Vola il consumo di pasta nel momento più difficile per gli approvvigionamenti di grano. Nel primo trimestre l'impennata negli acquisti (secondo TUTTOFOOD 2023 da IRI) cresce del 19.3%, raggiungendo i 343 milioni di euro. Solo a marzo l'incremento è del 31.9%, per un valore di quasi 150 milioni di euro. Una notizia che insaporisce il piatto più famoso del Made in Italy.
La guerra, con i rincari nei prezzi delle materie prime – tra cui proprio il grano – non scalfisce le preferenze nel carrello degli italiani, una tendenza che prosegue con fiducia sulla scia della ripresa post-pandemica. In linea di massima, gli aumenti dei costi per il settore sono legati a trasporti ed energia, comunque precedenti, e di molto, al conflitto in Ucraina. Qualità delle materie prime e ricette restano invariate sulle tavole italiane: al carovita degli approvvigionamenti si risponde rivedendo prezzi e strategie, con il Food già all'opera per una riqualificazione della produzione sulla linea della sostenibilità. Le aziende adottano infatti quote sempre maggiori di energie rinnovabili, solare ed eolico come strategia per superare la crisi.
Export di grano: Ucraina e Russia granai, sì, ma non per l'Italia
Ucraina e Russia vengono abitualmente definite “granai d'Europa”: i due Paesi, insieme, rappresentano il 29% delle esportazioni globali di grano, capaci di sfamare tra i 600 e gli 800 milioni di persone, soprattutto in Africa, Asia e Medio Oriente. Ma quanto arriva effettivamente delle loro coltivazioni in Italia? Appena l'1,1% dall'Ucraina e lo 0,28% dalla Russia.
Il fabbisogno di grano tenero del nostro Paese è coperto per il 30% dalle importazioni dall'estero, il rimanente da produzione interna. In questo scenario, Russia e Ucraina insieme rappresentano per noi solamente una quota inferiore al 4%. L'Italia non è dunque dipendente da Mosca e Kiev come lo è invece per gas e petrolio.
Come riportato nel grafico che segue, dall'Ucraina in Italia arriva appena il 2,6% delle importazioni di grano tenero, per un totale di 122 milioni di kg. Il Belpaese, al decimo posto tra gli acquirenti del Paese dell'ex blocco sovietico per un fatturato di 496 milioni di euro pari al 3% (Dati Ismea) dell'export agroalimentare ucraino, chiede al vicino est-europeo soprattutto oli grezzi di girasole, mais e frumento tenero.

Fonte: OEC
I venti di guerra sull'Ucraina rischiavano di ripercuotersi sul comparto italiano già da tempo. Nei primi dieci mesi del 2021, le importazioni complessive di mais si sono ridotte in volume del 13% annuo, per un totale di circa 4 milioni di tonnellate, con una flessione del 15% per quello di provenienza ucraina. Oggi questa sfiducia preventiva ci tutela da una tenaglia dei prezzi ancor più stretta nei nostri supermercati.
La sfida del grano è proiettata nel futuro
Secondo un'analisi dell'Economist, la quantità di grano attualmente in circolazione non è, di fatto, in pericolo: dato che il raccolto avviene in estate e a febbraio, mese di scoppio delle ostilità, la maggior parte delle navi erano già salpate dal Mar Nero. Allo stato attuale, entrambi i Paesi in guerra hanno bloccato le esportazioni di cereali, ma a preoccupare non è il presente quanto più il futuro.
L'aumento del prezzo del grano e dei suoi derivati in Italia non è dunque legato direttamente alle importazioni. Semmai, i rincari che osserviamo sono dettati dalle speculazioni in atto sulle futures dei mercati, queste sì alimentate dalle incertezze del conflitto tra Mosca e Kiev. Come per il gas, potrebbe essere necessario per i governi Ue quello che l'Italia sta facendo sul fronte energetico, ossia fermare le speculazioni.
È una missione tutta politica oltre che finanziaria. Lo ha ribadito Mario Draghi alla conferenza stampa di chiusura dei lavori del consiglio europeo. Bisogna capire cosa può fare l'Unione: si deve fare presto, «perché la stagione dei nuovi raccolti si avvicina e, se i silos sono vuoti, si pone un problema», è il monito del presidente Draghi. Tanto per noi, quanto per Africa, Asia e Medio Oriente.
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Arianna Francesca Brasca
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