Con 250mila turisti che ogni anno decidono di trascorrere le loro vacanze alla scoperta delle bellezze nascoste in fondo al mare italiano e un giro d’affari che genera 250 milioni di euro, il turismo archeologico sott’acqua è in costante crescita. Non solo. Il settore moltiplica anche l’impatto economico sul territorio ed è già pronto per una stagione da record. «Non assisteremo a una battuta d’arresto, perché il turismo culturale è il prodotto turistico per eccellenza dell’offerta del nostro Paese», dice Ugo Picarelli, fondatore e direttore della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico. «Le nostre località sono già tutte impegnate in overbooking per questa estate. E molti turisti saranno americani».
Nell’ipotesi di attirare il 7% degli attuali arrivi turistici culturali del Paese nel “mondo culturale subacqueo”, si genererebbe un incremento di un giorno di presenza in più per vivere questa esperienza culturale. L’impatto economico sul territorio nazionale sarebbe di 1 miliardo di euro in termini di valore aggiunto (4 volte il valore attuale). Quali sono le previsioni per il 2022?
«Il turismo si è evoluto e, oggi, si guarda in una chiave diversa: di sostenibilità, autenticità ed esperienza. Quello che una volta chiamavamo turista, adesso siamo soliti chiamarlo viaggiatore. Ci sono nuovi bisogni da soddisfare durante la propria vacanza o tempo libero e la pandemia ha accelerato questa necessità. L’escursionismo subacqueo risponde a questo trend, fatto di identità del territorio, con reperti e siti che ne raccontano la storia. Al tempo stesso, si vive anche un’esperienza suggestiva da un punto di vista paesaggistico nel rispetto della natura. La tutela è una delle caratteristiche più importanti. Attorno al turismo archeologico marino non ruotano solo aree protette. Come il Parco Sommerso di Baia, in Campania, gestito dal Parco archeologico dei Campi Flegrei. Tutto ciò si traduce in sviluppo locale dei vari diving, cooperative, piccole società, soprattutto di giovani-operatori che vogliono ampliare le conoscenze archeologiche».
In che modo?
«Riconoscendo alla guida turistica una specializzazione in “archeologia subacquea”, come lo è oggi la guida naturalistica o quella ambientalista. Una figura che potrebbe trovare molto spazio in Regioni, come la Sicilia, che vanta un patrimonio di ben 23 itinerari subacquei e una Soprintendenza del mare costituita grazie all’ex assessore ai Beni culturali Sebastiano Tusa».
Quanto bisogna investire per migliorare il Turismo 4.0?
«Quando si parla di promozione turistica, quindi, valorizzazione di un territorio, alla base di tutto c’è la tutela. Il fatto che queste aree marine siano protette, significa anche amplificare l’attenzione su quel luogo. Ma non bisogna farlo solo a livello normativo ma, soprattutto, da un punto di vista della prevenzione. Qui servono gli investimenti. Per esempio, grazie a monitor sofisticati si può potenziare la vigilanza a distanza ed evitare che vengano trafugati i reperti, venduti successivamente sul mercato clandestino, come successo in tanti luoghi».
Nel mondo si registrano oltre 202mila relitti (15.641 naufragi noti e sconosciuti si trovano nel Mediterraneo). Nel nostro Paese, a oggi, su una mappatura del 50% dei fondali italiani, sono stati censiti oltre 1.300 tra siti e relitti sommersi. Quanto bisognerà investire per continuare il lavoro di censimento?
«Il lavoro di mappatura ha visto protagonista il ministero della Cultura con il progetto Archeomar, oltre 10 anni fa. Sappiamo bene che non ci sono molte risorse nel nostro Paese, o comunque, quelle che ci sono, servono anche per altre priorità. Però, basterebbe mettere a regime un modello di gestione organizzativa o di itinerari più alla portata. Parliamo, per esempio, delle Tremiti, della Calabria con Capo Rizzuto o la Sicilia con i suoi 23 itinerari subacquei».
Quale potrebbe essere una soluzione?
«Qualificare i diving, avere un operatore subacqueo che sia anche archeologo. In questo modo si offre una conoscenza più approfondita al viaggiatore durante l’immersione, piuttosto che limitarsi a dare solo gli strumenti tecnici per andare sott’acqua».
Quanto è importante fare rete?
«Sarebbe interessante far entrare gli itinerari subacquei delle Regioni del Mezzogiorno negli itinerari culturali europei come già messo in atto dal Consiglio d’Europa con il Cammino di Santiago o la Via Francigena. Ma la rete si può ampliare in Grecia, ad Alonissos, dove recentemente è stato inaugurato un museo archeologico, a Peristera, a Cesarea Marittima (Istraele), Alessandria d’Egitto, che ha dei reperti straordinari vicino al porto, per finire con la Turchia, dove sono stati inaugurati durante la pandemia alcuni musei archeologici».
Quale ruolo possono avere i Centri studi, le associazioni, i pescatori, i subacquei e le comunità locali nella tutela del patrimonio marino?
«Il ministero della Cultura ha all’interno del proprio organigramma anche una Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo che ha sede a Taranto, in Puglia. Il fatto che ci sia un ente che si occupi di archeologia subacquea, per di più in una Regione del Mezzogiorno, è importante. Ma lo è altrettanto il fatto che bisogna mettere in condizioni questa Soprintendenza di svolgere le proprie attività, sia da un punto di vista economico che di organico. Sembra siano esigue sia le risorse che le professionalità. Bisogna fare ancora molto».
L’età media del turista subacqueo oscilla tra i 20 e i 39 anni. In Italia si stimano circa 250mila presenze, ma la domanda si potrebbe moltiplicare. L’innovazione tecnologica quanto può migliorare l’offerta?
«Tantissimo, soprattutto attraverso la multimedialità e il virtuale. Oggi molti viaggiatori pianificano direttamente da casa non solo la sistemazione alberghiera, quindi l’aspetto logistico e di trasporto, ma anche la soddisfazione dei loro bisogni. Avere l’opportunità di conoscere i contenuti scientifici, gli aspetti legati alla profondità e alla modalità di accesso al mare, i servizi accessori e di accompagnamento dell’eventuale visita, è fondamentale. Si può ampliare la fascia di età rendendo i siti accessibili a tutti. Faccio un esempio: a Baia Sommersa o al Parco di Gaiola a Napoli non c’è il limite della bombola, quindi non c’è bisogno di avere un brevetto per scendere in profondità. Ma le persone non lo sanno». ©