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domenica, 3 Dicembre 2023

Gender equality nel mondo: 132 anni per raggiungerla

Gender equality cercasi. Nel 2022, nel bel mezzo di una crisi variegata, aggravata dal rincaro del costo della vita, dalla pandemia che non accenna a ritirarsi, dall’emergenza climatica e dal conflitto alle porte d’Europa, il progresso verso la parità di genere è in stallo.

L’esclusione di milioni di donne e ragazze dai canali di accesso alle opportunità rappresenta una catastrofe per il futuro delle nostre economie e società, e l’accelerazione verso la parità deve diventare ammiraglia dell’agenda pubblica e privata.

Il Global Gender Gap Index misura la parità di genere nel mondo

Dal 2006, il Global Gender Gap Index misura i progressi attraverso quattro pattern chiave: opportunità economiche, livello d’istruzione, salute e partecipazione politica.

Nel 2022 il divario di genere globale si attesta al 68,1%. Al ritmo attuale di progresso, si stima che ci vorranno 132 anni per raggiungere la parità completa. Appena accennato il miglioramento rispetto al 2021, stimato a 136 anni. Tuttavia, non si ferma la perdita generazionale avvenuta tra il 2020 e il 2021: secondo le tendenze, il divario di genere doveva chiudersi entro 100 anni.

Nei 146 Paesi oggetto dell’ultima indagine, il gap in materia di salute si è ridotto del 95,8%, il rendimento scolastico del 94,4%, la partecipazione economica del 60,3% e l’emancipazione politica del 22%.

I dati del Global Gender Gap Index disegnano il futuro della parità di genere

Sebbene nessun Paese riesca a soddisfare una piena gender equaility, le prime 10 economie hanno colmato almeno l’80% del loro divario, con l’Islanda in testa alla classifica globale, con un valore di 90,8%. Altri Paesi scandinavi come Finlandia (86%, 2°), Norvegia (84,5%, 3°) e Svezia (82,2%, 5°) occupano le prime 5 posizioni, con altri Stati europei come Irlanda (80,4%) e Germania (80,1% ) rispettivamente nona e decima classificate. A precederli Paesi dell’Africa subsahariana, Ruanda (81,1%, 6°) e Namibia (80,7%, 8°), insieme a Nicaragua (81%, 7°) e,  in quarta posizione, Nuova Zelanda (84,1 %).

Sulla base dell’evoluzione dei punteggi medi globali per ciascun sottoindice, per il campione costante di 102 Paesi, ai tassi di avanzamento attuali ci vorranno 155 anni per colmare l’empowerment politico, 151 anni per quanto riguarda la partecipazione economica e 22 anni in materia di rendimento scolastico. Il tempo per colmare il divario di genere in quanto ad accesso alle cure sanitarie rimane indefinito poiché il suo progresso è in stallo vista la pandemia ancora in corso. 

Spostando il focus a livello regionale, il Nord America trascina la classifica, attestandosi su un valore di risoluzione del 76,9% del suo divario di genere. Segue l’Europa, che ha chiuso il 76,6% del suo gap. Al terzo posto America Latina e Caraibi, con un valore del 72,6%. A ruota Asia centrale che, come Asia orientale e Pacifico, guadagna un 69%. Al sesto posto, l’Africa subsahariana, ferma al 67,9%. Più in basso nella classifica e dietro di oltre quattro punti percentuali si trova l’area MENA (Medio Oriente e il Nord Africa), che ha chiuso il 63,4% della propria disparità. Infine, l’Asia meridionale registra la performance più bassa, avendo chiuso il 62,4% del divario di genere nel 2022.

La disparità nella forza lavoro è influenzata da diversi fattori, tra cui barriere strutturali e culturali di lunga data, trasformazioni socioeconomiche e tecnologiche, nonché shock economici. Le aspettative della società, le scelte dei datori di lavoro, un ambiente legale sfavorevole e la scarsa disponibilità di risorse a supporto delle lavoratrici continuano ad avere un ruolo importante nella scelta dei percorsi educativi e delle traiettorie di carriera per molte donne. Come nel decennio di austerità seguito alla crisi finanziaria globale del 2008, anche nel momento della ripresa dalla pandemia la cultura alla base dell’infrastruttura sociale influisce sulla distribuzione delle scelte economiche e lavorative di intere famiglie. Il conflitto geopolitico e il cambiamento climatico esercitano poi un ulteriore impatto sul mercato lavorativo al femminile, con la scomparsa di numerosi posti di lavoro. Inoltre, il previsto peggioramento del costo della vita avrà un impatto più grave sulle donne, che continuano a guadagnare e ad accumulare ricchezza a livelli inferiori rispetto agli uomini. 

Quale futuro per la parità di genere del Bel Paese?

L’Italia è al 63° posto di 146. Un punteggio globale che ci vede in coda dietro a Uganda e Zambia e appena prima della Tanzania. A separarci dalla Spagna (17esima) 46 posizioni, 48 dalla Francia (15esima) e 53 dalla Germania (decima). L’Italia, dunque, è a metà classifica: lontano dagli altri Stati più avanzati.

Se con la pandemia il prezzo pagato dalle lavoratrici italiane nel mercato del lavoro è stato il più elevato che nel resto d’Europa, il rapporto ISTAT 2022 lancia l’allarme: la mancata valorizzazione delle donne può arrivare ad intaccare il benessere delle famiglie. L’Italia, che ha subito la maggiore caduta dell’occupazione tra i Paesi europei – dopo la Grecia (-5,1%) e la Bulgaria (-3,6%) – si sta riprendendo da un calo dell’occupazione femminile attestata al -3,8% rispetto al 2019.

Una situazione che non ha messo solo i bastoni tra le ruote allo sviluppo delle donne ma anche alla crescita e alla produttività del Paese, considerando il valore femminile riconosciuto: l’Italia, dunque, che poteva auspicare fino a 7 punti di PIL in più, oggi rischia di creare povertà in un momento già difficile per il Paese.

Dati alla mano, nemmeno nella metà dei nuclei familiari entrambi i componenti lavorano. Situazione che non permette la condivisione delle responsabilità familiari, e che spesso porta a ridurre le possibilità di contrattazione di chi rimane in casa ed è dipendente economicamente. Tutti fattori che portano a riprodurre i classici stereotipi di genere, piuttosto che smarcarli una volta per tutte.

Un passo storico per abbattere il gender gap in Italia è la Certificazione della Parità Di Genere: documento che valuta in che modo le iniziative adottate dai datori di lavoro riducono i divari su opportunità di crescita, parità salariale a parità di mansioni, e che chiarisce come si gestiscono le differenze di genere e la tutela della maternità. 

La Certificazione, infatti, prevede lo sgravio contributivo dell’1% sui contributi fino a 50 mila euro all’anno e un punteggio premiale per la concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici in genere, con un miglior posizionamento in graduatoria nei bandi di gara per l’acquisizione di servizi e forniture. Non un bollino rosa, dunque, ma uno strumento innovativo che definisce un processo migliorativo nel mondo dell’impresa.

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Arianna Francesca Brasca

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