domenica, 28 Aprile 2024

Lavoro minorile: in Italia ristorazione maglia nera

Lavoro minorile

In Italia ancora centinaia di migliaia di bambini lavorano al di sotto dell’età consentita dalla legge. La giornata mondiale contro il lavoro minorile ricorda che questo problema non appartiene soltanto ai paesi più poveri.

I numeri del lavoro minorile in Italia e nel mondo

La Convenzione sui diritti dell’infanzia definisce lavoro minorile o infantile quello svolto da chi ha tra i 5 e i 17 anni. Nel mondo sono oltre 160 milioni i bambini costretti a lavorare e quasi la metà, 79 milioni, svolge una mansione dura o pericolosa che mette a repentaglio il loro benessere psicofisico.

In Italia la situazione è migliore, ma i numeri sono comunque preoccupanti. La nostra Costituzione dà criteri diversi per il lavoro infantile, limitandolo all’età di 15 anni a patto che il ragazzo abbia frequentato 10 anni di scuola.

Stando a queste indicazioni, più larghe di quelle internazionali, ci sono comunque 336 mila persone nel nostro Paese che hanno avuto esperienze lavorative a quell’età senza rispettare i criteri di legge. Non è facile invece capire quale sia la situazione attuale dei bambini lavoratori in Italia, dato che manca una rilevazione sistematica di questi dati.

Cosa fanno i lavoratori minorenni in Italia?

A compensare parzialmente questo vuoto di informazioni ci ha pensato lo studio Non è un gioco, della Fondazione Di Vittorio, che ha anche individuato quali siano i settori che sfruttano di più il lavoro minorile e infantile nel nostro Paese.

In testa, con il 25,9% degli intervistati, c’è la ristorazione, seguita dalla vendita al dettaglio che si attesta attorno al 16%. Ancora marginale ma in crescita il fenomeno dei lavoratori bambini online, nel campo della pubblicità principalmente, al quale fanno riferimento solo il 5% delle persone interessate dall’indagine.

Altri studi riportano che ben 2,4 milioni delle persone attualmente in età lavorativa in Italia abbia iniziato prima dei 16 anni di età a lavorare. Questo fenomeno si intreccia con un altro problema dei giovani italiani: l’abbandono scolastico.

Attratti dalla possibilità di cominciare a guadagnare, anche in maniera non regolare, molti ragazzi non completano la loro istruzione e rimangono senza un diploma di scuola superiore. Questo crea presupposti per gravi situazioni di povertà nel loro futuro, ponendoli a rischio di diventare NEET, cioè quella fetta della popolazione in età lavorativa che non studia, non lavora e non sta frequentando nessun corso di formazione. ©

📸 credits: Canva

Attento alle tendenze e profondo conoscitore della stampa estera, è laureato in Storia del giornalismo all’Università degli Studi di Milano. Dinamico, appassionato e osservatore acuto, per il Bollettino si occupa principalmente del mondo dello sport legato a quello finanziario e del settore dei videogiochi, oltre che delle novità del comparto tecnologico e di quello dell’energia.