giovedì, 15 Maggio 2025

Frasson, Fkdesign: «Un marchio diventa marca se vince nel tempo»

Un logo su una polo sportiva, un bollino sul frutto o sul barattolo acquistato al supermercato, o ancora l’emblema scintillante di un’automobile: le marche sono ben presenti nella vita quotidiana di ciascuno di noi. Ma quanto contano davvero oggi? Ci sono stati anni, decenni, in cui il brand era un valore quasi assoluto e imprescindibile per molti prodotti e beni di consumo, identità e il faro illuminante dell’oggetto dei desideri. Da allora, il suo ruolo è cambiato, ma non è per questo meno importante.

«Oggi la marca non è più solo un identificatore di prodotti. È qualcosa di diverso, può essere perfino un attivatore di posizioni influenti su temi rilevanti per la società. Affrontare questo cambiamento richiede non solo più analisi e competenze, ma anche un maggiore orientamento alle dinamiche di Mercato», dice Federico Frasson, fondatore e Managing director di Fkdesign, rappresentante del Triveneto per UNA – Aziende della Comunicazione Unite. Di recente ha scritto Marca Polare, pubblicato da Fausto Lupetti Editore, un volume in cui ha raccolto le sue interviste e dialoghi con 25 esperti e voci autorevoli del Branding italiano, che offrono il loro contributo su come orientarsi nella gestione della complessità delle marche. Da Michele Mariani di Armando Testa Group a Marco Travaglia di Nestlé Italia e Maurizio di Robilant di Robilant Associati; e poi Giuseppe Mastromatteo di Ogilvy Italia e Assunta Timpone di L’Oréal, solo per citarne alcuni.

«Marca Polare è un invito ad affrontare con consapevolezza e lucidità i cambiamenti in atto nel mondo della marca».

Oggi i Mercati sono ancora più competitivi che in passato. Contano prestigio, soddisfazione del cliente, velocità, flessibilità. Come vanno coniugate, ad esempio, qualità e quantità dei prodotti?

«Ci vuole spesso molto tempo per costruire una marca rilevante. Se un marchio diventa una marca, è perché ha superato la prova del tempo. La pazienza è il tabù dei brand deboli e la virtù di quelli forti. In questo, la visione è importante, ma non è tutto. Ciò che conta davvero è l’angolazione, il punto di vista. Trovare il proprio posizionamento e la propria prospettiva sulle cose».

Qual è la direzione da percorrere?

«Ho attraversato Mercati di ogni tipo, e sa cosa ho sempre trovato? Un marchio e un prodotto. Un marchio deve aspirare a diventare un brand, un luogo e un simbolo di valori condivisi. Non promuove soltanto deliziose pizze surgelate da sfornare, un morbido maglione in cashmere da indossare o quattro ruote elettriche da guidare, ma rappresenta una famiglia, esprime una comunità, si identifica in un territorio di provenienza. Influenza la nostra vita, insomma, e lo fa al di là dei bisogni quotidiani che ci aspettiamo un prodotto possa soddisfare. La marca deve diventare un agente culturale che trasmette valori dentro e fuori l’azienda, perché si posiziona anche attraverso il riconoscimento della comunità e del territorio in cui opera».

Viviamo in un mondo sempre più affollato di concetti importanti come sostenibilità ambientale e sociale, parità di genere, etica, diritti. È solo inchiostro su carta?

«Si guadagna fiducia solo se le parole vengono accompagnate dai fatti. Non è più come in passato, quando il brand parlava e il pubblico ascoltava. Oggi, le persone sono sempre più vicine e coinvolte nella creazione dei valori della marca. Inoltre, tutti corrono avanti: le aziende avanzano in tecnologia, in fatturato, in Mercati. Eppure, tornando alle origini potrebbero riscoprire chi sono veramente. Solo così si costruisce la fiducia. Ecco perché la comunicazione è sempre più complessa: i semplici messaggi pubblicitari non bastano più, servono dialoghi autentici e condivisi. Un qualcosa da ammirare, non solo da amare. Un brand vive nel cuore delle persone, anche di chi non ha mai comprato un suo prodotto, ma lo sostiene».

In cosa consiste allora il lavoro di chi cerca di sviluppare marchi di successo?

«Oggi fare branding significa stare nella società, non solo nel Mercato. Non c’è solo un prodotto da far conoscere e da far acquistare. C’è una reputazione da costruire, mantenere e, a volte, da difendere. E questo ultimo punto è quello fondamentale, direi. Un tempo i valori erano quelli del prodotto. Oggi sono quelli della società. Non è un percorso semplice e, soprattutto, non è veloce. Ci vuole pazienza, cultura di marca, ingegno umano. E un orientamento preciso. Scegliere la traiettoria, oggi, è più importante della destinazione».

Si sente parlare di Brand identity, Brand purpose, Brand governance… È una costruzione sempre più complessa. Di fronte a questa complessità, come sta cambiando l’approccio?

«La marca richiede una gestione identitaria. Oltre a tenere conto degli elementi non negoziabili che compongono la sua personalità, bisogna considerare il contesto sempre più digitale in cui opera. Nelle piattaforme digitali, la reputazione non è più guidata dall’azienda, ma dal feedback istantaneo e dirompente degli utenti che le frequentano. Si tratta, quindi, di un valore co-creato, perché si fonda sulla capacità di istaurare un dialogo di valore con le persone che nei social entrano in contatto con i brand. È un tema complesso, ma ci sono alcune regole auree rimaste invariate nel corso del tempo».

Per esempio?

«Quando un’identità è forte, riesce a sopravvivere anche alla polverizzazione dei contesti, grazie alla creazione della Bibbia di questo settore: il brand book. È uno strumento fondamentale, che stabilisce le coordinate tipografiche, cromatiche, di tono di voce e di immagine alla base della consistenza di un marchio. Il caso più eclatante è quello di Apple: la sua identità non tradisce mai sé stessa. Quando hai un’identità così forte e diventi protagonista negli spazi mediatici e cambi in base a quegli spazi, allora la sfida è farlo senza cedere sugli aspetti non negoziabili».

Oggi qual è la sfida più impegnativa?

«L’utilizzo dell’influencer marketing. Si tratta di una vera e propria frontiera, che gli esperti di comunicazione devono conoscere e approfondire. Perché quando un’azienda con la propria brand identity entra nell’identità dell’influencer e della sua community, è chiamata a fare delle negoziazioni cui nessuna delle due parti è preparata. È un tema molto delicato, perché la dispersione del valore di marca può diventare molto forte se non si stabiliscono le due identità in modo chiaro».

Perché “Marca Polare”?

«È una parafrasi e adattamento di Stella Polare, perché la marca ha sempre rappresentato e continua a rappresentare un punto di riferimento e di orientamento per i consumatori e clienti, all’interno del grande universo delle offerte e dei prodotti del Mercato, pressoché in ogni ambito e settore di attività. È la stella che guida di scelte, preferenze, acquisti e consumi».

Ha creato l’agenzia Fkdesign nel 2000, 25 anni fa. Cosa è cambiato da allora?

«Le grandi trasformazioni tecnologiche di questi anni sono state accompagnate da evoluzioni in ambito sociale, culturale, ambientale, che hanno via via cambiato i connotati non solo dei diversi Mercati, ma della società nel suo complesso. Da qui anche l’evoluzione della figura dei professionisti del marketing e della comunicazione, i quali hanno ampliato le proprie competenze verso nuove aree al confine tra sociologia e statistica. È come una città in continua espansione: nuove strade, quartieri e linguaggi emergono ogni giorno. Chi lavora in questo settore deve essere pronto a muoversi con agilità tra le sue strade mutevoli».

Come si affrontano e gestiscono questi cambiamenti?

«Per questi motivi c’è sempre di più la necessità di continuare a studiare, osservando e ascoltando. Più studio e più mi rendo conto di quanto ancora ci sia da imparare e quanto in questo settore la necessità di confrontarsi sia direttamente proporzionale alle evoluzioni che avvengono. In particolare, il ruolo di referente territoriale Triveneto di UNA, l’associazione delle agenzie di comunicazione in Italia, è un’opportunità che ha avvalorato questa consapevolezza».

In che modo?

«Condividere e dialogare con altre agenzie mi ha fatto scoprire il valore dell’ascolto per la crescita personale e professionale. Così ho sentito la necessità di confrontarmi con i più grandi, con chi ha contribuito a rendere iconiche le marche più importanti del nostro Paese, assorbendone insegnamenti, “segreti”, best practice e individuando le tendenze emergenti. Solo attraverso questo confronto diretto credo sia possibile ottenere una panoramica concreta e approfondita sul mondo della comunicazione, che non si limita solo al presente, ma guarda con lucidità al futuro».

Sono queste le basi da cui è nato il libro?

«Esattamente. È un viaggio inedito e dinamico nel mondo della comunicazione contemporanea, raccontata attraverso le sue sfumature, trasformazioni e prospettive future. Ho raccolto 25 punti di vista, quelli di 25 grandi professionisti di Branding, CEO di aziende e agenzie, direttori creativi, esperti di linguaggio, economisti, strategist e advisor. Esperti che ogni giorno contribuiscono a trasformare le marche con il loro lavoro. Un mosaico di esperienze, riflessioni e intuizioni che spero possa ispirare chi, come me, ama questo settore e vuole continuare a esplorarlo».

In alcuni settori produttivi, i servizi acquisiscono sempre più importanza strategica. È in atto una transizione che potrebbe mettere il prodotto in secondo piano?

«Non credo. Intanto, si dà per scontato che il prodotto sia al top. Se tu sei sul Mercato con un prodotto performante, con il prezzo giusto, che rispetta le regole e ha un impatto positivo sul territorio, è implicito che abbia standard molto alti. Ma allora che cosa fa la differenza? Il servizio. In Confindustria, la maggiore parte delle aziende iscritte si occupa di servizi: il loro numero ha superato di gran lunga quello delle aziende produttive. Quindi, la risposta è sì, stiamo passando dalla produzione alla servitizzazione, perché quello che fa la differenza tra due prodotti simili è proprio il servizio annesso e connesso al prodotto. E noi che facciamo comunicazione siamo in una posizione privilegiata, perché che cos’è che mette in evidenza il servizio di un cliente? La comunicazione». ©️

Articolo tratto dal numero del 15 maggio 2025 de Il BollettinoAbbonati al giornale!

📸 Credits: Canva