori oltre cortina saranno costretti a trovare nuovi mercati e una nuova logistica. Quella che si profila all’orizzonte è una specie di ritorno a modelli sovietici per la riconversione di molti settori. A partire dagli anni Sessanta, il sistema pianificato è sottoposto alle spinte dei localismi. Esistevano, di fatto, conflittualità tra organi e incompatibilità tra obiettivi e strumenti del piano. Gli organismi pianificatori, che conoscevano queste tendenze, a loro volta imponevano piani di produzione eccessivi rispetto a risorse e capacità produttive effettive. Questo induceva i ministeri a sviluppare una rete di forniture parallela, al di fuori del piano e spesso della legge, basata su scambi, favori e corruzione. In sostanza, ad agire contro gli interessi dello stesso piano generale. 

Numerose erano anche le rigidità e i limiti tecnici della pianificazione, dalla difficoltà di una efficiente allocazione delle risorse all’inadeguatezza tecnica. Tra i problemi c’era anche la mancanza di rigidi vincoli di bilancio per le imprese che, protette dal rischio di fallimento dallo Stato, non puntavano sulla redditività dei propri investimenti, con conseguente resistenza all’innovazione tecnologica. 

Il risultato è stata una crisi fatale allora e che può esserlo anche oggi. Con questa guerra si sta cercando a tutti i costi di rimuovere la razionalità capitalistica e i valori che questa porta con sé, senza aver preventivamente pensato a una razionalità alternativa e a una politica economica che viva delle reali esigenze delle persone.

Sotto Krusciov e Breznev c’era una crisi della pianificazione centralizzata, ostacolata com’era da un mercato di materie prime e mezzi di produzione di tipo privatistico. Era emersa una sorta di “economia ombra”, un’economia informale su vasta scala, non controllata dallo Stato, fondata su legami clientelari. 

Questa eventualità, si voglia per memoria storica o per reale assenza di libertà dal bisogno, potrebbe fare nuovamente capolino.

L’equilibrio economico moscovita pre-bellico era costruito sulla garanzia che le esportazioni di prodotti energetici e alimentari consentissero l’accesso alle importazioni di beni intermedi dall’Unione europea e dalle altre economie avanzate. 

«Per la Russia riconvertire un apparato produttivo inefficiente e troppo dipendente dalla tecnologia importata sarà una sfida difficilissima ma indilazionabile. Si tratterà, comunque, di un processo lungo che porterà a un forte impoverimento della popolazione» ha dichiarato Marcello Messori, professore di Economia europea alla Luiss.

©

Arianna Francesca Brasca

LinkedIn: @AriannaFrancescaBrasca

Foto di Romi_Lado su Pixabay