I più pessimisti immaginano un futuro in cui non ci sarà più bisogno di professionisti grazie alle performance dell’Intelligenza artificiale, specialmente quella generativa. Ma è lecito dubitare che sia davvero questo lo scenario che si aprirà. E c’è un motivo di fondo: anche supponendo che, nella peggiore delle ipotesi, la Gen AI dovesse azzerare di colpo interi settori lavorativi, di forza lavoro ci sarà comunque bisogno, se non altro per compensare l’inverno demografico che pervade l’Italia e molti altri Paesi del mondo occidentale. Il saldo di nuovi posti di lavoro resterà dunque – presumibilmente – positivo, tra mansioni che spariranno e persone sempre più vicine all’età pensionabile. Ma anche per governare le nuove tecnologie, inclusa la stessa Intelligenza artificiale, ci sarà necessità di risorse in carne e ossa. Senza contare che già oggi le imprese denunciano difficoltà, spesso grandi, a trovare profili adatti a ricoprire determinati ruoli. Il mismatch tra domanda e offerta resta tra i problemi più critici per il Mercato del lavoro, irrisolto da tempo. Sarà proprio la questione delle competenze, di conseguenza, ad assumere centralità.
I trend del futuro
Alcuni dei possibili panorami che si presenteranno sono quelli evocati dal Future of Jobs 2023 pubblicato dal World Economic Forum sulla base delle novità in corso. Una è per esempio quella degli standard ESG, che si aggiungono alle nuove tecnologie, affiancandosi alla transizione Green e al relativo potenziale di creazione di posti di lavoro. Su questo punto, però, le previsioni non sono ottimistiche. A un aumento dell’occupazione, potrebbe fare da contraltare un rallentamento economico, con la conseguenza di produrre un saldo netto negativo.
L’altro scenario è quello relativo all’automatizzazione del lavoro fisico. Potrebbe non essere così veloce, nonostante la corsa dell’AI, che riserva però sorprese in quanto a capacità di mettere in pratica attività finora esclusivo appannaggio degli umani, come il saper prendere decisioni. Ci saranno quindi figure professionali in crescita, come gli specialisti dell’Intelligenza artificiale e del machine learning, i tecnici della sostenibilità, della sicurezza delle informazioni e gli ingegneri delle energie rinnovabili.
Le certezze
C’è infine una granitica certezza: circa la metà degli occupati, il 44% secondo le ipotesi del WEF, dovrà aggiornare le proprie competenze, per cui sarà imprescindibile sottoporsi a corsi di formazione. Sei lavoratori su dieci dovranno riceverne entro il 2027. Il famoso upskilling – o reskilling – di cui si sente tanto parlare, e che dovrà essere applicato a interi organici aziendali. In particolare in alcuni settori: automotive, aerospazio, infrastrutture, per citarne alcuni. Ma sarà prioritario anche nella supply chain e nella manifattura.
Le conoscenze giuste
Ma quali saranno le abilità più richieste? Il rapporto del WEF raccoglie le opinioni di manager e imprenditori di 803 aziende sparse in tutto il mondo. Imprese che occupano circa 11,3 milioni di lavoratori. Ne emerge una sintesi sulla possibile evoluzione del Mercato del lavoro, così come delineata dalle loro indicazioni per gli anni a venire (2023-2027). In cima alla lista delle competenze che il lavoratore dovrà padroneggiare c’è il pensiero analitico, di importanza centrale rispetto al resto delle skill. Al secondo posto la creatività, cui fa seguito una triade composta da resilienza, flessibilità e prontezza. Subito dopo si posizionano motivazione e autoconsapevolezza, e poi curiosità e apprendimento costante, quello che di solito si definisce come lifelong learning.
Questo perché, è chiaro, bisognerà essere capaci di reagire e adattarsi a nuove condizioni di lavoro che il rapporto definisce “disrupted”, vale a dire completamente stravolte a causa dell’avanzare incessante delle tecnologie e delle rivoluzioni che porteranno con sé.
Il pensiero analitico
«Si riscontra un interesse da parte degli imprenditori nell’ingaggiare persone dotate di pensiero analitico e creatività» ha detto Saadia Zahidi, Managing Director del WEF. «Non per questo sono però da trascurare altre competenze, come la leadership, l’avere ascendente sugli altri, e infine il lavoro di squadra». In definitiva, ad andare per la maggiore saranno «i tratti che rendono umani, quelli che consentono di relazionarsi con gli altri e di essere innovativi».
Della stessa opinione sono anche gli intervistati. Il 72% di loro mette al primo posto il pensiero analitico come competenza destinata ad avere sempre più centralità. Consapevoli del fatto che il ragionamento fa parte delle skill umane meno sostituibili dalla tecnologia.
L’invecchiamento
Di pari passo con innovazioni sempre più pervasive, il Mercato del lavoro dovrà fronteggiare anche il drastico calo della popolazione occupabile. Le tendenze demografiche riguardanti gli individui in età attiva nell’UE-27 (secondo i dati dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro) indicano che l’aumento di lavoratori tra i 55 e i 64 anni sarà pari al +16,2% (9,9 milioni) entro il 2030. Tutte le altre fasce d’età diminuiranno dal 5,4% (40-54 anni) al 14,9% (25-39 anni). Un cambiamento demografico dovuto alla combinazione tra aspettativa di vita più lunga e ridotti tassi di fertilità.
La denatalità
La denatalità non riguarda solo l’Italia, ma tutti i Paesi industrializzati. Ed è per certi versi inarrestabile. A livello statistico, si tratta di un fenomeno frutto di un effetto a catena. Questo perché le giovani generazioni sono sempre meno consistenti una volta esaurita la fase riproduttiva delle cosiddette baby boomers, le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta (Rapporto ISTAT su natalità e fecondità di dicembre 2022). Chi è arrivato dopo ha scontato invece il baby bust, la contrazione della fecondità avvenuta nel ventennio 1976-1995, che ha portato al tasso più basso mai registrato, pari a 1,19 figli per donna.
Le nascite sono quindi destinate a diminuire ancora, con un tasso di fecondità che è oggi ai minimi storici (1,2 figli per donna). A pesare è anche la posticipazione della maternità, con età media al primo figlio di 31,6 anni. La conseguenza per il Mercato occupazionale sembra già scritta: a scarseggiare sempre di più saranno proprio le persone in età di lavoro.
L’occupazione crescerà?
In Italia, il dato aumenta da tempo. Una tendenza che si riscontra anche a livello internazionale. A ottobre 2024, rileva ISTAT, il numero di occupati è tornato a crescere di 47mila unità, attestandosi a 24 milioni e 92mila. L’incremento coinvolge i dipendenti permanenti – che salgono a 16 milioni 210mila – e gli autonomi, pari a 5 milioni 158mila. L’unico calo che si registra è tra i dipendenti a termine, che scendono a 2 milioni 724mila. In contemporanea il tasso di occupazione sale al 62,5%, mentre la disoccupazione scende al 5,8.
Tutto rose e fiori? Non proprio. Il dato sulla crescita dell’occupazione stabile è da attribuire soprattutto agli over 50, che hanno in passato ottenuto contratti a tempo determinato. È questa la fascia in cui l’occupazione sale di più, di una percentuale pari a circa l’1,7%. A preoccupare però è il dato sull’inattività, di chi – scoraggiato – non è più alla ricerca di un lavoro e si trova ai margini del Mercato. Il tasso risulta in crescita e pari al 33,6% mentre scende del 26% il numero di persone in cerca di un posto. La sensazione è quindi che chi non riesce a inserirsi su Mercato ritenga di trovarsi in una condizione da cui è difficile, se non impossibile, uscire.
Lo smart working
Secondo le attese, il lavoro da casa crescerà: nel 2025 i lavoratori da remoto saranno 3,75 milioni, segnando un più 5,2% rispetto al 2024, che ne ha invece registrati 3,55 milioni. Si tratterà di una inversione di tendenza rispetto al 2024, che ha invece segnato un -0,8% per l’incidenza di questa modalità di lavoro sull’anno precedente (Fonte: Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano). Il periodo è stato caratterizzato anche da grandi ripensamenti sul tema. Il più clamoroso è quello di Amazon, il colosso che – a meno di dietrofront dell’ultim’ora – vedrà rientrare in sede e in presenza tutti i propri dipendenti a partire dalla prossima primavera.
Guardando alle dimensioni delle imprese, quello che c’è da aspettarsi è un’accelerazione dello smart working soprattutto per le grandi aziende. È qui che si è verificato il picco nel corso della pandemia. Diverso il caso delle PMI: in questa fetta di Mercato si è passati nel 2024 a 520mila lavoratori dai 570mila dell’anno scorso. E una ulteriore contrazione è prevista anche per il 2025, con solo l’8% della base dei lavoratori inserita in lavoro agile, che resta invece sostanzialmente stabile nelle microimprese (625mila nel 2024, 620mila nel 2023) e nella Pubblica Amministrazione (500mila nel 2024, 515mila nel 2023). Nella PA si stima un incremento dei lavoratori coinvolti nel prossimo anno.
Nuovi modelli
Mantenere lo smart working è una scelta strategica. «La flessibilità nell’organizzazione del lavoro serve a attrarre e trattenere talenti» è il commento di Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. Per questo le organizzazioni stanno valutando nuovi modelli per ampliare il bacino di persone che possano usufruire di forme di flessibilità. «Si va dalla settimana corta, adottata oggi da meno del 10% delle aziende nonostante l’interesse riscontrato, all’international smart working, un fenomeno praticato dal 29% delle grandi imprese e che permette di impiegare persone che risiedono all’estero, siano esse di nazionalità straniera o italiana».
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📸 Credits: Canva
Articolo tratto dal numero del 1° gennaio 2025 de il Bollettino. Abbonati!