sabato, 4 Maggio 2024

Lupoi, OICE: «L’ingegno italiano? È un brand importante, che va supportato»

DiIlaria Mariotti

15 Gennaio 2024

Le professioni intellettuali corrono. Talmente veloce che «se guardiamo al solo settore dei servizi legati alla consulenza, la crescita è del 90%», dice Giorgio Lupoi, Presidente di OICE, associazione delle organizzazioni di ingegneria, e designato alla presidenza della neonata Professioni e Management, la decima federazione di settore in Confindustria dedicata ai servizi. A lanciarla insieme a OICE è ASSOCONSULT, ente che raccoglie le società di consulenza più importanti in Italia. Due realtà che da sole rappresentano un fatturato complessivo di 10 miliardi. In Confindustria, di federazioni di settore, ovvero aggregati di associazioni, ve ne sono già a copertura del settore dell’edilizia, della meccanica, della chimica e della moda. Ma a servire adesso è un contenitore comune che possa rappresentare un’industria tra le più sane e attive. Con la benedizione del Vicepresidente di Confindustria Alberto Marenghi, forte sostenitore del progetto. L’idea, fa sapere Lupoi, nasce perché «il lavoro intellettuale deve avere un peso specifico e una rappresentanza più efficace all’interno dell’organizzazione di Confindustria». Il mandato del Presidente Carlo Bonomi è in scadenza e in primavera si voterà. Passando per l’elezione dei 130 membri del Consiglio generale, organo di indirizzo politico e di raccordo e coordinamento tra il vertice e la base associativa, di cui fanno parte i rappresentanti di tutte le diverse articolazioni del sistema. L’unione di più realtà associative nella federazione consentirà di partecipare al voto anche alle entità più piccole.

Quali altre associazioni entreranno nella federazione?

«Abbiamo una base importante, perché insieme, tra OICE e ASSOCONSULT, contiamo 100mila addetti totali. Ma non possiamo limitarci a due, altrimenti non resisteremmo più di qualche anno. La prossima a cui andremo a chiedere sarà UNA, Unione nazionale aziende della comunicazione, che riunisce le società di comunicazione che si occupano di grandi brand. E poi ASSIRM, Associazione delle società di ricerca di mercato. E ancora ASLA, che riunisce i grandi studi legali dedicati alla consulenza. L’idea è quella di una casa che riunisca tutte le associazioni del mondo dei servizi».

Insomma, il mondo del lavoro intellettuale cerca una casa comune. È curioso che questo avvenga proprio ora, che alcuni colgono gli sviluppi dell’AI per profetizzare la fine di questo tipo di professioni: preoccupati?

«Tutt’altro. La preoccupazione è diffusa soprattutto tra chi non usa il lavoro intellettuale. Si crede erroneamente che sia un’insidia, quando in realtà sarà un’opportunità. Sarà con l’investimento e la valorizzazione del capitale umano che potremo governare la grande rivoluzione in arrivo. Che porterà sicuramente a una perdita di posti di lavoro, ma ne farà nascere di altri che neppure riusciamo a immaginare al momento».

Il futuro è delle professioni dell’intelletto, dunque?

«Io ho un motto personale che è: “Non c’è più manifattura senza ingegno e non c’è più industria senza soft skills”. È vero che, se guardiamo alla manifattura in senso stretto, quei 10 miliardi di business che rappresentiamo noi di OICE con ASSOCONSULT sono numeri relativamente piccoli. Ma si tratta di un segmento che fa da volano e di cui beneficia tutta la filiera produttiva. Il rapporto, sempre in termini di fatturato, rende uno a dieci su tutti i nostri settori di intervento. Perché è il capitale cosiddetto Head Made che poi consente di fare le macchine della vecchia Fiat o le gomme della Pirelli, o i conduttori alla STMicroelectronics, tanto per fare qualche esempio».

Le imprese italiane sono sufficientemente aperte verso l’esterno?

«A frenare la crescita del nostro Paese, che ha una produttività ferma agli anni Novanta, è stata proprio una certa mentalità. Quella del “si è sempre fatto così” che è un po’ tipica delle PMI italiane che, come sappiamo, compongono la maggior parte del nostro tessuto economico. Le aziende si passano di padre in figlio, perché se la figlia era femmina neanche si considerava l’ipotesi di metterla alle redini dell’azienda. E si è sempre stati un po’ restii al cambiamento».

Qual è il risultato?

«Manca la visione data dal manager. Lo vedi per esempio nell’edilizia, quando si costruiscono grandi opere che non hanno seguito un criterio. Diventano magari belle, ma lontane o inaccessibili. Si perdono tempo e soldi. In questi casi, servono le competenze di ingegneri infrastrutturali. Più in generale, vale per ogni settore: ci sono saperi che trovi nei ragazzi che si sono andati a formare all’estero, che magari escono dal Politecnico di Milano o da Tor Vergata a Roma, che i 40-50enni spesso si sognano. Sono risorse che avrebbero tutte le capacità per essere grandi manager alla guida delle aziende».

È questa la direzione in cui devono andare i ragazzi italiani per avere la certezza di essere occupati?

«Se studi materie STEM oppure ti laurei in ingegneria gestionale o economia, sei certo che ti potrai reinventare e il lavoro non ti mancherà mai. Al contrario di quelle professioni molto tecniche, per le quali il rischio rimane quello di essere superate con il progresso. Penso al caso di un amico di mio padre che prima di andare in pensione aprì un profilo su LinkedIn. E andando a compilare la propria esperienza lavorativa scrisse qualcosa come “trent’anni nella stessa azienda”. Si tratta di un mondo che non esiste più, dove – appunto solo guardando LinkedIn – ci si accorge che mediamente si cambia lavoro ogni tre anni. E solo con le competenze adeguate si va avanti».

Quali sono le proposte che porterete avanti con la federazione?

«Non ci si deve aspettare richieste o proposte specifiche. Il punto è che l’ingegno italiano è un brand conosciuto in tutto il mondo, ma paradossalmente proprio nel nostro Paese ha bisogno di essere più rappresentato e farsi spazio nei rapporti con le istituzioni e la politica, che sono storicamente appannaggio di manifattura e piccola e media industria. I numeri in continua crescita degli ultimi anni delle nostre rispettive associazioni raccontano chiaramente come il capitale umano e intellettuale goda di ottima salute e sia un bene da preservare e sul quale investire ancora di più. Anche politicamente».

Al vostro fianco c’è anche il Vicepresidente di Confindustria Alberto Marenghi

«Marenghi ha ritenuto che quello della federazione fosse un passaggio fondamentale, al quale farne seguire altri. L’obiettivo era quello di dare visibilità e percezione, all’interno del sistema, a una componente confederale che nel tempo ha progressivamente assunto un peso sempre più rilevante. Sia per i contenuti degli interessi rappresentati sia per le modalità di interazione con le attività manifatturiere, che è il riferimento tradizionale riferimento per la rappresentanza confederale. L’obiettivo comunque non è solo dare voce al comparto verso gli interlocutori esterni, né tantomeno quello di assegnare poltrone».

Sembrerebbe che siate favorevoli alla candidatura di Marenghi come prossimo presidente di Confindustria, sostenuta anche da Bonomi…

«Sarebbe un Presidente che crede nella necessità di valorizzare il settore dei servizi, che è tradizionalmente  il meno rappresentato in Confindustria. Ha una visione più aperta e eterogenea. E poi sarebbe il primo al di sotto dei 50 anni».

Ricordiamo nel dettaglio come funziona l’elezione del Presidente di Confindustria

«Iin fase preliminare c’è una serie di tappe obbligate che, come da prassi, porteranno a una sorta di “scrematura” dei candidati. Dopodiché si vagliano quelli che rimangono in corsa. Sono procedure standard che vanno avanti da decenni. Una di queste è quella che prevede la nomina, a gennaio, dei cosiddetti tre saggi che andranno a selezionare i singoli candidati alla presidenza. Ed è il Consiglio generale che ha poi il compito di indicare i tre nomi, andando a captare gli umori delle diverse aree geografiche del Paese».

Di federazioni come questa appena creata potrebbero nascerne altre?

«Il quadro è molto frastagliato e merita di trovare un’espressione rappresentativa, capace di essere incisiva nelle proposte. Occorrono realtà associative come le nostre, che rappresentano il meglio del mondo dei servizi e completano quell’ecosistema relazionale utile e necessario per aprire le aziende ai contributi esterni, garantendo loro le competenze multidisciplinari necessarie per essere competitive. Saranno sempre aperte le porte ad altre realtà associative come le nostre».            

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📸 Credits: Canva

Articolo tratto dal numero del 15 gennaio 2024 de Il Bollettino. Abbonati!

                                   

Giornalista professionista, classe 1981, di Roma. Fin da piccola con il pallino del giornalismo, dopo la laurea in Giurisprudenza e qualche esperienza all’estero ho cominciato a scrivere per i giornali, quasi sempre online. All’inizio di cinema e spettacoli, per poi passare a temi economici, soprattutto legati al mondo del lavoro. Settori di cui mi occupo anche per Il Bollettino.