La moneta digitale renminbi sfida il dollaro come valuta di riserva mondiale. Nella vasta letteratura sul processo di apertura e di riforma dell’economia cinese il tassello mancante sembra essere proprio quello finanziario. Ancora oggi le autorità cinesi non vogliono rinunciare neppure a una minima parte del grande potere che hanno sulla politica monetaria e valutaria del Paese: controllano i flussi di capitale della Cina con il resto del mondo, il valore del tasso di cambio del renminbi e l’enorme massa di liquidità in circolazione all’interno dei confini nazionali.
«Il renminbi è una valuta non convertibile e la sua circolazione internazionale a tutt’oggi è ristretta per volere delle autorità monetarie cinesi al solo ammontare che serve per regolare le transazioni commerciali e non aperta invece ai capitali finanziari», spiega la professoressa Alessia Amighini, docente presso l’Università del Piemonte Orientale, Co-Head of Asia Centre and Senior Associate Research Fellow ISPI e autrice del libro Finanza e potere, lungo le Vie della Seta.
«L’uso del renminbi come mezzo di scambio, unità di conto e riserva di valore è alquanto limitato. Anche l’inclusione nel paniere dei DSP, i diritti speciali di prelievo, un’attività di riserva internazionale fruttifera utilizzata dal Fondo Monetario Italiano, non ha cambiato radicalmente la situazione. La quota del dollaro nel paniere è approssimativamente quattro volte più grande di quella del renminbi, a dimostrazione del fatto che la moneta cinese non è ancora una vera e propria valuta accettata internazionalmente».
Quale ruolo svolge la Belt and Road Initiative per la strategia di internazionalizzazione della Cina?
«Oggi il completamento della BRI rappresenta un’opportunità grandiosa per procedere lungo la strada di questa particolare strategia di internazionalizzazione del renminbi, cioè un aumento della sua circolazione internazionale, senza però al contempo lasciare che il suo valore sia determinato liberamente dal mercato valutario. Il buon funzionamento della BRI richiede come elemento necessario di poter prezzare e regolare i contratti di fornitura delle materie in renminbi, di poter erogare prestiti in renminbi per il finanziamento dei progetti di costruzione di infrastrutture all’estero, di poter concludere contratti di e-commerce con l’estero in renminbi: tutti elementi che favoriscono l’aumento della domanda estera di renminbi e pertanto promuovono una sua maggiore internazionalizzazione. Perché le autorità cinesi abbiano pianificato un sistema così complesso dipende dalla volontà di mantenere il controllo sulle variabili monetarie fondamentali – il tasso di interesse, il tasso di inflazione, il tasso di cambio – e al contempo svincolarsi dalla dipendenza dal dollaro, creando una vasta area regionale di circolazione del renminbi in Asia, con una serie di avamposti in tutte le altre aree del mondo».
La BRI potenzia la connettività tra Asia ed Europa ma quali sono nello specifico i tipi di connettività tra i due Paesi?
«Sin dal suo primo annuncio, molto è stato scritto sulla Belt and Road Initiative, in italiano tradotta spesso con il termine di Nuova Via della Seta. La BRI è stata presentata inizialmente – e dunque in tal senso accolta dai più – come un grande programma di investimento infrastrutturale volto ad aumentare la connettività tra la Cina e tutto il continente eurasiatico, in particolare delle aree che più necessitano di collegamenti e infrastrutture di trasporto – cioè i paesi dell’Asia Centrale –, con l’Europa come sua frontiera più occidentale. Sin da allora, il governo cinese si è ampiamente profuso nell’illustrazione dell’idea all’origine della BRI per sgombrare così il campo da alcune interpretazioni che da subito erano state avanzate sull’intento espansionistico e paternalistico dell’iniziativa – paragonata da molti a un grande Piano Marshall per l’Asia Centrale. Ben oltre le infrastrutture di trasporto, la BRI è un’ambiziosa strategia di potenziamento della connettività tra Asia ed Europa».
Quali sono i pilastri su cui si basa la Belt and Road Initiative?
«Sono cinque i tipi di connettività promossi – non solo fisica, ma anche commerciale, digitale, finanziaria e culturale. Secondo il principale documento di riferimento, oggi noto come il Libro Bianco della BRI, essa si fonda su: coordinamento delle politiche, connettività infrastrutturale, aumento degli scambi commerciali, integrazione finanziaria, scambi culturali. In breve tempo è diventata il fulcro di tutta la diplomazia economica cinese, se non della diplomazia cinese tout court. Il suo obiettivo è quello di promuovere l’integrazione della Cina nell’economia globale lungo vie molto più profonde di quanto non sia mai stato fatto prima, cioè ben oltre i flussi di commercio internazionale e degli investimenti all’estero. Sebbene il governo cinese preferisca ufficialmente definirla un’iniziativa, essa dovrebbe essere considerata come un vero e proprio programma di apertura del Paese, sviluppato in risposta alle mutate circostanze interne e internazionali. Intorno alla Belt and Road Initiative il governo cinese ha costruito un’opera colossale di comunicazione economica, istituzionale e politica volta a sfatare i timori di un possibile espansionismo cinese, con un linguaggio intriso di allusioni ai benefici comuni che il progetto intende portare a tutti i suoi sostenitori».
In che modo il renminbi si sta imponendo come strumento di soft power?
«Lanciata dal Presidente Xi nel 2013, la BRI persegue, oltre agli obiettivi di sviluppo delle infrastrutture di trasporto, del commercio e della comunicazione, anche la cooperazione finanziaria tra la Cina e il resto del mondo. E proprio la finanza è la vera linfa dell’intera iniziativa, la parte più innovativa e dirompente nei suoi aspetti operativi, istituzionali e politici. Attraverso una rete di centri finanziari offshore, le banche e le Borse cinesi sono sempre più collegate al resto del mondo, pur rimanendo all’interno di un sistema finanziario protetto da controlli sui flussi internazionali di capitale, protetto da un regime di fluttuazione controllata del tasso di cambio e, infine, protetto da un settore creditizio di proprietà pubblica. Questa rete funziona come un sistema di vasi comunicanti che permette di estendere la circolazione del renminbi al di fuori dei confini nazionali attraverso degli avamposti finanziari della Cina nel mondo. La “moneta del popolo” diventa così lo strumento di una globalizzazione al contrario: non è la Cina ad aprire il suo settore finanziario al resto del mondo, ma quest’ultimo ad accogliere una sempre maggiore presenza della Cina sui mercati finanziari internazionali, nonostante Pechino continui a proteggere il suo sistema finanziario dalla potenziale instabilità di una liberalizzazione incondizionata. Lungo la BRI, la finanza scorre fluida e con essa il crescente soft power con cui la Cina intende imprimere un nuovo corso alla globalizzazione».
Che previsioni si sente di fare sul renminbi: quando riuscirà a diventare una valuta internazionale?
«Il punto non è quando riuscirà, ma come ci riuscirà. Le autorità cinesi non lasceranno il controllo della moneta e di conseguenza non apriranno mai completamente i movimenti di capitale. Questo è stato ribadito di recente dal vicegovernatore della Banca Centrale Cinese. L’e-RMB, la moneta digitale gestita dallo Stato che si sta diffondendo dal 2014, rappresenta un passaggio cruciale nella strategia finanziaria della Cina e permette di ridurre il costo della circolazione della carta moneta e di aumentare il controllo dell’offerta di moneta da parte dei politici. Le implicazioni dell’introduzione di una moneta elettronica sono sia nazionali sia internazionali. Da un lato, Pechino è da tempo preoccupata per il monopolio della moneta digitale da parte dei giganti della tecnologia e per il suo impatto sul sistema finanziario, dal momento che essa esula dalla vigilanza della banca centrale. Per quanto riguarda le implicazioni esterne, il maggiore, e forse il più importante, obiettivo dell’e-RMB potrebbe essere una sferzata all’internazionalizzazione del renminbi, che è in fase di stallo da quando nel 2018 è iniziata la guerra commerciale Cina-USA. Il rallentamento è più evidente nell’insediamento commerciale del renminbi e nell’utilizzo del renminbi nel progetto BRI. La politica di isolamento della Cina da parte degli Stati Uniti è un segnale per la Cina, che si vede costretta a cercare finanziamenti alternativi al di fuori dei mercati dei capitali statunitensi e in particolare del dollaro. La risposta diretta è il rafforzamento del mercato dei capitali del renminbi e l’internazionalizzazione della valuta locale. Se le banche cinesi sono bandite dal sistema di transazioni globali in dollari (SWIFT CODE), l’e-RMB è potenzialmente in grado di aiutare la globalizzazione del Paese, ma potrebbe anche rappresentare una vera e propria sfida per il dollaro come valuta di riserva mondiale». ©