Li chiamano servizi head made, sono le professioni a matrice intellettuale. Dove la produzione è tutta incentrata sul cervello, e non sulle mani, che tutt’al più picchiettano sul computer. Il settore è quello del terziario avanzato, la parte del comparto più legata all’innovazione. Un campo che crescerà ancora, con un progresso tecnologico che corre all’impazzata. E con lui l’industria della comunicazione, destinata a imporsi ancora negli anni a venire. Nel 2024 si avranno almeno due punti e mezzo di incremento nel valore rispetto all’anno precedente, per un mercato che si stima si attesti sui 13 miliardi di euro. Di questi 8,9 – il 70% – sono da attribuire ai media classici. Il restante 30%, 3,7 miliardi di euro, è frutto invece del cosiddetto Experiential Market.
Che cosa si intende con questa espressione?
«Tutto l’insieme della comunicazione che passa per gli eventi, le sponsorizzazioni, il branded content e l’influencer marketing. Il livello di crescita stimato è di oltre il 10% sullo scorso anno» dice Davide Arduini, Presidente di UNA – Aziende della Comunicazione Unite.

Sono comunque ancora i media classici a farla da padrone
«A novembre scorso abbiamo presentato un report elaborato dal centro studi dell’associazione che presiedo: UNA. È emerso come i principali key driver sono la tv e il Digital, che insieme valgono l’85% del Mercato. Parliamo chiaramente della dimensione pubblicitaria della comunicazione. Lo studio è stato condotto sulla base dell’Advanced tv, rappresentata dalle componenti addressable e on demand dei broadcaster, gli streamer e i player digitali da CTV. Il valore qui è di circa 380 milioni di euro, con una crescita pari al 29%. La tv lineare, comprensiva anche del calcio sulle piattaforme DAZN e Prime Video, invece, vale oltre 3 miliardi di euro con una crescita pari allo 0,5%. Le due componenti portano la tv a una valorizzazione totale di 3,6 miliardi di euro con una crescita del 2,8% rispetto allo scorso anno».
E la radio invece?
«Il mercato è tornato ai livelli pre-pandemia, con un valore di 400 milioni di euro e una crescita del 4% rispetto al 2022. Analogo discorso per l’Out Of Home, quindi tutta la comunicazione che troviamo letteralmente “fuori casa”, che ha chiuso il 2023 con un valore di mercato pari a 450 milioni e una crescita dell’11,9%».
Quando parliamo di comunicazione, escludendo il giornalismo, quali mestieri includiamo?
«La filiera e le denominazioni sono a non finire. Si va da tutte le professioni legate al mondo delle pubbliche relazioni, agli eventi e al digitale. Si includono direttori artistici, account, il mondo dei creator digitali. Chi lavora a vario titolo nei media, acquista o vende spazi pubblicitari. Per finire con gli influencer».

L’Intelligenza Artificiale ha fatto irruzione in maniera massiva da oltre un anno nel Mercato. Rischiamo qualcosa?
«Ci sono colleghi catastrofisti. Io non la penso così. Spariranno lavori e ne nasceranno degli altri, come poi in fondo è sempre accaduto nel corso della storia. Sono possibilista: è chiaro che il lavoro cambierà e che le professioni più generiche subiranno dei condizionamenti. Ma se andiamo a guardare già adesso sono nate nuove professioni che vanno a ruba per così dire. Uno è il prompt designer, quello che studia le domande giuste, gli input corretti, da dare all’Intelligenza Artificiale».
Per i giovani è una strada da seguire?
«Resta sempre complicato ritagliarsi un ruolo, dobbiamo essere onesti, perché l’Italia è comunque fatta da un tessuto imprenditoriale di aziende molto piccole e spesso a conduzione familiare. Ma ci sono meno barriere che in altri ambiti e quindi si possono scalare velocemente le gerarchie dentro le aziende. E poi c’è la possibilità di fare bene, perché oggi ci sono anche le facoltà universitarie a insegnare la teoria. Non come quando ho iniziato io, che ho studiato Economia e commercio, che non c’entra molto con la comunicazione».
Lei è nella comunicazione dagli anni Novanta, da quando nel 1995 lavorava nel reparto Marketing di Nintendo France. Cosa è cambiato da allora?
«Quando ho iniziato, era un mondo che non c’entra nulla con l’oggi. All’epoca si facevano le presentazioni con le lavagne e i lucidi, lo ricordo ancora. Forse non è neppure possibile un paragone, tanto è stato grande il cambiamento. Posso dire però con certezza una cosa: oggi un brand, un’azienda, non si sognerebbero di fare a meno della comunicazione. Prima quando c’era una crisi in azienda la prima parte che si tagliava era la comunicazione. Oggi, specialmente dopo la pandemia, si è capito come sia impensabile. Bisogna sempre comunicare. Non che le imprese investano di più rispetto a prima, però è un settore ormai imprescindibile».

Cosa ha imparato, negli anni?
«Che il consumatore non aspetta. Per questo va fatta la comunicazione, perché non è detto che quando si torni ci sia la stessa quota di Mercato di prima. E poi che non bisogna raccontare frottole, perché il danno è ancora maggiore dell’eventuale beneficio quando si smaschera la bugia. È il caso del Greenwashing, ad esempio, o quello recente della finta beneficienza».
L’affaire Ferragni ha dato uno scossone senza precedenti
«Sicuramente. Tutto il sistema ci rimette poi quando si verificano scandali simili. Una cosa però si può sicuramente dire. Ed è che proprio grazie a quello che è successo è stata introdotta una regolamentazione su come gestire alcuni contenuti su Instagram. Un aspetto che non esisteva prima, e che per me è un bene. Perché consentirà di accrescere il business e di farlo meglio».
I social possono fare la fortuna di molti… è una bolla che esploderà?
«Bolla o non bolla, bisogna farci i conti e comunque è un business che fa girare tantissimi soldi. Editori digitali di social come TikTok o Meta non forniscono neppure i dati circa i loro fatturati annui. E parliamo di miliardi».
Che cosa chiedono le aziende oggi?
«Noi della comunicazione per fare bene il nostro mestiere non possiamo non cavalcare il momento. Tempo fa erano tutti a parlare di Clubhouse, il social network solo parlato. Ci fu un round da un miliardo di euro. Adesso è sparito. Lo stesso sta succedendo con il Metaverso, che fino all’anno scorso si diceva avrebbe dovuto rivoluzionare tutto. E così non è stato. Ma se noi della comunicazione non avessimo seguito l’onda avremmo sbagliato perché al nostro settore è richiesto come core business di occuparci dell’innovazione, di stare sul pezzo. Anche perché tutto torna. Basta pensare al QR code, che è uno strumento vecchissimo e che oggi è tornato alla grande come mezzo di marketing. Negli Usa nei grandi eventi sportivi compare ogni due per tre nei ledwall per chiederti di fare qualcosa».
I canali della comunicazione sono sempre più frammentati?
«Sì, ma io ho sempre creduto nella condivisione e in generale ho sempre portato avanti progetti che includessero un po’ tutto sotto un unico cappello. È quello che facciamo con Different, per esempio, l’agenzia che presiedo. Ed è anche lo stesso meccanismo che ho adottato ai miei esordi, quando fondammo Acqua Group, ed eravamo in tre, nel 2004. Siamo partiti con l’idea di fare comunicazione a 360 gradi però per l’epoca era ancora fuori luogo che ci si unisse facendo poi nella pratica servizi diversi. Invece poi abbiamo continuato a acquisire altre agenzie al nostro interno».

Che è un po’ quello che sta accadendo con la nuova Federazione di Confindustria Professioni e Management, di cui lei è Vicepresidente
«La Federazione era già in piedi e dentro c’erano Oice, associazione che rappresenta le organizzazioni italiane di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica. E poi Assoconsult, che rappresenta le società di consulenza più importanti presenti in Italia. Da poco abbiamo fatto il nostro ingresso con UNA. Lo scopo di unirci è quello di avere un peso maggiore all’interno di Confindustria. Dentro ci sono 150mila aziende nel campo dei servizi. Sono le più numerose, ma anche quelle che contano di meno».
Cambieranno le cose con il vostro arrivo?
«Intanto avremo a disposizione due voti all’interno del Consiglio, quindi giocoforza il nostro peso politico sarà maggiore. L’obiettivo è influire in modo diretto, in sostanza avere voce in capitolo nella determinazione delle politiche economiche del Paese. E speriamo lo sia sempre di più con i nuovi ingressi di altre realtà».
Anche non necessariamente nel vostro ambito?
«La nostra idea è quella di aprire le porte a tutte le società che rappresentano il mondo dei servizi a capitale intellettuale e che condividano gli obiettivi comuni delle nostre associazioni, che coincidono pienamente con quelli del sistema Confindustria. Il nostro primo obiettivo sarà quello di diventare un interlocutore strategico per istituzioni e stakeholder, avendo così un ulteriore impatto su tutti i settori industriali».
C’è in primis il problema del contratto di lavoro nazionale
«Esatto, ne serve uno proprio per il mondo dei servizi. Il passo principale è almeno gettare delle basi uniche. È una questione che sta a cuore a tutti i membri della federazione. C’è un problema tecnico. Faccio l’esempio del prompt designer, quello che fornisce gli input all’Intelligenza Artificiale. A oggi va incardinato all’interno del contratto dei metalmeccanici, che è assurdo perché le mansioni sono totalmente distanti e impossibili da sovrapporre. Quindi il tema principale sarà innanzi tutto quello della creazione di indicazioni corrette per ogni figura professionale».

Com’è nata UNA?
«Nel 2019, per incorporazione di Assocom e Unicom. Nel 2020 ha incorporato anche Assorel. Lo scopo è rappresentare il mondo della comunicazione in tutte le sue discipline per rispondere meglio alle esigenze del settore, in termini di posizionamento e reputazione. Aderiscono 270 aziende e agenzie operanti in tutta Italia nel mondo creativo, del digital, delle relazioni pubbliche, dei centri media, degli eventi, del mondo retail».
Cosa fa concretamente?
«L’associazione è organizzata in hub i cui tavoli di lavoro verticali condividono best practice e interessi. Poi ci sono consulte territoriali che presidiano il territorio e condividono i temi associativi in modo orizzontale. Tra gli altri produciamo premi e eventi per il settore della comunicazione. Alcuni sono Effie Awards Italy, Italia Che Comunica, Comunicare Domani».
Che anno è stato dal suo punto di vista e sul piano economico il 2023?
«Ha mostrato una vulnerabilità in termini macroeconomici sia a livello globale sia locale, con un PIL in positivo, però contenuto, e un’inflazione in calo, ma non ancora al livello sperato. In Italia i consumatori sembrano mantenere una certa serenità, anche se alcuni timori sono presenti. Dal reddito insufficiente ai ritmi di vita sempre più frenetici che non consentono di godersi la quotidianità».
Come andrà il 2024 in termini di Mercato e investimenti per il suo comparto?
«Si navigherà a vista. Ci sono diversi segnali positivi per immaginare un mercato in crescita, stimato dal Media Hub tra un +2,5% e un +2,9%. L’anno sarà caratterizzato dagli eventi sportivi, come gli Europei di calcio in Germania, le Olimpiadi in Francia, oltre al ritorno di investimenti derivanti da settori storici, tra i quali l’Auto, l’FMCG, il Turismo e il mercato media/editoria. Nonostante ciò, continua a esserci una discreta preoccupazione per l’instabilità economica e geo-politica, come stiamo vedendo». ©
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Articolo tratto dal numero del 15 maggio 2024 de il Bollettino. Abbonati!