venerdì, 19 Aprile 2024

CRESCE DI 264 MLN IL MERCATO ESTERO DELL’ORTOFRUTTA

Il 2020 e il 2021 saranno ricordati probabilmente come gli anni più difficili per l’economia mondiale dal dopoguerra. Al settore dell’ortofrutta, inteso come filiera, è stato chiesto di continuare a rifornire di prodotto fresco i punti vendita, nonostante le enormi difficoltà logistiche e organizzative che i periodi di lockdown generalizzato e locale hanno ingenerato. Il Recoveryplan in aiuto dell’ortofrutta. Le aziende si sono dovute organizzare, dapprima internamente per garantire, con ottimi risultati, la sicurezza dei dipendenti e successivamente hanno dovuto far fronte alle problematiche logistiche che soprattutto l’esportazione ha incontrato, con la chiusura, fortunatamente temporanea, di alcune frontiere e mercati di sbocco. Il settore ha quindi svolto un ruolo che possiamo definire sociale ma, purtroppo, non ha ricevuto il giusto riconoscimento da parte delle istituzioni che non lo hanno considerato al momento della distribuzione degli aiuti finanziari in quanto considerato privilegiato per aver continuato a lavorare anche in piena pandemia. «Oggi l’onda lunga del Covid-19 si ripercuote sul commercio mondiale con la crisi dei containers e l’aumento repentino del costo delle materie prime, con cui dovremo convivere nei prossimi mesi», spiega Marco Salvi, Presidente Fruitimprese. «Dal punto di vista prettamente produttivo il Covid-19 non è stato certamente l’unico problema, sicuramente le gelate improvvise, le nuove fitopatie e l’invasione degli insetti alieni, contro cui gli agricoltori hanno sempre meno armi di difesa, hanno decimato praticamente tutti i raccolti di frutta fresca, con particolare riferimento alla frutta estiva al nord, alle pere e ai kiwi».

Nel 2020 l’export è cresciuto di 264 milioni. Come si spiega questo dato così incoraggiante?

«Sicuramente è molto positivo, soprattutto se confrontato con il calo generalizzato delle quantità esportate. È la dimostrazione che il prodotto italiano, nonostante la sempre più invasiva concorrenza estera, svolge un ruolo di primo piano sui mercati internazionali, grazie soprattutto all’alta qualità del prodotto e allo sviluppo di nuove varietà più appetibili. I numeri del primo semestre 2021 confermano il trend positivo (figura 3) che segna una esportazione in crescita del 10% in valore e del 13.9% in volume rispetto al primo semestre 2020. I dati sono significativi anche rispetto al primo semestre 2019, anno pre-Covid (figura 4), con una crescita del valore dell’export di oltre il 22%».

Se l’export è cresciuto a calare ci ha pensato l’import… per quale motivo?

«I volumi di importazione italiani risentono molto dell’andamento delle campagne di raccolta del prodotto nazionale. Se non consideriamo la frutta tropicale che ha un andamento pressoché costante (figura 5), vediamo infatti che è il calo dell’import di ortaggi a far segnare un importante segno meno (figura 6) dopo alcuni anni di crescita continua. Questo è un segnale evidente di un ritorno al prodotto nazionale che si conferma anche nel primo semestre 2021».

Quali sono i prodotti maggiormente esportati e importati e in quale percentuale? (figura 7)

«I nostri prodotti di punta sono sempre mele, uva, kiwi e arance che da soli rappresentano la metà del volume esportato e su questi dobbiamo insistere con nuove varietà ed esperienze di gusto al fine di distinguere il prodotto italiano e uscire dalla logica delle commodity. Il trend per questi prodotti capofila è stato sicuramente positivo in valore, a fronte di qualche segno meno in volume, dovuto alle problematiche produttive. Preoccupa sicuramente la discesa verticale delle pesche e nettarine che hanno certamente bisogno di un rinnovo varietale e di una migliore programmazione delle produzioni».

Però torna a correre l’export della frutta nonostante i danni del clima…

«I dati del primo semestre lo confermano (figura 8), soprattutto per mele e kiwi che non hanno certo avuto una campagna di raccolta facile. Assente giustificata l’uva da tavola, registriamo un segno positivo anche per le pere, sicuramente il prodotto su cui si sono concentrate le maggiori avversità fitosanitarie come la maculatura bruna, accompagnata da una spiccata predilezione della cimice asiatica per questo frutto».

Che obiettivo si prefigge il vostro settore per la fine dell’anno?

«Il traguardo sono i 5 miliardi di euro di fatturato export, gli ultimi mesi saranno probabilmente segnati da un incremento dell’import per la importante mancanza di alcune referenze di prodotto italiano come le pere e i kiwi. A questo proposito la possibilità di accesso al mercato globale rappresenta, per gli operatori ortofrutticoli, un’ancora di salvezza e per il consumatore una possibilità di scelta che non deve mai venire meno. Del resto non possiamo pretendere di essere protagonisti sui mercati internazionali senza una visione d’insieme del comparto, anche per cogliere le opportunità che vengono offerte».

Come vanno le cose tra l’Italia e la Spagna, nostro maggior competitor per il settore?

«Non bene, purtroppo. Il divario si allarga visto che negli ultimi 20 anni la nostra esportazione è cresciuta di 1 miliardo di euro, quella della Spagna di 8 miliardi. Oggi la Spagna esporta per circa 15 miliardi ed il trend è in espansione, nel 2020 ha segnato un +7.7% nonostante un calo dei volumi. La lotta è impari, soprattutto in comparti come gli agrumi e la frutta estiva dove spesso siamo costretti ad attendere un calo della loro pressione sui mercati internazionali per entrare in azione. Ci si può difendere esclusivamente con la qualità, ma spesso non basta, servono investimenti in nuove varietà e comunicazione per far percepire il valore aggiunto del nostro Made in Italy».

I problemi climatici e le fitopatie stanno mettendo in ginocchio interi comparti, come quello delle pere, che ha registrato un calo produttivo dell’80%

«Per le pere la situazione è talmente grave che recentemente gli attori principali del comparto, che rappresentano il 70% del prodotto commercializzato, hanno deciso di unire le forze creando UNAPERA, una organizzazione che punta allo sviluppo della qualità ed intende investire nelle corrette pratiche agronomiche per la difesa di questo prodotto che rischia di sparire dal panorama produttivo italiano».

Il Recoveryplan può essere una valida opportunità di aiuto?

«Sicuramente. L’argomento è stato dibattuto a lungo all’interno del Consiglio di Fruitimprese all’indomani dell’invito istituzionale a proporre il nostro punto di vista sugli investimenti del PNRR. Abbiamo individuato alcuni punti, che sono stati condivisi con altre organizzazioni agricole e che con soddisfazione abbiamo visto inserire nei piani del Governo, come lo sviluppo dei principali porti ed alle vie di comunicazione ed infrastrutture adiacenti. (in particolare abbiamo posto l’attenzione allo sviluppo del Porto di Ravenna che può diventare un hub di riferimento per i prodotti ortofrutticoli destinati al Nord Africa ed al Far East), il miglioramento del traffico ferroviario con sviluppo dell’intermodalità per le vie di traffico dirette al centro-nord Europa e la digitalizzazione delle imprese agricole e della catena logistica per migliorare tempi ed efficienza della filiera».

Che previsioni si sente di fare per il futuro del settore dell’ortofrutta?

«Il futuro del comparto agricolo si decide ormai da molti decenni a Bruxelles e purtroppo i segnali che vengono dalla Commissione Europea non sono incoraggianti. Se prevarranno le logiche ambientalistiche nell’applicazione della Politica Agricola Comune, la sostenibilità economica del settore ne risentirà pesantemente, come dimostrano i recenti studi commissionati e tenuti nel cassetto dalla stessa Unione Europea. Si rischia di vedere sparire una buona fetta delle produzioni europee che, come dimostrano le recenti annate, non potranno far fronte alle nuove fitopatie o all’invasione di insetti alieni senza l’aiuto della chimica di sintesi. Certamente si deve tendere al rispetto dell’ambiente e alla tutela del territorio, onde evitare anche i danni provocati dal cambiamento climatico, ma bisogna dare agli agricoltori le soluzioni green alternative per continuare ad esistere. In questo senso accogliamo con favore l’apertura della UE alle nuove tecniche genomiche. Dal punto di vista del commercio internazionale, il settore ortofrutticolo italiano ha bisogno di reciprocità, di aprire nuovi mercati alle stesse condizioni che gli operatori stranieri incontrano per esportare da noi e di poter competere ad armi pari con i produttori dei Paesi competitor in termini di costo del lavoro e di rispetto delle norme sanitarie e fitosanitarie».                       ©