Per il suo impatto dirompente, oggi l’Intelligenza Artificiale è considerata la tecnologia strategica per lo sviluppo delle società del futuro. Tutti i Paesi stanno investendo ingenti risorse ed elaborando strategie per l’IA, compresa l’Italia: un’occasione irripetibile per colmare il gap con l’Europa. «La nostra è molto innovativa perché propone un cambio di prospettiva: spostarsi dalla visione europea che mette al centro l’uomo e mettere al centro il Pianeta e utilizzare le tecnologie dell’intelligenza artificiale per realizzare gli obiettivi dello sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite», spiega Emanuela Girardi, presidente di BASE Italia, founder POP AI e Membro del Direttivo di AIxIA, che dal gennaio 2019 fa parte del gruppo di esperti selezionati dal Ministero dello sviluppo economico per elaborare una strategia nazionale.
Qual è l’impatto che l’Intelligenza Artificiale ha realmente sulle nostre vite?
«I benefici già oggi sono moltissimi. Li vediamo soprattutto in campo medico, dove le applicazioni AI si stanno dimostrando un ottimo supporto alle azioni di contenimento del coronavirus. I vantaggi però non si esauriscono in questo settore…».
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«Direi proprio nella salute. Io faccio parte di un progetto europeo che si chiama CLAIRE (Confederazione dei laboratori di ricerca in intelligenza artificiale), che comprende la più grande comunità di scienziati, ricercatori ed esperti di IA del mondo, una sorta di CERN per l’IA. Quando è cominciata la pandemia, abbiamo subito pensato a come potevamo dare un supporto ai Governi e agli istituti sanitari partendo dall’esperienza dei Paesi asiatici dove la pandemia era già diffusa e dove le tecnologie di AI sono state ampiamente utlizzate per contrastarla. Abbiamo lavorato con un approccio multidisciplinare in vari campi: dalla bioinformatica all’analisi delle immagini di tomografia computerizzata, all’utilizzo di modelli di schedulazione e programmazione per ottimizzare le risorse scarse ospedaliere e fornire un supporto decisionale ai medici. E ancora un altro gruppo si è focalizzato sulla robotica all’interno degli ospedali per sanificare gli ambienti o per interagire con i pazienti. Un altro progetto interessante ha riguardato lo sviluppo di un modello di infodemia che monitorava le informazioni o meglio le disinformazioni legate alla pandemia. Tutti i gruppi di ricerca della task force su AI & COVID-19 di CLAIRE sono aperti e lavorano con un approccio di open science. La salute sarà senz’altro uno dei pillar in cui si investirà a livello europeo e poi è un settore a cui l’AI può dare un contributo eccezionale. C’è un progetto bellissimo della Commissione Europea che si chiama Destination Earth dove stanno creando un gemello digitale della Terra ad altissima precisione per monitorare l’impatto umano sull’ambiente e sviluppare e testare scenari che consentano uno sviluppo più sostenibile e supportino le politiche ambientali europee come il Green Deal fornendo un supporto decisionale ai policy maker. Ora, addirittura, la stessa cosa stanno pensando di farla sull’essere umano, ovvero un gemello digitale dell’uomo, una sorta di tester virtuale, per testare e analizzare le nuove scoperte della medicina».
Quali sono i pilastri della strategia?
«Sono tre: il primo è l’AI per gli esseri umani che è in linea con la visione antropocentrica europea. Il secondo pilastro è l’AI per la sostenibilità, ovvero per un ecosistema produttivo di eccellenza e di fiducia che sia sostenibile. E anche questo è in linea con la strategia europea. E poi c’è l’ultimo pillar, l’AI per lo sviluppo sostenibile: un approccio molto innovativo che prevede l’utilizzo di queste tecnologie uscendo da una dimensione puramente economica e facendo entrare quella sociale e soprattutto quella ambientale. Purtroppo, però, la strategia italiana per l’AI non è mai stata presentata ufficialmente e soprattutto non è ancora stata eseguita perché i Governi non la considerano come una delle priorità strategiche per lo sviluppo della nostra società».
Ci sono più fondi dedicati?
«Fondi per la ricerca ce ne sono pochi in Italia, ma non è l’unico problema. Il sistema è molto frammentato e questo è uno dei motivi per cui nella strategia avevamo proposto di creare un Istituto italiano per l’AI. Poi purtroppo, tutti i cambiamenti politici non hanno aiutato per niente e quindi questa iniziativa prima è scomparsa, poi l’hanno ripresa con un modello “hub and spoke” con una sede centrale a Torino e vari centri dislocati sul territorio. Infatti, uno degli aspetti più problematici riguarda proprio come portare le tecnologie di AI alla piccola e media azienda e alla società e l’unico modo per farlo, è essere presenti sul territorio. Poi purtroppo, notizia delle ultime ore, il governo ha deciso che Torino avrà un centro di ricerca per l’Automotive e l’I3A, l’Istituto Italiano per l’AI è nuovamente scomparso, rimandato a un futuro incerto, un’altra occasione persa per l’Italia per poter unire le eccellenze nella ricerca e poter partecipare alla discussione internazionale».
LA SITUAZIONE OLTRECONFINE
All’estero esiste una struttura simile?
«Si, certo, ne esistono diverse. In Francia hanno 4 istituti per l’AI, in Germania hanno il DFKI e i centri Fraunhofer per l’AI. Lussemburgo Olanda e Belgio hanno creato la BNVKI un’associazione che riunisce i Paesi del Benelux per unire le forze nella ricerca sull’AI. Il Regno Unito ha un dipartimento dedicato all’AI nel Governo che lavora a stretto contatto con il Gabinetto del Primo Ministro. Ci credono di più e i finanziamenti non sono un problema. Basti pensare che da noi il budget destinato all’I3A era inizialmente di 80 milioni poi ridotti a 40, poi a zero visto che al momento si è deciso di rimandarlo. 40 milioni per l’AI sono davvero pochi, pensiamo ai 3 miliardi investiti dalla Germania, 1.5 miliardo della Francia, 100 miliardi negli Stati Uniti».
Lei comunque porta avanti la sua missione e ha fondato l’associazione Pop AI (Popular Artificial Intelligence)
«Voglio far comprendere che cosa sono le tecnologie di AI e che l’impatto che hanno e avranno sempre più sulle nostre vite è fondamentale. Queste tecnologie sono duali, possono portare grandi benefici se utilizzate correttamente ma ci sono anche dei rischi correlati al loro utilizzo che devono essere conosciuti e gestirti. Le persone devono imparare a usarle in modo consapevole per poterne sfruttare le opportunità e gestire i rischi. Questa mission è condivisa anche dall’AIxIA, l’Associazione Italiana per l’IA, con la quale abbiamo recentemente realizzato un importante studio per il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale: “Intelligenza Artificiale per lo sviluppo sostenibile”. Abbiamo proposto anche un cambio di paradigma economico, proponendo una riflessione su quali sono oggi le vere “risorse scarse”. Se infatti, una volta per l’economia tradizionale le risorse scarse erano il lavoro e il capitale, oggi le risorse scarse sono quelle naturali. Questa presa di coscienza è fondamentale perché se sbagliamo a valutare la scarsità delle risorse andiamo incontro ad un disastro economico e ambientale e sicuramente non potremo raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Dobbiamo pensare a degli indicatori differenti dal PIL che, pur essendo una misura importantissima, è considerata oggi insufficiente perché non è necessariamente legato al benessere delle persone. In realtà è stato dimostrato che la crescita del PIL non è necessariamente legata alla crescita del benessere. Anzi in molti casi, aumentano le diseguaglianze, perché spendere di più non vuol dire necessariamente stare meglio (soprattutto se la spesa è generata da disastri ambientali). Negli anni sono state proposte varie misure alternative al PIL e in Italia l’ISTAT e il CNEL hanno proposto il BES, il benessere equo e sostenibile, un indice sviluppato per valutare il progresso di una società e non solo dal punto di vista economico, come ad esempio fa il PIL. Il BES comprende 12 indicatori tra cui un indice di povertà assoluta, l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione, eccesso di peso… Una bella iniziativa che stiamo sviluppando con Pop AI, con l’Università di Torino, il Politecnico di Torino, la Royal Holloway University of London e altri partner è il progetto SMAILE (Simple Methods of Artificial Intelligence Learning and Education) che usa l’intelligenza artificiale, la teoria dei giochi e la gamification per spiegare ai ragazzini cos’è l’AI e per insegnare a conoscerla e a usarla, perché anche se sono nativi digitali quando poi devono mettersi a capire queste tecnologie hanno difficoltà».
I dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano però mostrano dati incoraggianti
«Sì, è vero. Soprattutto però per le medie e grandi aziende. Qui si è passati da un 20% a un 40% tra coloro che hanno già adottato queste tecnologie e un altro 25% che ha detto che le avrebbe utilizzate in un futuro prossimo. Ma c’è da fare un distinguo. La grande azienda è strutturata, può avere accesso più facilmente ai finanziamenti, può assumere e pagare personale specializzato e portarsi dentro queste nuove competenze. Il problema ce l’ha la piccola media impresa a cui manca il budget. E poi mancano le competenze».
In quali settori le tecnologie dell’AI saranno fondamentali?
«I francesi, per esempio, stanno promuovendo tanti progetti sullo smart agrifood. Ma vengono promossi a livello centrale. Anche noi nel lavoro che abbiamo presentato la settimana scorsa al MAECI abbiamo identificato le best practice nazionali e internazionali su come utilizzare l’AI per ridurre la fame, l’obiettivo n. 2 dell’agenda dell’ONU, e in particolare su come utilizzarla nell’agricoltura. Uno di questi casi pratici riguarda un’applicazione per i viticoltori sviluppata da un’azienda italiana e per ridurre l’impatto ecologico grazie alla razionalizzazione dell’uso dei diserbanti e delle risorse idriche. Grazie all’utilizzo dei sensori nelle vigne vengono raccolti e analizzati i dati del terreno, delle viti e dell’uva e, insieme alle analisi predittive del meteo, consentono di per capire quali e quante risorse utilizzare e quando è il momento giusto per fare la vendemmia. Insomma, le tecnologie possono fornire una serie di indicazioni fondamentali come supporto decisionale sia al singolo viticoltore o agricoltore che a tutta la filiera».
SCUOLA E FORMAZIONE
Chi vuole studiare questi argomenti, come fa in Italia?
«Stanno per partire 5 nuovi corsi di Dottorato di ricerca in AI che AIxIA e la comunità scientifica hanno richiesto e ottenuto dal Governo per promuovere la ricerca in intelligenza artificiale. Si tratta di un progetto molto articolato che vede la collaborazione di ben 61 Università ed enti di ricerca. Oltre a studiare i fondamenti dell’AI ciascuno dei 5 dottorati avrà un’area di specializzazione in un settore strategico di sviluppo e applicazione dell’AI, dalla salute all’agricoltura, all’industria 4.0. L’approccio multidisciplinare è importante: un esempio lo dà lo Schwarzman College di Boston, fondato da Stephen Schwarzman Ceo di Blackstone Group, uno dei più grandi private equity al mondo. Lì lo studio di qualunque materia è abbinato a quello delle scienze computazionali e dell’AI».
E per la sicurezza che cosa si sta facendo? Questo settore spesso intimorisce proprio per paura della violazione dei dati personali…
«L’Europa sta cercando di regolare lo sviluppo e l’utilizzo sicuro dei sistemi di AI da parte dei cittadini europei. Ad aprile 2021 ha presentato, prima al mondo, una proposta di Regolamento per i sistemi di AI che credo entrerà in vigore fra un paio di anni. L’obiettivo della Commissione Europea è promuovere lo sviluppo di un ecosistema europeo dell’innovazione proteggendo e tutelando i diritti e la salute dei propri cittadini. Ma bisogna conoscerla, perché presto ci troveremo in una società dove povertà non sarà solo economica o finanziaria, ma avrà molte dimensioni, come l’educazione, le competenze digitali, la qualità delle relazioni sociali… In caso contrario chi già adesso è definito “emarginato digitale” non sarà in grado di accedere al lavoro e a tutta una serie di servizi sociali e sanitari e diventerà sempre più escluso e ci sarà un ulteriore aumento delle disuguaglianze». ©