A ostacolare i processi di dragaggio è il caos di normative. E a rendere sempre più difficili le operazioni ci si mette anche la regolamentazione che cambia in base ai contesti ambientali e territoriali. «Il settore è caratterizzato da molte fonti del diritto. Ogni volta ci sono da consultare direttive europee, leggi, decreti, manuali, linee guida nazionali e sentenze che sono state pubblicate in un arco di circa quarant’anni», dice Sergio Cappucci, ricercatore ENEA l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile. «È arrivato il momento di emanare una legge quadro di riordino, come è stato fatto in passato con successo in altri ambiti, che, all’interno di un unico testo, offra chiare definizioni, stabilisca precise competenze, definisca gli ambiti e i presupposti e delinei una procedura semplice da attuare e proporzionata rispetto agli obiettivi e alle esigenze».
Con gli investimenti previsti nei prossimi quattro anni per i porti italiani nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), si risolverà il problema dei dragaggi?
«Il PNRR prevede finanziamenti importanti per le infrastrutture, anche per quelle portuali, ma non risolverà i problemi dei dragaggi. Per provare a fare dei passi in avanti bisognerebbe lavorare a livello di governance, condividendo e testando soluzioni di intervento più innovative rispetto a quelle a cui siamo abituati. Prelevare sabbia sopraflutto alle infrastrutture aggettanti in mare e versare gli stessi sottoflutto (in gergo tecnico lo chiamiamo by-pass) è ancora una pratica utilizzata poco e/o male. Sono invece interventi che andrebbero condotti periodicamente, anche se coinvolgono diverse amministrazioni e prevedono la competenza di diversi portatori di interesse e istituzioni. Bisogna riconoscere al dragaggio la dignità di procedimento amministrativo complesso per prevenire i problemi di insabbiamento e accettare costi e tempi lunghi per trattare i sedimenti in modo che possano essere riutilizzati».
Il problema quanto può influenzare negativamente sull’evoluzione della geografia economica del trasporto merci internazionale?
«Difficile quantificare l’influenza negativa che i dragaggi hanno sulla nostra economia. Le infrastrutture portuali italiane soffrono di insabbiamenti periodici e molti hub portuali non hanno fondali adeguati che possano renderli appetibili sul mercato internazionale. Questo vale sia per i porti turistici sia commerciali. Un approfondimento intorno ai dodici metri darebbe sicuramente una maggiore competitività ad alcune strutture portuali. Anche per le ricadute economiche e lo sviluppo dei territori potrebbe essere utile avere dei dettati normativi che, in modo più esaustivo, distinguano tutti gli adempimenti da eseguire per operare in un’ottica di sviluppo sostenibile. Ad oggi, invece, l’obiettivo di molti interventi è finalizzato nel non incorrere in guai giudiziari e non a perseguire la pubblica utilità e la gestione sostenibile delle risorse naturali».
In che modo si può pensare al sedimento di un dragaggio come rifiuto da riutilizzare?
«La legge considera il sedimento come rifiuto nel momento in cui è chiaro che il produttore se ne voglia disfare. Determinati livelli di contaminazione ne rendono difficile, costoso, talvolta impossibile il riutilizzo. A quel punto non resta che smaltirlo in discarica o, per livelli di contaminazione più contenuti, isolarlo dall’ambiente marino costiero. Il modo più economico e semplice per garantire questo isolamento è quello di tombare il materiale all’interno delle casse di colmata. Il vantaggio è che in questo modo si può ampliare il layout portuale. Lo svantaggio è che si contribuisce a sottrarre sedimento dalla fascia costiera e a esacerbare il fenomeno dell’erosione costiera. Il turismo in Italia incide per circa il 10% del nostro PIL (Prodotto Interno Lordo) e abbiamo perduto 40 milioni di metri quadrati di spiaggia: sono nove campi da calcio per ognuno dei 645 comuni costieri. Con i cambiamenti climatici in atto e l’innalzamento del livello medio del mare atteso per il 2100 è urgente trovare un modello di sviluppo diverso, che favorisca il riutilizzo della sabbia e/o riduca la frequenza dei dragaggi delle aree portuali dove il sedimento è più esposto alla contaminazione».
Quali sarebbero i benefici economici?
«Con la parola ecodragaggio possiamo classificare tutte quelle operazioni di escavo che hanno un impatto ambientale ridotto sia sul fondo marino o portuale che sulla colonna d’acqua. E può essere considerato tale quando l’intervento è eseguito riducendo al minimo la torbidità e la sospensione dei sedimenti dalla zona di intervento e questo accorgimento è tanto più importante e necessario nel momento in cui il materiale scavato presenta livelli di contaminazione che possono creare un problema per l’ambiente circostante o per la salute. Tecnologie avanzate mirano, attraverso specifiche tecnologie di escavo, a separare la frazione liquida da quella solida e a separare diverse frazioni granulometriche al fine di dividere la ghiaia e la sabbia più grossolana (solitamente meno contaminata) da quella più fine (solitamente più contaminata)».
A Genova si sta studiando un progetto sul “Parco tecnologico subacqueo Duilio Marcante”. L’obiettivo è quello di trasformare uno specchio acqueo portuale inquinato in un parco marino dove svolgere attività acquatiche ludiche, competitive e di formazione. Quali possono essere i benefici economici e occupazionali?
«Non conosco nello specifico il progetto in quanto non ho avuto modo di esaminarlo. Da come viene descritto, però, sembra trattarsi del tipico esempio di intervento di risanamento ambientale che mira, al contempo, a valorizzare il territorio e creare un’occasione di crescita e sviluppo economico. Segue la filosofia di lavoro e di progetti integrati che abbiamo noi in ENEA: con competenze e gioco di squadra un problema può trasformarsi in un’opportunità!».
Un progetto di questo genere quanto può essere attuabile anche in altre Regioni?
«La logica dei co-benefici ambientali, sociali ed economici è proprio alla base dello sviluppo sostenibile e dovrebbe essere declinata a 360° in tutti gli interventi di riqualificazione, non solo quelli finanziati dal PNRR. È indubbio che abbiamo perso tante opportunità, ma sono ottimista e penso che, sebbene il tempo che abbiamo a disposizione sia sempre meno, abbiamo ancora modo di recuperare il tempo perduto e far progredire il nostro Paese. Lo dobbiamo alle generazioni future». ©
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