sabato, 20 Aprile 2024

Asili nido: i 3,1 mld del PNRR bastano per cambiare?

Sommario
Asili nido

Con 361.318 posti il livello di copertura degli asili nido in Italia (definito come numero di posti nei servizi educativi per 100 bambini residenti sotto i 3 anni) era del 26,6% (ultimi dati disponibil 2019/2020). Un numero ben al di sotto del target europeo del 33%, tenendo conto che Spagna e Francia hanno già superato il 40 per cento nel 2020. Inoltre, la media nazionale nasconde una marcata eterogeneità regionale. Infatti, mentre le regioni del Centro-Nord e la Sardegna raggiungono in media valori attorno al 30 per cento e, in alcuni casi (Valle d’Aosta, Umbria, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Friuli-Venezia Giulia), superano l’obiettivo europeo, al Sud il tasso di copertura crolla fino a poco più del 10 per cento. I motivi di questa marcata differenza sono dversi. A pesare, soprattutto, sono i costi delle rette a carico dei genitori.

«In questi 50 anni le strutture di prima infanzia, hanno fatto tanta strada. Ma con molte differenze: se nel Settentrione, anche sotto la spinta del Reggio Approach (un tipo di approccio pedagogico che si incentra sul bambino che apprende e cresce nella relazione con gli altri) ne sono nate molte in questi anni, nel Mezzogiorno il nido è una realtà ancora poco conosciuta», dice Antonia Mastro, pedagogista clinica e consigliera ANIPED (Associazione Nazionale Italiana Pedagogisti) nazionale.
«Dal punto di vista della disponibilità dei servizi sul territorio, sono ampi i divari a sfavore delle famiglie residenti al Sud e nei Comuni più piccoli. A livello regionale i limiti di copertura più alti si registrano in Umbria (44%), seguita da Emilia Romagna (40,7%) e Valle d’Aosta (40,6%). Fanalino di coda Campania e Calabria, ancora sotto il 12%. Per quanto riguarda i capoluoghi di provincia, la media è del 34,3% di copertura, con ampie distanze: quelli umbri al 47% e quelli siciliani all’11,6%.
Sono 65 le città capoluogo con valori maggiori o uguali al 33% mentre 44 restano sotto il target. I Comuni non capoluogo si attestano al 24,2% posti per 100 residenti sotto i tre anni (23,9% nel 2019). Parlando in termini di offerta pubblica sui posti complessivi, la maggior parte delle regioni meridionali ha una quota di posti nei servizi educativi a titolarità comunale inferiore al 50% e una spesa media dei Comuni per bambino residente sotto il valore nazionale. Le regioni del Centro-Nord che hanno superato il 33%, invece, hanno un’offerta pubblica molto consistente e radicata  e anche quando le quote di pubblico sono inferiori al 50%, i livelli di spesa dei Comuni sono comunque alti, non solo per la gestione dei nidi comunali, ma anche per il convenzionamento con i servizi privati».

Qual è la situazione nelle regioni meridionali?

«In Calabria solo il 2% dei bambini 0-3 anni è iscritto al nido e questo succede per il fallimento dell’obiettivo che la legge 1044 si era data, ovvero costruire 3800 asili nido tra il 1972 e il 1976 che ha determinato il permanere dell’Italia agli ultimi posti in Europa nella rete dei servizi 0-3. Un’altra ragione è individuata dal circolo vizioso per cui i nidi favoriscono le coppie in cui entrambi i genitori lavorano ma, così facendo, precludono l’accesso alle madri che vivono nelle città del Sud in cui l’occupazione femminile è scarsa o inesistente.
Ma questa situazione non fa altro che rallentare o ostacolare l’ingresso di quelle donne nel mercato del lavoro proprio perché è difficile per loro trovare un posto per i loro piccoli nelle strutture educative. E la probabilità per le donne di uscire o di rimanere più a lungo fuori dal mercato del lavoro per motivi familiari è più alta che al Nord.
Ritengo che sia di fondamentale importanza garantire l’accesso, come già accade per le scuole dell’infanzia e le scuole dell’obbligo, a tutti i bambini i cui genitori decidano di inserire il proprio figlio nelle strutture educative 0-3. Possiamo infatti affermare che la resistenza culturale solo in parte incide sulla scelta di non inserire il proprio figlio in un asilo nido. La decisione è determinata molto di più dalla difficoltà delle famiglie a sostenere il costo delle rette. La frequenza dell’asilo nido infatti è a pagamento e quasi totalmente a carico dei genitori».

Dal 2017 è stato introdotto il bonus asilo nido. Quanto è servito per superare le disuguaglianze territoriali e socioeconomiche delle famiglie italiane? I beneficiari della misura nel 2020 sono stati 272mila, pari al 21,1% della popolazione dei bambini sotto i tre anni

«Il bonus è stato un grande aiuto alle finanze delle famiglie, perché sostenendo economicamente l’ingresso dei bambini al nido, ha facilitato lo sradicamento, almeno in parte, della resistenza culturale a valorizzare il progetto educativo 0-3. A superare la concezione del nido come luogo di accudimento o addirittura di parcheggio, come strumento di conciliazione sic et simpliciter per consentire alle donne di entrare nel mondo del lavoro e la resistenza di un filone della pediatria che, non considerando il bambino nella sua interezza, vede nei nidi solo un luogo di contagio delle malattie».

Tra le criticità nella gestione dei nidi in emergenza sanitaria ci sono stati maggiori costi, carenza di risorse economiche, difficoltà delle famiglie nel pagare le rette. Le misure messe in campo per adattare il servizio al contesto pandemico sono state diverse. Quanto sono state utili?

«A questo proposito, è importante sottolineare che il periodo pandemico ha sicuramente rappresentato un momento di grande prova della resistenza delle strutture educative 0-3. La paura da parte dei genitori del contagio, il riadattamento dei servizi al contesto pandemico e, conseguentemente, i maggiori costi sostenuti dalle Amministrazioni sono stati di forte impatto per la vita dei nidi. Ma non hanno ridotto l’impegno, la tenacia e l’intraprendenza dei coordinatori e degli educatori che hanno saputo riadattarsi alla nuova e inaspettata situazione: sono state create le cosiddette bolle, sono stati realizzati interventi edilizi, sono stati ammessi un numero inferiore di bambini lì dove è stato difficile implementare il personale educativo…
Tutti interventi necessari e utili affinché il percorso non subisse arresti o rallentamenti. Possiamo a buon ragione e anche con un pizzico di orgoglio affermare che mentre la maggior parte del mondo si fermava, il Progetto 0-3 andava avanti con maggiore determinazione. In quei mesi per molti bambini il nido è stato l’unico luogo di socializzazione, oltre lo stretto nucleo familiare. E tutto il personale ha colto la sfida, dimostrandosi all’altezza della situazione nella consapevolezza che in quel momento l’asilo nido era chiamato a ricoprire un ruolo sociale ancora più importante».

La quota di posti nei servizi educativi rispetto ai bambini e bambine sotto i tre anni è del 27,2% (di cui 49,1% in strutture pubbliche). In che stato di salute si trovani i nidi?

«I nidi per l’infanzia, nati con la legge 1044 del 6 dicembre 1971, sono una significativa realtà del nostro Paese. Sorti con lo scopo di assistere i figli dei genitori impegnati in attività lavorative, rappresentano oggi una valida realtà educativa di sostegno al ruolo genitoriale».

Diminuiscono le iscrizioni, i mesi di frequenza e, quindi, l’ammontare delle rette pagate dalle famiglie. Quali sono le conseguenze?

«Concordo con Daniele Novara, pedagogista della pace, che li ha definiti “la nostra migliore istituzione pedagogica in quanto aumentano il livello intellettivo dei bambini, la loro autonomia, la loro capacità di relazione”. Frequentare un asilo nido, continua Novara, “apre praterie di possibilità”. Più di duemila ricerche scientifiche dimostrano quanto frequentare un nido aiuti il bambino nel suo sviluppo psicoevolutivo. È una formidabile chance che poi si ritrova nella vita adulta.
Siamo convinti che il nido rappresenti un luogo dove: rispettare la dimensione individuale e la unicità del bambino, prendersi cura del suo essere Persona nelle dimensioni affettivo, cognitivo, relazionale, comunicativo, fisico-motorio, volitivo, facilitare il percorso verso l’autonomia personale, allargare la rete di relazioni sociali dal nucleo familiare all’esterno domestico. Educatori, collaboratori e coetanei, garantire una esperienza significativa capace di costruire saperi e identità, apprendere, conoscere e vivere la multiculturalità socio – economica e antropologica attraverso il vivere di bambini, educatori, collaboratori afferenti a una società multi etnica, fare esperienza reale e concreta dell’inclusione dell’io e del diverso da noi, i piccoli infatti, hanno un accettazione incondizionata verso ogni essere umano ancor più se loro coetaneo.
I piccoli vivono l’altro da sé a prescindere dalle differenze e dalle etichette tipiche della categorizzazione fatta nel mondo adulto, i bambini non parlano ad esempio di normodotato o di diversamente abile, i bambini parlano e vivono le persone nella loro interezza e unicità, si sentono fin da piccoli una micro comunità. Negli asili, inoltre, si promuove e si sostiene lo sviluppo delle identità attraverso il benessere psico-fisico, il riconoscimento della propria unicità, l’appartenenza ad una comunità, l’autonomia, attraverso la gestione del corpo, la partecipazione in contesti nuovi, la fiducia, la perseveranza, l’autocontrollo, l’espressione degli stati affettivi con linguaggi diversi, l’esplorazione della realtà, l’accettazione delle regole. E queste praterie di possibilità non sono solo destinate ai piccoli utenti, ma coinvolgono anche i genitori, i nonni, gli zii». ©