Rischio boomerang per L’UE a causa delle sanzioni imposte al Cremlino? Il rischio c’è. Per i traffici marittimi già si stima una riduzione che oscilla dal 25% fino al 40%, se si prende in considerazione anche l’area balcanica. «I maggiori riflessi negativi si stanno avendo e si avranno sul versante dell’alto Adriatico, penso soprattutto ai porti di Venezia e Ravenna che rappresentavano importanti punti di riferimento per l’import di materie prime come cereali (grano su tutti) e acciaio, commodity che in larga scala provenivano proprio da Russia e Ucraina», dice Stefano Messina, Presidente di Assarmatori, l’associazione di categoria dell’industria della navigazione che rappresenta gli armatori italiani, dell’Unione Europea e dei paesi terzi che operano da noi. «Non così rilevanti, invece, gli effetti sui porti della sponda tirrenica del nostro Paese, dove i traffici con questi due Paesi negli ultimi anni sono stati residuali. Risulta comunque ancora difficile quantificare con esattezza quali saranno tali conseguenze. Dipendono anche da quanto andrà avanti in conflitto».
A pesare sul settore c’è anche il caro energia…
«Impatta sul trasporto marittimo in modo dirompente. Le compagnie monitorano ogni giorno l’andamento dei costi e stanno facendo il possibile per non trasferire questi aumenti sui consumatori finali. Nelle scorse settimane in alcuni casi ci sono stati ritocchi verso l’alto, tutt’altro che elevati però, per quanto riguarda il traffico merci, ma il problema rischia di ripercuotersi a stretto giro di posta anche su quello dei passeggeri. Indicativamente il surplus per una traversata Genova-Olbia-Genova si aggira intorno ai 30mila euro, costo di cui le imprese di navigazione non possono farsi carico da sole. Il nostro settore è stato escluso dalle misure messe in atto dal Governo per calmierare gli effetti del caro carburante e non sono neanche state ricomprese, inspiegabilmente, fra quelle cosiddette energivore. Ma di questo passo i costi rischiano appunto di essere scaricati sui consumatori finali, portando a un aumento della tendenza inflativa già in atto. Un fatto che, per la particolare confermazione geografica del nostro Paese, rischia di rendere più problematica la continuità territoriale, tutelata anche dalla Carta Costituzionale, con riflessi evidenti anche sulla filiera turistiche delle isole».
Quanto e come incideranno le tensioni geopolitiche sull’intera filiera della blue economy?
«Parecchio. Abbiamo già detto dei riflessi di natura prettamente economica, ma c’è un altro fattore che occorre prendere in considerazione. Le tensioni geopolitiche, per giunta così vicine all’Italia, impattano molto anche a livello psicologico: aumenta il costo della vita, c’è meno predisposizione al consumo, cala la voglia di vacanze, si predilige un turismo di prossimità. Questo sta avendo e avrà ripercussioni sul trasporto marittimo dei passeggeri, sia esso relativo ai traghetti o alle crociere. Accanto a questo, però, occorre dare anche un messaggio positivo. Gli armatori, e in generale tutta la filiera della blue economy, anche in questo contesto stanno dimostrando il loro ruolo fondamentale per il Paese. Durante la pandemia hanno assicurato il rifornimento dei beni e la mobilità dei passeggeri, per quanto limitata dalle misure di contenimento del virus, adesso, e mi riferisco in particolare al tema energia, proprio asset come le navi rigassificatrici sono strategici per ridurre la nostra dipendenza dal gas russo. Ma gli esempi potrebbero essere molti di più».
I porti del Mediterraneo sono sempre più centrali nei traffici commerciali internazionali e possono rappresentare un tassello importante per la ripartenza del Sud. Quale ruolo avranno nei prossimi anni?
«Più che poter rappresentare un tassello per la ripartenza del Sud, devono essere la principale leva di sviluppo, crescita e nuova occupazione. Ma occorre una visiona olistica. Alcune misure in arrivo dall’Unione Europea – mi riferisco al pacchetto Fit for 55 e specificatamente all’inserimento dello shipping all’interno dell’ETS, il sistema di scambio delle quote di emissione a livello comunitario – rischiano tuttavia di penalizzare anche e forse in modo irreparabile questi scali. Se il pacchetto dovesse essere approvato così come è scritto oggi, ad esempio, il traffico di transhipment – che ha rivitalizzato lo scalo di Gioia Tauro e che inizia a dare qualche seppur timido segnale di ripresa anche a Cagliari e Taranto – verrebbe spostato verso scali nordafricani, affacciati sul Mediterraneo come i nostri ma fuori dall’area europea, e peraltro oggetto di grandi investimenti, sia già attuati sia in programma».
Inoltre cresce la necessità di predisporre nuove rotte per creare approvvigionamenti di materie prime in precedenza importate da Russia e Ucraina. Dove bisogna guardare?
«Nelle scorse settimane, a un tavolo settoriale convocato al Ministero degli Affari Esteri proprio per discutere di queste tematiche, Assarmatori ha manifestato la disponibilità a collaborare con il Governo per stringere al più presto nuovi accordi commerciali con quei Paesi che possano ‘sostituire’ Russia e Ucraina per quanto riguarda le materie prime che in precedenza arrivavano da questa area. Parliamo del Canada e del Sud America per i cereali, dell’India per l’acciaio, giusto per fare due esempi. Occorre fare in fretta, per evitare di rimanere intrappolati nel noto meccanismo economico che vede, a un repentino aumento della domanda, un altrettanto rapido e incontrollabile aumento dei prezzi».
Altro vulnus è la riforma del Registro Italiano Internazionale delle navi, che è molto discussa
«Stiamo parlando di uno strumento che dal 1998, anno della sua introduzione, è stato fondamentale per mantenere le aziende armatoriali in Italia e permettere loro di continuare a creare valore, ricchezza e occupazione. Adesso che siamo vicini a un punto di svolta, che peraltro prevede il recepimento di una Decisione della Commissione Europea datata giugno 2020, assistiamo a polemiche francamente incomprensibili, che mischiano elementi diversi fra loro».
Secondo i sindacati, una norma prevista del decreto trasporti-logistica consentirebbe alle imprese marittime anche straniere una tassazione agevolata non solo per le attività portuali, ma anche per l’intera filiera logistica a terra, metterebbe a rischio la concorrenza e rappresenterebbe un vero e proprio dumping strutturale da parte di alcuni grandi operatori. Per Messina l’interpretazione del testo è fuorviante: «la novità in questione è figlia di una Decisione della Commissione UE, che va proprio nella direzione contraria rispetto a quanto paventato. I beneficiari dell’aiuto al trasporto marittimo potranno considerare le attività a terra nei redditi ammessi a beneficio nel limite del 50% come chiesto proprio dalla Commissione per uniformare il nostro regime a quello degli altri Stati membri della UE».
Il settore, però, tiene duro…
«Nonostante i tanti “cigni neri” che si sono affacciati in questo periodo – la pandemia, la disruption della supply chain a livello globale, il conflitto russo-ucraino, il caro carburante – il comparto in Italia è vivo e vitale e continua a svolgere il suo ruolo di infrastruttura imprescindibile al servizio del Paese». ©