martedì, 30 Aprile 2024

FAST FASHION: H&M e Inditex al top sul mercato

Quando si parla di fast fashion tra i principali attori del settore c’è Inditex, che si occupa della distribuzione al dettaglio e online di abbigliamento, accessori e prodotti tessili per la casa; attraverso vari brand commerciali, tra cui Zara, Pull & Bear, Bershka, e Zara Home. La multinazionale spagnola gestisce circa 6.829 negozi in 96 Paesi, e ha un fatturato di 20,4 miliardi di euro. Il titolo parte male, perde il 7,3% solo a gennaio. Tra febbraio e gli inizi di marzo schizza al rialzo del 23,4%, arrivando a superare quota 30,2€. Tra il 16 e il 22 marzo perde il 9,4% tornando a scambiare a 27,4€ ad azione. Riprende bene tra aprile e maggio, tocca quota 32,7€ e segna un clamoroso +18,6%. Tra giugno e luglio scivola del 15,5%, calando rovinosamente a 27,5€. Tra metà luglio e settembre il titolo riparte a correre fino a raggiungere quota 32,5€, un deciso +18,2%. A ottobre scende a quota 30,3€ per poi tornare a 32,3€ a inizi novembre; alla fine dello stesso mese inizia un rovinoso crollo che lo porta a perdere il 12,9% in pochi giorni. Attualmente sta leggermente recuperando e viene scambiato a 28,4€. Da inizio anno ha avuto una performance del 7,5%. Hennes & Mauritz AB, meglio conosciuta come H&M, è una multinazionale svedese che vanta, inclusi i franchising, 5.000 negozi in 74 mercati, oltre un fatturato di 18,5 miliardi di euro. L’azienda si occupa principalmente della produzione e commercializzazione di capi d’abbigliamento e accessori. Il titolo inizia l’anno a razzo. In soli due mesi e mezzo registra una strabiliante performance del 29,4%, raggiungendo quota 223 SEK. Nella seconda metà di marzo perde il 12,5%. Tra aprile e maggio risale del 10,6%, arrivando a scambiare a 216,2 SEK. Tra giugno e metà settembre crolla rovinosamente, perde il 21,6% e scivola a quota 169,4. Accenna un recupero del 12% nella seconda metà di settembre, ma poi torna a scendere. Tra ottobre e novembre il titolo oscilla tra 159,4 e 172,4 SEK. Attualmente è ancora laterale, viene scambiato a 165 SEK. Da inizio anno ha perso il 4,3%.

Dati alla mano, Il colosso spagnolo Inditex, ha pompato nell’atmosfera 120.992 tonnellate di CO2 nel 2020, ridotti a causa della pandemia Covid-19, e 350.101 tonnellate nell’anno precedente. Il Gruppo H&M ha emesso 72.580 tonnellate di CO2 nel 2020, il 18% in più rispetto al 2019. Ad aggravare ulteriormente la situazione, nessuna grande impresa privata è attiva nel settore del riciclo, molto spesso sono gli stessi produttori ad impegnarsi a riciclare, come ha fatto H&M. La ditta svedese ha affermato di aver stabilito diverse partnership per il riciclaggio dei tessili, ma ha sottolineato che lo considera solo uno dei molti modi per diventare più sostenibile e sta conducendo diversi progetti pilota di nuovi modelli di business che coinvolgono la stampa su richiesta, personalizzazione, riparazione, noleggio e rivendita. Mentre Inditex si è impegnata a utilizzare solo cotone sostenibile, organico o riciclato entro il 2023 e solo poliestere riciclato entro il 2025.

Purtroppo, l’industria del fast fashion crea enormi quantità di rifiuti: nell’UE, il consumatore medio butta via circa 11 chilogrammi di prodotti tessili ogni anno, e molto poco finisce per essere riciclato. A livello globale, meno dell’1% del materiale per indumenti viene riciclato in nuovi vestiti e solo il 13% viene riciclato in altri prodotti. L’UE si sta impegnando a lanciare nuovi obiettivi per il riciclaggio e il riutilizzo dei tessili e richiederà ai Paesi di istituire meccanismi di raccolta differenziata entro il 2025 come parte della sua direttiva quadro sui rifiuti. Nel frattempo, il crescente appetito dei consumatori per soluzioni più sostenibili sta spingendo i grandi marchi a fissare nuovi ambiziosi obiettivi di riciclaggio. Ma ricercatori e attivisti avvertono che l’industria non può contare solo su questo per mitigare il suo impatto ambientale. «Non è possibile produrre moda in serie o consumare in modo ‘sostenibile’ come il mondo è modellato oggi. Questo è uno dei tanti motivi per cui avremo bisogno di un cambiamento di sistema», ha twittato Greta Thunberg. Questa cultura dell’usa e getta in continua crescita genera circa 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili a livello globale ogni anno e si prevede che aumenterà fino a 134 milioni di tonnellate all’anno entro il 2030. Inoltre, il rapido processo di produzione del settore contribuisce a quasi 10 % delle emissioni globali di carbonio e quasi il 20% delle acque reflue globali. Oltre a un impatto negativo sull’ambiente e sulle risorse naturali, la fast fashion ha anche danneggiato i lavoratori della sua filiera. Sweatshop è una fabbrica nella quale gli operai vengono sfruttati in pessime condizioni di salute e sicurezza, con stipendi estremamente bassi. H&M è il maggior produttore di abbigliamento in Paesi sottosviluppati quali il Bangladesh e la Cambogia. La motivazione di queste condizioni consiste nell’ottenere costi di produzione incredibilmente bassi per poi rivendere i capi a prezzi estremamente competitivi.©

Marco Castrataro

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Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “il punto sui Mercati”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]