giovedì, 18 Aprile 2024

Intrattenimento. L’appello del Presidente Silb Fipe, Pasca: «Non fate fallire chi ha fatto tanti investimenti e sacrifici»

Intrattenimento: un settore invisibile che rischia di estinguersi. Delle 2.800 aziende italiane che compongono un comparto fondamentale, anche per l’attrattività turistica del Paese, il 30% tra locali e discoteche italiane ha già chiuso definitivamente i battenti. Su un giro d’affari annuo di circa 1,8 miliardi sono andati in fumo 1 miliardo e mezzo, ben più dell’80% del totale. 100 mila gli addetti senza lavoro. «Tranne una breve parentesi estiva, 40 giorni i cui ha riaperto il 10%, l’85% del comparto è fermo dal 23 febbraio scorso: siamo di fronte ad una crisi senza precedenti» dice Maurizio Pasca, Presidente del Silb Fipe, Associazione Italiana Imprese di Intrattenimento di Ballo e di Spettacolo che raduna il 90% delle imprese del comparto censite dalla Camera di Commercio. Luci spente sul mondo della notte, un settore avvilito che si sente abbandonato. «La cosa che fa più male è che sembra che la nostra condizione non interessi a nessuno, lo Stato si è completamente dimenticato di noi. Allo spettacolo aveva dato una speranza con la riapertura del 27 marzo, nei nostri confronti non una parola: è evidente che non siamo ritenuti essenziali. Mi chiedo però perché questa differenziazione? Abbiamo esposto più volte le nostre esigenze al Governo, ad oggi tutte disattese».

Quali sono state le vostre richieste? 

Un finanziamento a fondo perduto per tutto il periodo di chiusura, una riduzione dell’IVA, dal 22% al 10%, così come è previsto per altre attività di settore come cinema e teatri e un’abolizione dell’ISI (Imposta sugli intrattenimenti). Naturalmente c’è stata anche una richiesta di sospensione di tutte le tasse, tributi e utenze. Noi non sappiamo quanto ancora resteremo chiusi e tutto questo non ci permette di incassare neanche un euro, ma dobbiamo pagare affitti, utenze…»

Una discoteca di Amsterdam ha sperimentato le dinamiche di una serata in musica con distanziamenti e mascherina. Perché non tentare anche in Italia?

«Pubblico diviso in gruppi di venticinque persone per cinque bolle separate: l’Olanda è riuscita a trovare una soluzione laddove la cercava, anche per numeri ben più alti dei nostri. Stiamo pensando di proporre lo stesso esperimento anche in Italia, ma la sensazione è che nel nostro Paese il ballo sia inteso come un qualcosa di cui poter fare a meno. Non sarà l’emblema della socializzazione, ma la soluzione sperimentata nella discoteca di Amsterdam (già riproposto a Barcellona) potrebbe essere un modello da rilanciare ovunque per lasciar intravedere uno spiraglio di ripartenza».

Avete immaginato come riaprire in sicurezza all’interno delle strutture? 

«I nostri locali sono soggetti a verifica da parte delle commissioni che ne stabiliscono la capienza e il nostro coefficiente è di 1.2, che significa che ci può essere una persona per 1.2 metri. Se noi abbassassimo momentaneamente questo coefficiente, potremmo riprendere a lavorare a 0.8, garantendo il distanziamento sociale previsto dai decreti. Abbiamo già la presenza di addetti alla sicurezza, che avrebbero quindi anche il compito di far rispettare le misure di distanziamento».

La situazione italiana è simile a quella degli altri Paesi?

«Assolutamente no, è nel confronto che emerge la differenza. In altre capitali europee si sta spingendo per trovare una soluzione, o almeno tentare. Germania, Francia, Inghilterra hanno avuto aiuti concreti e sostanziali. Il problema è che da noi la discoteca viene ancora associata a qualcosa di brutto, quando invece i nostri locali sono luoghi di socialità e aggregazione sana, ma soprattutto sicuri e controllati. Non possiamo accettare di essere abbandonati a noi stessi in questo modo. Mi aspetto dal nuovo esecutivo un deciso cambio di direzione che possa finalmente aprire gli occhi sulla tragedia che stiamo vivendo. Urgono aiuti concreti altrimenti delle nostre aziende rimarranno macerie».

Come sopravvive un’azienda chiusa da un anno?

«Abbiamo perso quasi tutto. Il fatturato e i ristori che ci hanno destinato ammontano a 2 milioni di euro a fronte di una perdita di un miliardo e mezzo, c’è bisogno di commentare? Impossibile andare avanti in queste condizioni. Dietro ad una serata ci sono imprese e famiglie di migliaia di lavoratori. Non bisogna dimenticare tutto l’indotto che la discoteca genera. Se non siamo essenziali noi non lo sono neanche cinema e teatri. Il Ministro Franceschini ha stabilito risorse ingenti per lo spettacolo, perché per noi nulla? Saremo gli ultimi a riaprire»

Il settore che lei rappresenta non compare in nessuna bozza del PNRR…

«Lo Stato ci ignora da più fronti. Non solo le nostre attività non hanno ricevuto i ristori adeguati alla chiusura, ma soprattutto non siamo stati mai menzionati in un nessun decreto ad oggi emesso. C’è grande disattenzione per il mondo dell’intrattenimento eppure siamo un settore molto produttivo per l’economia italiana, siamo parte integrante del turismo, basti pensare cosa ha significato l’intrattenimento nella Riviera Romagnola e nel Salento».

Nessun ristoro neppure per deejay, vocalist o pierre?

«Ovviamente no, perché essendo figure atipiche, non riconosciute giuridicamente, non hanno potuto usufruire di nessun ammortizzatore sociale tra quelli finora emessi dal governo. Ci sono famiglie completamente sul lastrico: il mio pensiero va a loro più che alle aziende Tutte le professionalità che lavorano in questo settore non hanno ricevuto neanche i 600 euro previsti per chi ha partita IVA. Parliamo di 50 mila persone, di cui solo una minima parte sono dipendenti. Io come imprenditore posso sopravvivere, ma quello che chiedo al governo è di non far fallire ci ha fatto tanti investimenti e sacrifici».

Quante sono le attività che hanno già chiuso?

«Al momento il 30% ha deciso di non ripartire, ma se non ripartiremo entro l’estate credo che a questa percentuale si aggiungerà un altro 30% estinguendo il settore in Italia. Siamo al collasso».

Però la discoteca è aggregazione…

Sicuramente. Ma non è giusto additarci come untori. Quest’estate, quando quel 10% delle discoteche ha deciso di riaprire lo ha fatto in sicurezza. Nei locali c’era folla esattamente come accadeva nei ristoranti e nelle passeggiate. Se il virus non si è fermato non è colpa della discoteca ma della riapertura delle scuole e dei mezzi di trasporto».

Cosa andrebbe fatto con urgenza?

«Noi non possiamo anticipare i tempi, né programmare. Confidiamo nel vaccino e nell’immunità di gregge. Se no sconfiggiamo il virus sarà un duro colpo per l’intera economia italiana. Altrove hanno vaccinato 100 milioni di persone in 10 giorni 100: in Italia subiamo l’inefficienza delle persone che ci governano».

Quando immagina la riapertura delle discoteche?

«All’orizzonte non vedo un futuro roseo. Siamo in guerra. Per l’estate le fasce a rischio saranno vaccinate, nonostante ciò non abbiamo ancora un’idea, una linea guida, di come e se si potrà ripartire. Abbiamo proposto l’utilizzo di sistemi, già utilizzati negli aeroporti, che possano distruggere i droplets emessi dal respiro, aspettiamo novità. Mi auguro che potremo tornare a vivere momenti belli e spensierati nelle nostre discoteche».