venerdì, 29 Marzo 2024

IMPRESE: PAROLA D’ORDINE DELISTING

In Italia c’è un fenomeno sempre più diffuso, il Delisting.  Dati alla mano, emerge che le offerte totalitarie finalizzate al buyback sono il 100 per cento nel 2021, 82 per cento nel 2020 e 90 per cento nel 2019. Sebbene tali livelli sono stati già raggiunti in passato, emergono alcune differenze: la debolezza delle quotazioni durante e successivamente al 2008 (crisi finanziaria) non è presente dal 2015 a oggi; infatti, i prezzi sul mercato secondario hanno avuto un andamento altalenante ma non negativo. Inoltre, la dimensione media delle società oggetto di delisting è notevolmente cresciuta, triplicandosi dai 464 milioni del periodo 2007-2013 ai 1.327 milioni dei sette anni successivi.

Nonostante il numero significativo di nuove quotazioni, dal 2014 ad oggi l’incremento delle società quotate sul Mta al netto delle revoche è stato di sole 15 unità. La capitalizzazione complessiva di borsa (Mta), per il saldo tra gli incrementi derivanti dalle quotazioni e i decrementi causati dai delisting, è diminuita di circa 16 miliardi.

Nei primi mesi del 2021 le società quotate a Milano registrano una capitalizzazione di circa 607 miliardi di euro, mentre alla fine del 2007 ne vantavano una di 731; nonostante il rialzo in corso la capitalizzazione rimane sotto i livelli di 14 anni fa. L’economia italiana ancora non si è ripresa dalla crisi del 2008 e nel 2021 il PIL reale risulta del 4% più basso rispetto al 2007.

Guardando allo stesso problema da un’altra prospettiva, l’indice Ftse Mib resta nettamente al di sotto dei livelli del 2007(-40,60%); in Germania il Dax è raddoppiato, in Francia (Cac40) e Gran Bretagna (Ftse100) superano di circa il 10% i massimi toccati allora; negli Stati Uniti (S&P 500) è quasi triplicato.

Secondo Domenico Ghilotti, co-responsabile dell’ufficio studi di Equita “il mercato avrebbe bisogno di essere sostenuto, semplificando e velocizzando i passaggi burocratici. Per esempio, per Ipo e aumenti di capitale servirebbero processi più spediti”.

Le principali problematiche con cui le società quotate alla borsa di Milano si scontrano sono: bassa liquidità degli scambi e basse valutazioni. Senza considerare la volatilità legata alle vicissitudini politiche ed economiche italiane, che innalzano il rischio paese. Questo si riversa in uno sconto sulle quotazioni. Di conseguenza le società iniziano a guardare altrove.

Raffaele Jerusalmi, amministratore delegato della Borsa italiana, afferma che “il mercato dei capitali privato, guidato dai private equity, è diventato enorme e ormai fanno operazioni che un tempo si facevano solo in Borsa. Da qui a cinque anni vedo grandi cambiamenti all’orizzonte, dettati ovviamente dalla tecnologia ma non solo”.

In base ai dati AIFI il private equity è un fenomeno in crescita nel nostro paese, sia dal lato della raccolta sia da quello dell’investimento. Sempre più SGR stanno immettendo sul mercato quote di fondi rendendoli accessibili anche al consumatore retail. Infatti, un risparmiatore sopporta un rischio inferiore rispetto ad uno diretto in borsa e le imprese risparmiano i costi inerenti alla quotazione e gli obblighi burocratici conseguenti ad essa.

Inoltre, le integrazioni della vigilanza sui mercati e l’aggregazione a livello europeo tra le borse, senza considerare la concorrenza tra ordinamenti non sempre livellata dall’armonizzazione della disciplina europea, contribuiscono a rendere la situazione in Italia sempre più critica.

Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “l’esperto risponde”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]