venerdì, 19 Aprile 2024

PENSIONI: QUOTA 102 IPOTESI SEMPRE PIÙ CONCRETA

Il dibattito sul tema pensioni si infuoca. Tra Quota 102, Ape sociale e Opzione donna, secondo le stime dell’Osservatorio previdenza della Fondazione di Vittorio e della Cgil, saranno solo 32.151 le persone coinvolte nel 2022 (meno di un terzo del 2020). «64 anni di età e 38 di contributi potrebbe essere la soluzione», dice Alberto Brambilla, economista e presidente Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. «In questo modo si avrebbe una flessibilità in uscita con 64 anni e 67 per la vecchiaia, entrambe adeguate all’aspettativa di vita». Unica pecca: i giovani: «Bisognerebbe dare la pensione integrata al minimo. È necessario un cambiamento di prospettiva, focalizzando maggiormente l’attenzione sulle nuove generazioni, spesso trascurate o comunque non adeguatamente considerate nel dibattito sulle pensioni».

Iniziamo dalla tanto discussa legge Fornero. C’è possibilità di un ritorno dal 2023?

«No. Lo escluderei nell’interesse dello Stato, dei cittadini e dei futuri pensionati».

Quali pregi le riconosce?

«Aver introdotto, finalmente, in Italia il contributivo pro rata. Quando abbiamo scritto la riforma Dini, i sindacati erano contrari. Lo volevano solo per coloro che avevano meno di 18 anni di anzianità. Con la riforma Fornero è stato introdotto per tutti. Dall’1 gennaio 2012, infatti, gli italiani hanno la pensione calcolata con il metodo contributivo pro rata».

E difetti?

«La flessibilità in uscita: superare Quota 100, misura introdotta per ovviare alla scarsa flessibilità e in scadenza con il 2021, con Quota 102 nel 2022 per poi passare subito negli anni successivi a Quota 103 o 104 sarebbe un errore. Occorrerebbero almeno 18 mesi tra un incremento e il successivo per poter consentire agli aspiranti pensionati bloccati nel passaggio da 62 a 64 anni (da Quota 100 a Quota 102) di poter lasciare il mondo del lavoro. Passare da un anno all’altro (ad esempio dal 2023 a Quota 104) a un diverso requisito sarebbe problematico: se proprio si volesse aumentare il requisito, secondo me non necessario, bisognerebbe attendere un periodo più lungo; diversamente, il rischio sarebbe quello di creare uno “scalone”, stesso errore commesso a suo tempo della legge Monti-Fornero, bloccando l’accesso alla pensione a molti lavoratori. Per dare un giudizio sintetico ma efficace, si può allora promuovere la proposta Quota 102 e bocciare, invece, Quota 104 Anzianità contributiva: la legge prevede l’uscita con 42 anni e 10 mesi per i maschi, un anno in meno per le donne. Questa anzianità contributiva è stata adeguata all’aspettativa di vita, ciò significa che tra pochi anni occorreranno 45 anni di contributi per andare in pensione. I giovani: potranno andare in pensione solo se riescono a maturare una pensione 2,8 volte l’assegno sociale. Tradotto, significa poco più di 1.300 euro. Se non ci arrivano devono lavorare fino a 71 anni».

Qual è la sua proposta?

«Il primo punto è la flessibilità in uscita: l’idea della Quota 102 la porto avanti da quasi due anni. Propongo anche di lavorare, legalmente, fino a 71 anni. In questo caso si beneficerebbe di un superbonus che, insieme all’ex ministro Maroni abbiamo sperimentato nel 2005-2006 con grande successo. I pesanti contributi (il 33%, che rappresentano un terzo della retribuzione) saranno dati ai lavoratori. La seconda modifica è togliere l’adeguamento all’aspettativa i vita e lasciare 42 anni e mezzo per i maschi e 41 anni e mezzo per le donne. Il terzo punto è dare anche ai giovani la pensione integrata al minimo».

L’istituzione nello stato di previsione del Mise di un fondo di 600 milioni di euro, spalmati nel triennio 2022- 2024 e destinato a favorire l’uscita anticipata dei lavoratori dipendenti (che abbiano raggiunto un’età anagrafica di almeno 62 anni) di piccole e medie imprese in crisi potrebbe dare una boccata d’ossigeno a chi soffre il periodo pandemico?

«Il tema vero è che nel mondo esistono dei sistemi di sostegni al reddito. In Italia abbiamo il fondo di solidarietà, o fondo esuberi, per le banche, le assicurazioni, i trasporti e, fino a poco tempo fa, per le Poste. Rappresenta la soluzione ideale. Il Governo non deve stanziare soldi, deve copiare lo strumento che oggi esiste e garantisce una grande mutualità, perchè tutte le imprese pagano lo 0,33% di contribuzione. Non possiamo immaginare che c’è un problema di dipendenti lo si possa scaricare sul sistema pubblico. Non funziona così».

Il limite di “Opzione donna” adesso è 60 anni d’età (61 per le lavoratrici autonome) e 35 di contributi. Condivide la scelta di aumentare il limite di età?

«Opzione donna è stata introdotta dal ministro Maroni. All’epoca avevamo previsto 58 anni, ma era il 2005. Adesso abbiamo suggerito di arrivare a 61-62 anni. Sarebbe preferibile che questa misura fosse indirizzata alle donne madri. In Europa, dove c’è la parità di genere e dove le donne, tra l’altro, vivono in media 5-6 anni più degli uomini, l’Opzione donna la vedo una cosa un po’ particolare. Discorso a parte se parliamo di donne madri, cioè quelle che hanno avuto una carriera discontinua perché hanno avuto figli. Quindi Opzione donna la terrei, portandola sui 62 anni, e poi la lascerei solo per le madri».

Condivide la creazione dei Pepp (Pan european personal pension product): quanto possono incidere positivamente in Italia?

«Intanto comincerei a sviluppare i fondi pensione italiani. Bisogna farli investire in economia reale, dargli maggiore sostegno e poi penserei ai Pan europei. Finora siamo ancora molto arretrati. È come dire a uno studente della terza media di frequentare l’università, prima bisogna concludere la scuola superiore. Quindi anche per i fondi complementari, prima cerchiamoì di svilupparli bene, agevoliamo gli investimenti in economia reale e l’adesione dei giovani, dopo pensiamo ai Pan europei». ©

LinkedIn: Mario Catalano

Twitter: MarioCatalano2