venerdì, 29 Marzo 2024

PETROLIO: USA SOTTO SCACCO, ARABIA SEMPRE PIÙ FORTE

DiMarco Castrataro

29 Novembre 2021 ,

Tentativo coordinato e senza precedenti dell’amministrazione Biden di domare i prezzi del petrolio, autorizzano uno dei più grandi tagli di sempre delle riserve di greggio degli Stati Uniti. Infatti, ha rilasciato 50 milioni di barili di greggio dalla Strategic Petroleum Reserve, con l’India che aggiungerà altri 5 milioni di barili e il Regno Unito che contribuirà con 1,5 milioni di barili. Si attendono annunci anche da Cina, Giappone e Corea del Sud, che insieme potrebbero aggiungere tra i 10 e i 20 milioni di barili. Gli operatori del settore hanno generalmente concordato sul fatto che la mossa avrà un effetto limitato sull’abbassamento dei prezzi della benzina, che era l’obiettivo finale del presidente Joe Biden. Gli inviati americani avevano passato settimane a cercare di convincere i sauditi a pompare più greggio. La pressione diplomatica è stata infine diretta al principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Da quando è entrato in carica, Biden ha parlato solo con il re Salman, padre del principe, rifiutandosi di trattare direttamente con lui. Perché è ancora mal visto negli Stati Uniti a seguito dell’uccisione dell’editorialista del Washington Post Jamal Khashoggi nel 2018. Il rifiuto è continuato anche dopo che l’Arabia Saudita ha annunciato il suo obiettivo ecologico più ambizioso di sempre, dichiarando la volontà di raggiungere le zero emissioni nette entro il 2060.

A causa di ciò il presidente Usa non ha ottenuto l’aumento di estrazione petrolifera che voleva. L’aumento dei prezzi del greggio stava dando al principe ereditario la sicurezza di richiedere l’attenzione di Biden e di tutti gli altri premier coinvolti. L’afflusso di denaro aiuta anche il suo piano per rendere il regno una potenza finanziaria globale attraverso il Fondo di investimento pubblico da 450 miliardi di dollari, fondo sovrano che presiede e che vuole raggiungere i mille miliardi di dollari entro il 2025. «L’Arabia Saudita è in una posizione forte», ha affermato Jason Bordoff, preside della Columbia Climate School ed ex alto funzionario energetico della Casa Bianca sotto il presidente Barack Obama. «La domanda di petrolio sta aumentando, non diminuendo. Lo scisto americano non è più quello di una volta e per il prossimo futuro il mondo avrà bisogno di più petrolio saudita» ha aggiunto.

I produttori dell’OPEC+ avevano precedentemente avvertito che risponderanno attraverso un ritardo degli aumenti di produzione previsti per gennaio, o addirittura annullando gli aumenti già realizzati. Il gruppo dovrebbe incontrarsi nei prossimi giorni per stabilire i piani di produzione per il 2022. Per compensare completamente un rilascio di 60 milioni di barili di greggio dalle scorte dei consumatori entro la fine di marzo, il gruppo di produttori rinuncerà agli aumenti di produzione di 400.000 barili al giorno previsti sia per gennaio che per febbraio. Negli ultimi mesi, l’OPEC+ ha effettivamente aumentato il pompaggio con la ripresa della domanda. Ma Riyadh si è assicurato che il cartello la aumentasse più lentamente della ripresa, drenando le scorte globali e aumentando i prezzi. Le scorte di prodotti petroliferi grezzi e raffinati nei paesi industrializzati sono scese ora al di sotto di 2,8 miliardi di barili, toccando il livello più basso dall’inizio del 2015. Il mercato petrolifero mondiale rimane teso. Il principe Mohammed non ha solo respinto il suo alleato americano. Riyadh ha sostenuto che l’OPEC+ sta già aggiungendo abbastanza greggio sul mercato, respingendo nel frattempo le richieste di Cina, India e Giappone per più petrolio. Per questo Il presidente Usa e il suo omologo cinese, Xi Jinping, hanno discusso del problema a novembre decidendo di lavorare insieme per stabilizzare i mercati energetici.

Nonostante la lotta ai cambiamenti climatici, l’economia mondiale è dipendente dal petrolio come lo era prima della pandemia. Il consumo globale è tornato a circa 100 milioni di barili al giorno, un livello visto l’ultima volta nel 2019. A seguito del rilascio di riserve strategiche martedì, il greggio Brent, benchmark petrolifero globale, è sceso di oltre 11% venerdì, arrivando a 72,9. Andando più nel dettaglio, dal minimo di 65$ del 23 agosto, il prezzo del Brent è salito fino a raggiungere il massimo di 86,3$ il 26 ottobre. Registrando un incremento del 33% in soli 2 mesi. Per poi iniziare a scendere a causa di tensioni internazionali tra paesi OPEC e non OPEC, culminate appunto con il rilascio delle riserve petrolifere da parte dell’amministrazione Biden. Ma dove il governo americano ha fallito, i timori per la variante Omicron hanno spinto in basso i prezzi. Attualmente il Brent è scambiato attorno ai 74,8$ a barile. Registrando una perdita del 13,5% rispetto ai massimi di ottobre. Andamento simile il Crude Oil, con minimo il 23 agosto a 62$, massimo a ottobre intorno quota 84,6$ (+36,5%) e discesa a causa timori Omicron, che lo hanno portato a scambiare a 71,4$ (-15,5%). Gli occhi restano puntati sulla data del 2 dicembre, infatti la produzione di petrolio saudita potrebbe raggiungere i 10 milioni di barili al giorno il mese prossimo, ben al di sopra dei livelli pre-Covid. Se i prezzi del petrolio e la produzione saudita rimarranno ai livelli attuali, le entrate petrolifere lorde del regno supereranno i 300 miliardi di dollari nel 2022, mettendo Riyadh sulla buona strada per godersi uno dei suoi migliori anni di sempre.

L’Agenzia internazionale per l’energia ritiene che la produzione di petrolio saudita possa raggiungere una media di 10,7 milioni di barili al giorno nel 2022, media annuale più alta di sempre. L’aumento dei prezzi ha «rafforzato la posizione dell’Arabia Saudita sia finanziariamente che politicamente», afferma David Rundell, ex diplomatico statunitense con decenni di esperienza nel regno. «La posizione di Mohammed Bin Salman diventerà ancora più sicura». La battaglia di Biden per abbassare i prezzi è in contrasto con lo sforzo del suo predecessore Donald Trump di persuadere l’Arabia Saudita e la Russia a porre fine a una guerra dei prezzi all’inizio del 2020 che ha fatto crollare i prezzi durante l’inizio della pandemia di coronavirus. Ciò mostra che in un ambiente inflazionistico, le grandi economie hanno una soglia del dolore più bassa per i prezzi del petrolio. Inoltre, la variante Omicron contribuirà a complicare ulteriormente le cose. ©

Marco Castrataro

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Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “l’esperto risponde”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]