Il Mercato globale dell’intelligenza artificiale applicata alle industrie creative supera i 14 miliardi di dollari, con una proiezione di crescita annuale del 26% fino al 2030. Un’accelerazione che ridisegna in profondità anche i settori più legati all’artigianalità e alla cultura visiva, come moda, lusso e lifestyle. Brand iconici come Gucci, Louis Vuitton e Dior sperimentano soluzioni basate su AI generativa per creare contenuti personalizzati, progettare collezioni attraverso prompt testuali, prevedere la domanda, ridurre gli sprechi e trasformare l’esperienza del cliente in un percorso sempre più immersivo e su misura.
La tecnologia, però, non si limita a supportare i processi: cambia il linguaggio stesso della creatività, apre nuovi scenari nella narrazione dei marchi e innesta dinamiche di co-progettazione tra esseri umani e algoritmi. Secondo McKinsey, l’adozione dell’AI in ambito moda potrebbe generare fino a 150 miliardi di dollari di valore aggiunto entro il 2030. Allo stesso tempo, il 74% dei clienti del segmento premium si aspetta esperienze digitali capaci di replicare l’esclusività delle boutique fisiche, mentre oltre il 60% della Gen Z chiede maggiore trasparenza nei processi tecnologici e attenzione ai valori etici.
In questo contesto, l’intelligenza artificiale non è più una promessa futuristica, ma un abilitatore reale di vantaggio competitivo, capace di intervenire in ogni fase della catena del valore: dalla prototipazione al marketing, dalla logistica al retail esperienziale.

«Nel lusso, l’AI non può limitarsi a generare efficienza: deve sapersi mettere al servizio dell’identità, della narrazione e dell’emozione, perché è lì che si costruisce il vero valore di un brand», dice Chiara Piancatelli, Professoressa Associata presso la SDA Bocconi School of Management.
In che modo l’intelligenza artificiale ridefinisce il concetto stesso di creatività nel settore della moda e del lusso?
«In fase iniziale, l’AI supporta il brainstorming e l’analisi dei trend, elaborando enormi quantità di dati per individuare pattern emergenti, preferenze del pubblico o strategie adottate dai competitor. Questo consente ai creativi di orientare le proprie idee con maggiore precisione e consapevolezza. Nella fase di produzione, l’AI accelera notevolmente i tempi, generando proposte visive e testuali da cui partire per realizzare contenuti originali. Infine, permette una diffusione personalizzata su larga scala, adattando i messaggi ai singoli segmenti di pubblico. Tuttavia, l’approccio più efficace resta quello “human-in-the-loop”: l’AI genera, ma è sempre l’essere umano a curare l’identità del brand, il linguaggio visivo e l’allineamento valoriale, preservando così l’autenticità e l’eccellenza distintiva del settore».

Ritiene che i brand stiano sfruttando appieno il potenziale strategico della tecnologia?
«Siamo ancora in una fase che si può definire sperimentale, anche se l’interesse verso l’adozione strategica dell’AI è in forte crescita. Molti brand, soprattutto nei settori come l’e-commerce o i media, dove il terreno è più fertile grazie all’ampia disponibilità di dati, stanno iniziando a integrare strumenti di AI nei propri processi. Tuttavia, l’approccio dominante è ancora quello della sperimentazione controllata: si testano casi d’uso specifici, si misurano le performance e si affina l’integrazione progressivamente. L’AI viene usata per accelerare e migliorare attività concrete, come la personalizzazione dei contenuti o la segmentazione del pubblico, ma raramente viene ancora sfruttata in modo sistemico e profondo. I progetti più efficaci sono quelli che partono da obiettivi chiari, coinvolgono team formati e adottano una logica “human-in-the-loop”, dove l’AI è uno strumento abilitante e non un sostituto totale della componente umana».

Quali sono le aree aziendali in cui l’adozione dell’AI sta producendo il maggior vantaggio competitivo?
«I benefici sono significativi soprattutto in tre aree chiave: strategia, produzione di contenuti e personalizzazione. Nella fase strategica, è utile per analizzare grandi volumi di dati e individuare tendenze emergenti, comportamenti dei consumatori e mosse dei competitor, offrendo insight che guidano decisioni più informate. Nella fase creativa, consente di produrre rapidamente bozze di testi, visual o altri asset, velocizzando il lavoro dei team e permettendo di testare più varianti in tempi ridotti. Infine, nella distribuzione, l’AI permette una personalizzazione avanzata, adattando i contenuti a segmenti specifici o persino a singoli utenti. Questo approccio scalabile e mirato è particolarmente efficace nel migliorare l’engagement. I benefici maggiori si registrano nei settori ad alta intensità di dati, come e-commerce e media, ma il potenziale è trasversale a ogni business, purché l’adozione sia guidata da obiettivi chiari e una supervisione umana».
L’iper-personalizzazione è sempre più centrale nell’esperienza cliente: quanto conta oggi l’AI per costruire relazioni autentiche con i consumatori?

«Gioca un ruolo fondamentale, ma per costruire relazioni autentiche serve un equilibrio attento tra automazione e intervento umano. I modelli predittivi analizzano dati comportamentali e demografici per segmentare il pubblico in modo preciso, mentre l’AI generativa crea contenuti su misura per ciascun segmento, migliorando la rilevanza del messaggio. Questa combinazione permette alle aziende di intercettare i bisogni in tempo reale e rispondere con comunicazioni mirate. Tuttavia, la personalizzazione spinta può risultare controproducente se non calibrata correttamente: un contenuto troppo “perfetto” rischia di sembrare freddo o artificiale, generando diffidenza. Per questo, la componente umana resta essenziale nella supervisione e nell’ottimizzazione del tono, della coerenza e dell’identità del brand. Quando ben orchestrata, l’AI diventa uno strumento potentissimo per rafforzare la relazione con i consumatori, offrendo esperienze rilevanti e dinamiche senza perdere autenticità».
Ci può fare un esempio concreto di come stiano cambiando i comportamenti d’acquisto nel lusso?
«L’impiego del cosiddetto “moment marketing” abilitato da tecnologie predittive e generative. Le aziende utilizzano l’AI per analizzare dati in tempo reale — dalle interazioni sui social media ai comportamenti di navigazione — individuando il momento ideale per proporre un contenuto o un’offerta personalizzata. A partire da questi segnali, l’AI genera creatività su misura e attiva campagne mirate, aumentando la probabilità di conversione. Inoltre, attraverso funnel personalizzati e chatbot intelligenti, i brand di lusso riescono a offrire un’esperienza altamente curata anche nel digitale, replicando il livello di attenzione tipico delle boutique fisiche. L’obiettivo non è solo vendere, ma instaurare un dialogo coerente con le aspettative di clienti sempre più sofisticati, facendo leva su contenuti rilevanti, tempi perfetti e una narrazione allineata ai valori del marchio».

L’AI sembra essere un alleato prezioso per la sostenibilità: quali innovazioni le sembrano più promettenti in chiave ambientale?
«Una delle più avveniristiche riguarda l’ottimizzazione della produzione attraverso la previsione della domanda. Grazie ai modelli predittivi, è possibile ridurre sprechi e overproduction, due problemi storici del settore, producendo solo ciò che serve e quando serve. Un’altra applicazione interessante è l’uso dell’AI per migliorare la tracciabilità della filiera, rendendo trasparenti i processi e facilitando la scelta di materiali a minor impatto ambientale. Inoltre, strumenti di AI generativa possono contribuire a progettare collezioni digitali o prototipi virtuali, limitando la necessità di campioni fisici e riducendo l’impronta ecologica. Anche nella comunicazione, l’AI aiuta a veicolare messaggi personalizzati sulla sostenibilità, rendendo la narrazione ambientale più efficace e mirata. L’elemento chiave resta però sempre l’intervento umano che guida, filtra e orienta queste tecnologie».
Il dynamic pricing può ottimizzare i margini?
«Sì, ma richiede un’applicazione estremamente calibrata per non compromettere il valore percepito del brand. A differenza del retail generalista, dove l’elasticità del prezzo è spesso più ampia, nel lusso il prezzo comunica esclusività, identità e posizionamento. L’AI consente di analizzare una vasta gamma di variabili – dalla stagionalità alla domanda locale, fino al comportamento dei clienti – per adeguare i prezzi in tempo reale in modo intelligente. Tuttavia, l’efficacia di questi modelli dipende dalla capacità del brand di mantenere coerenza con i propri valori. Alcuni operatori, come nel settore dell’hôtellerie di alta gamma, stanno già applicando con successo algoritmi di dynamic pricing ottimizzando ricavi senza alterare l’esperienza premium. La chiave è integrare questi strumenti con una strategia di pricing chiara e trasparente, dove l’AI supporta, ma non snatura, l’identità del marchio».

Qual è il prossimo ambito creativo o produttivo del settore lusso dove l’AI farà la differenza nei prossimi cinque anni?
«Uno dei contesti principali sarà lo sviluppo di prodotti personalizzati attraverso tecnologie avanzate come il body scanning, il riconoscimento facciale e il design generativo. Queste soluzioni permetteranno di creare capi su misura, ottimizzando i materiali e riducendo gli sprechi, rispondendo al contempo alla crescente domanda di esclusività e sostenibilità. Parallelamente, l’AI sarà sempre più integrata nella customer experience, soprattutto grazie a showroom virtuali, realtà aumentata e assistenti intelligenti capaci di offrire consulenze in tempo reale. Il retail diventerà sempre più “phygital”, fondendo spazi fisici e digitali in esperienze immersive. Inoltre, l’analisi predittiva applicata alla supply chain permetterà di affinare la gestione dei fornitori, prevedere la domanda e migliorare l’efficienza logistica. Queste evoluzioni non solo aumenteranno la competitività dei brand, ma contribuiranno a ridefinire l’intero paradigma del lusso contemporaneo». ©