domenica, 15 Giugno 2025

Expat, tutti i numeri (e i motivi) di chi espatria e chi ritorna

DiIlaria Mariotti

15 Giugno 2025
Sommario

Giovani italiani che partono per un’esperienza di studio o di lavoro all’estero. Dove sta allora il problema? Nel fatto che i cosiddetti expat – chi si trasferisce fuori dai confini – non fanno per lo più ritorno e abbandonano per sempre l’Italia. Che si ritrova così a pagare il conto elevatissimo causato dalle risorse che se ne vanno. Gli italiani fra i 25 e i 34 anni espatriati fra il 2012 e il 2021 sono circa 337mila, di cui oltre 120mila laureati.

Secondo i calcoli della Fondazione Nord Est il costo stimato è di 134 miliardi di euro. Nello specifico per la Lombardia la perdita è di 23 miliardi, per il Veneto 13. Per la Sicilia 15 e la Campania 12. Chi abbandona il proprio Paese è spesso laureato e vanificherebbe dunque l’investimento fatto dal Paese per istruzione e formazione. Ad avvantaggiarsene sarebbero quindi le economie straniere. Il secondo problema è che la decisione di espatriare è sempre più frequente. Negli ultimi tredici anni, il Paese ha visto emigrare circa 550mila giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni. Un numero anche sottostimato, perché la cifra più vicina alla realtà potrebbe essere almeno tre volte superiore. I calcoli si fanno infatti sulla base delle iscrizioni all’AIRE, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero.

Non tutti si iscrivono all’AIRE

Ma non tutti completano una pratica che non è obbligatoria per legge e che anzi è talvolta elusa per conservare alcuni benefici, come quello di usufruire del medico di base cui si è iscritti nel Comune di residenza. Sta di fatto che dal 2020 l’Italia conta circa 652mila residenti in meno, si legge nell’ultimo rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes. Nello stesso periodo, invece, è continuata la crescita di chi ha deciso di risiedere fuori dei confini nazionali (+11,8% dal 2020). Oggi la comunità dei cittadini residenti all’estero è composta da oltre 6 milioni e 134mila unità. Persone che mancano da un Paese come l’Italia già piegato da un’economia stagnante e un inverno demografico ormai convertitosi in vera e propria glaciazione.

Non solo giovani

Non va sottovalutato l’altro lato della medaglia, osservano dalla Fondazione Migrantes. Sempre con riferimento all’AIRE, la componente dei giovani e dei giovani adulti è nell’insieme corrispondente al 69% del totale. La restante parte è composta però da un 14,7% di minori (oltre 13mila) e dal 5,5% di over 65 anni (5mila circa). C’è infine un 11% che ha tra i 50 e i 64 anni.

Questi ultimi, si legge nel report della Fondazione, sono «10mila adulti maturi, qualificati o no, con titoli di studio eterogenei, respinti dal sistema occupazionale italiano e che si ritrovano a dover giocare la carta dell’estero». O ancora, sono «genitori di figli in mobilità che tentano e riescono – trovando una idonea occupazione ex novo o una modalità di lavoro alternativa – in un trasferimento per ricongiungimento familiare al contrario di quello solitamente concepito. In questo caso è, infatti, la famiglia di origine che si sposta nel luogo estero ricongiungendosi ai figli, e agli eventuali nipoti, precedentemente trasferiti». Gli expat non sono insomma solo giovani in cerca di fortuna, ma anche italiani di mezza età e oltre.

Gli over 65 sono per esempio aumentati del 13%, con la variazione più consistente che interessa, più specificatamente, chi ha tra i 65 e i 74 anni (+14%). La mobilità previdenziale, quasi del tutto annullata dall’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus, è ripresa.

E non si espatria solo dal Nord. Tra gli iscritti AIRE la Sicilia si conferma nel 2024 la regione con la comunità di iscritti più numerosa (+826mila). Subito dopo si attesta la Lombardia (+641mila) e il Veneto (+563mila). Il 46% degli iscritti è di origine meridionale (oltre 2,8 milioni, di cui 956mila isolani), ma oltre 2,3 milioni sono invece del Settentrione. Oltre 966mila sono, invece, gli iscritti del Centro Italia (15,7%). La destinazione preferita è l’Europa, dove ha fissato la propria residenza il 54% degli espatriati. Al secondo posto, con il 40,6%, l’America. E poi ci sono i 167mila in Oceania (2,7%), i 78mila in Asia (1,3%) e i 70mila in Africa (1%).

I motivi dietro l’espatrio

Quali ragioni spingono un giovane italiano a cambiare Paese senza più fare ritorno? Le prime sospettate sono le difficoltà derivanti dal Mercato del lavoro. Non basta la disoccupazione ai minimi storici: il punto attorno al quale ruota la decisione di trasferirsi è la qualità del lavoro offerto. I salari hanno il loro peso. Secondo Almalaurea, un laureato percepisce in un qualunque altro Paese estero, subito dopo il titolo, almeno il 56% in più rispetto all’Italia. Anche a cinque anni dalla laurea, il divario rimane elevato, superando il 50%.

Ma non si riduce tutto all’entità della busta paga. Intervistati nello studio La nuova migrazione italiana della Fondazione Nord Est, i 18-34enni hanno dichiarato solo nell’11% dei casi di essersi trasferiti alla ricerca di uno stipendio più alto. Quello che si cerca sono per lo più opportunità migliori (26%), una migliore qualità della vita (23%), opportunità di studio e formazione (15%), un contesto più in linea con i propri valori (8,5%). Quello che si fatica a trovare, talvolta, è proprio un mestiere all’altezza della propria preparazione. Un altro dei motivi principali della fuga dei cervelli è la carenza di profili tecnici in Italia. La beffa è che il 58% degli italiani che vanno a lavorare all’estero occupa posizioni che nel nostro Paese sono difficili da coprire, come quelle nei servizi qualificati. Non a caso l’expat tipico svolge per lo più un’attività intellettuale o impiegatizia (73%).

Lo scarso appeal dell’Italia

Guardando al periodo 2011-2013, il saldo migratorio – differenza tra chi parte e chi arriva dall’estero – risulta negativo di 377mila unità per la fascia 18-34 anni. Giovani che mancano all’appello dell’Italia e che andranno a rinfoltire le fila degli altri Paesi. Per ogni giovane che arriva da Stati avanzati, sono otto gli italiani che fanno le valigie e vanno all’estero. Ci piazziamo infatti all’ultimo posto in Europa per attrazione di giovani, accogliendo solo il 6% di europei, contro il 34% della Svizzera e il 32% della Spagna.

In Italia esiste però da qualche tempo un sistema fiscale agevolato per dare una spinta all’attrattività. La logica è quella di incentivare gli expat al rientro e a ristabilirsi in Italia. La norma attuale (articolo 5 del decreto legislativo 209 del 2023) prevede che per i lavoratori rimpatriati che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia venga applicata una riduzione della tassazione del 50%, entro un limite di reddito agevolabile pari a 600mila euro, per i lavoratori con requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.

I rimpatri

La durata dello sgravio è di cinque anni solo se non si è stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti al trasferimento. I soggetti coinvolti devono impegnarsi a risiedere fiscalmente nel territorio italiano per almeno cinque anni, svolgere l’attività lavorativa per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio italiano, appartenere alla categoria di lavoratori con requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal decreto legislativo del 28 giugno 2012, numero 108 e dal decreto legislativo del 9 novembre 2007, numero 206. Per chi ritorna in Italia con almeno un figlio minore a carico l’agevolazione è rafforzata e sale dal 50% al 60%; lo stesso incremento dell’agevolazione si applica anche a coloro che diventeranno genitori o che adotteranno un minore durante il periodo di fruizione del regime. Chi invece ha trasferito la propria residenza anagrafica entro il 31 dicembre 2023 rientrerà comunque nel precedente sistema agevolativo.

L’Irpef

In quel caso, i redditi di lavoro dipendente e autonomo prodotti in Italia non saranno fiscalmente imponibile ai fini IRPEF per il 70% del totale. Per usufruire delle agevolazioni, è necessario essere in possesso di un titolo di laurea e avere svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, autonomo o di impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi. In alternativa è sufficiente avere svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi, trasferire la residenza fiscale in Italia e impegnarsi a risiedervi per almeno due anni.

L’agevolazione dura per cinque anni, ma può essere estesa per ulteriori cinque periodi di imposta con detassazione al 50% a chi ha almeno un figlio minorenne o a carico o diventi proprietario di una unità immobiliare di tipo residenziale in Italia. I soggetti rientrati in Italia grazie alle norme per l’attrazione del capitale umano sono stati circa 48mila fino al 2023. Di questi 43mila appartengono al settore privato, mentre 3.500 sono ricercatori. Il grosso dei rientri (oltre il 70% di questi numeri) è concentrato negli ultimi quattro anni.

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📸 Credits: Canva   

Articolo tratto dal numero del 15 giugno de il Bollettino. Abbonati!      

Giornalista professionista, classe 1981, di Roma. Fin da piccola con la passione per il giornalismo, dopo la laurea in Giurisprudenza e qualche esperienza all’estero ho cominciato a scrivere. All’inizio di cinema e spettacoli, poi di temi economici, legati in particolare al mondo del lavoro. Settore di cui mi occupo principalmente per Il Bollettino.