giovedì, 25 Aprile 2024

Private equity top player: investiti 13 miliardi di dollari

Dal calcio al basket, dalla pallavolo al motociclismo, ma anche rugby, automobilismo, arti marziali: sono 13 i miliardi di dollari investiti in questi ultimi anni dai private equity nello sport. E se ora gli investitori rimangono in attesa degli sviluppi del conflitto tra Russia e Ucraina e i caro materie prime si attenui, sono comunque pronti a tornare a caccia di affari. Basti pensare che – come riferisce il “Global Private Equity Report 2022”, report annuale realizzato da Bain & Company – i private equity hanno a disposizione liquidità per 3.400 miliardi di dollari (3.100 miliardi di euro circa). Risorse che potrebbero accrescere la loro presenza nel mondo del calcio. È da tempo, infatti, che i fondi di private equity investono nello sport. Il primo grande deal ha riguardato la Formula 1, ma oggi è prassi consolidata vederli alla guida di club o leghe professionistiche. In Italia l’investimento principale ha riguardato il Milan, con il fondo Elliot che ha rilevato la maggioranza della società.

«Investire in un asset svalutato per farlo crescere e rivenderlo a un prezzo superiore: sembra essere questo il fil rouge che lega il mondo della finanza e quello della Serie A», dice Vincenzo Cagnetta, analista e consulente finanziario indipendente di Studio Enca. «Nel 2006 il fondo CVC Capital Partners, società finanziaria britannica specializzata in private equity, ha acquistato il Formula One Group per poco meno di 2 miliardi di euro. Così facendo è diventato proprietario del campionato di Formula 1. Tutto questo per occuparsi della gestione dei diritti televisivi: con una visione manageriale ha incrementato il valore della F1, che ha rivenduto al fondo americano Liberty Media dieci anni dopo, per circa 4 miliardi di euro. Data la buona riuscita dell’operazione, se ne sono viste di analoghe in svariati sport, dal rugby alla MotoGp. In tutti i casi si è avuto un miglioramento della redditività».

Quando è entrato in gioco il calcio?

«Recentemente, almeno dal punto di vista delle Leghe. La CVC Capital Partners ha provato ad acquistare la Serie A, che però ha rifiutato. Un’offerta analoga è stata presentata anche alla Ligue 1 francese e alla Liga spagnola che sono andate a buon fine».

Di quali cifre si parla?

«La Ligue 1 ha chiuso l’accordo per circa 1,5 miliardi di euro. Così facendo alla CVC è andato il 13% della newco. Soldi freschi per i club, costretti a fare i conti con due anni di pandemia: al Paris Saint Germain, per esempio, questo deal ha fruttato 200 milioni di euro. La Liga dovrebbe chiudere per una cifra maggiore, intorno ai 2 miliardi di euro (10% alla CVC)».

Perché la Serie A ha rifiutato?

«Prima c’era chi investiva e comprava una squadra, ora i diritti tv rappresentano la principale voce di ricavi: acquisire una Lega dà la possibilità al fondo di avere maggior potere contrattuale. La Serie A ha rifiutato una somma analoga a quella offerta alla Ligue 1. I Presidenti dei club italiani si sono opposti per un eccesso di protagonismo. Davanti a un colosso come CVC, il loro potere contrattuale e decisionale sarebbe stato inesistente. La reputo una scelta egoistica, che ha danneggiato il settore. L’apporto di esperienza e competenza e le connessioni che sarebbero potute convogliare sul campionato, sarebbero state notevoli. L’approdo di nuove competenze avrebbe avvantaggiato tutti: se un campionato diventa più ricco, allora genera redditività maggiori che possono consentire ai singoli team di investire di più. Non è altro che il modello aziendale seguito dalle squadre calcistiche inglesi: la Premier League punta sul merchandising e sui diritti tv, ha una gestione orientata al business».

Per i tifosi non è un addio al romanticismo e al calcio di una volta?

«Si è persa la visione romantica del Presidente, l’imprenditore della città che investe nella squadra che la rappresenta, ma al tempo stesso ci sono grandi aspetti positivi: alla fine, ciò che conta sono i risultati e una gestione sana del fair play finanziario. Non c’è distruzione di valore: l’unico aspetto può esserci quando il fondo vende la squadra. In quel caso diventa delicato il passaggio di proprietà: occorre che la nuova amministrazione sia competente, altrimenti si rischia un danno».

I tifosi del Milan, però, hanno criticato l’immobilismo di Elliott nel mercato di gennaio…

«Si è scelto di non rinnovare contratti assai onerosi, perdendo a parametro zero calciatori come Gianluigi Donnarumma o Franck Kessié. Per un tifoso può sembrare un passo indietro, ma Elliott ha in mano la gestione economica della squadra e quindi ragiona in maniera semplice: se il valore di un giocatore è ritenuto inferiore alle sue pretese salariali non lo accontenta. La stessa cosa vale per gli acquisti: Elliott ragiona da azienda e quindi valuta il valore di un giocatore anche in base all’età e al potenziale, ma soprattutto in un’ottica futura. Per esempio, valuta la possibilità di creare una plusvalenza. Per questo motivo il Milan ha avviato il nuovo corso puntando su giovani meno conosciuti, che si possano acquistare a poco e valorizzare, per poi generare ricavi. Così lavora un fondo».

Simone Vazzana

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FOTO copertina da Unsplasy
FOTO interna da Unsplash