Sul mondo e sul Mercato dell’automotive si sta abbattendo una tempesta perfetta, che lo scuote e ne mette a rischio fondamenta. Iniziata nel 2024, già minaccia di protrarsi per tutto il nuovo anno e quelli a seguire.
I dodici mesi appena trascorsi si sono chiusi con numeri e risultati da allarme rosso. Innanzitutto, le stime indicano che la produzione di autoveicoli in Italia è calata del 30% rispetto al 2023, fermandosi a un totale di circa 600mila unità. Per le oltre 2.100 aziende della componentistica (con 170mila addetti), che nel 2023 avevano realizzato un fatturato complessivo di quasi 59 miliardi di euro, il 2024 ha portato un calo del 30%, con ordini interni diminuiti del 40% e un -30% su quelli dall’estero.
Un quadro direttamente collegato anche alla situazione critica del gruppo Stellantis, che in Italia rappresenta circa il 90% della produzione totale di veicoli leggeri e auto di fascia media, e quindi comprende in maniera analoga la domanda di componentistica per l’indotto e l’intera filiera. L’andamento del titolo – quotato a Milano – riflette direttamente questa situazione, adombrando le aspettative dei Mercati rispetto all’automotive italiano: dall’inizio del 2024 ha perso oltre il 40% del valore.
Il 2025 sarà un altro anno critico per l’automotive
A dicembre i rappresentanti di Stellantis hanno indicato al Governo il piano per i prossimi anni: prevede la produzione di due modelli di auto compatte dal 2028 a Pomigliano, dove arriverà la piattaforma Stella Small e la Pandina sarà prolungata fino al 2030; poi due nuovi modelli a Melfi, e produzioni ibride in tutte le fabbriche.
Per lo stabilimento di Cassino ci sarà un terzo modello di alta gamma in aggiunta alle programmate Alfa Stelvio (2025) e Alfa Giulia (2026), per le quali è in valutazione anche la motorizzazione ibrida. A Mirafiori, dove era già prevista la 500 ibrida da fine 2025, arriverà una nuova generazione di 500 elettriche intorno al 2029, mentre il Polo del lusso andrà a Modena.
A livello mondiale, stiamo attraversando anni di lenta inerzia, con un limitato sviluppo solamente in Asia, con un tasso globale di crescita stimato per i prossimi cinque anni del 2% annuo. Quasi tutto grazie alla Cina, che già nel 2023 ha superato i 30 milioni di immatricolazioni, delle quali oltre 9 milioni di veicoli ricaricabili.
La torta si riduce e ci sono più competitor
Sia USA sia Europa non recuperano i livelli di vendite pre-Covid, ma mentre gli Stati Uniti perdono circa un milione di veicoli venduti rispetto al 2019, da questa parte dell’oceano ci si ferma a circa 15 milioni di nuove unità vendute, con un gap di 3 milioni di veicoli rispetto al 2019, circa il 20% in meno. In Italia, per il secondo anno consecutivo il Mercato si è fermato sotto quota 1 milione e 780mila veicoli immatricolati, 350mila in meno rispetto al 2019.
«Nord America ed Europa sono Mercati maturi e di sostituzione. È ormai assodato che per vendere una nuova auto occorre rottamarne una vecchia», dice Gianmarco Giorda, Direttore Generale di ANFIA, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica.
«Nei Mercati ancora in espansione come Asia, Vicino Oriente, Africa e America del Sud, la presenza delle aziende cinesi sta diventando preponderante e sta erodendo importanti quote ai costruttori europei. Da un paio d’anni la Cina è diventato il primo esportatore a livello mondiale di autovetture, con oltre 5 milioni di veicoli».
Mercato automotive in calo e filiera in affanno
Qual è la prospettiva del Mercato?
«È evidente che la produzione europea di 18 milioni di veicoli raggiunta nel 2019 non verrà mai recuperata, mentre la sovracapacità produttiva ormai strutturale è un tema dirimente per i costruttori europei, che, per cercare di mantenere competitività nei confronti dell’arrembante avanzata cinese, devono tagliare i costi e in diversi casi anche i posti di lavoro. E per ogni posto perso da un costruttore ce ne sono almeno altri tre nella filiera».
E della specifica situazione italiana, cosa si può dire?
«Guardando al nostro Paese, le cose vanno anche peggio. Mentre la produzione di veicoli commerciali e industriali o delle supercar della Motor Valley riesce a mantenere – e in qualche caso migliorare – la propria performance produttiva, con una stima 2024 di poco sopra le 300mila unità, le cose vanno assai diversamente per l’unico costruttore di volume presente nel nostro Paese: Stellantis. Fa registrare un impietoso calo del 45% delle autovetture prodotte in un anno. Una produzione complessiva di veicoli che arriva in totale a 600mila unità è un dato sconfortante e fonte di grande preoccupazione per tutta la filiera nazionale».
Le cause principali all’origine della crisi
Come si affrontano queste difficoltà?
«Ciò che spesso manca, e che a nostro avviso è fondamentale per comprendere realmente la portata di una rivoluzione così radicale, mai sperimentata prima da nessun settore industriale, è ragionare sempre in un quadro di insieme che consideri come inscindibili e strettamente interconnessi i 4 diversi fattori che compongono il contesto attuale in cui opera l’industria automotive italiana: Mercato, produzione, espansione cinese e regolamentazione europea. Inoltre, la crisi del settore per l’Italia ha radici sostanzialmente in tre cause fondamentali».
Quali?
«La prima è che c’è un Mercato a livello europeo che non sta andando come ci si immaginava qualche anno fa. È debole, negli ultimi 5 anni e rispetto al periodo pre-Covid sconta circa 3 milioni e mezzo di veicoli venduti in meno. Inoltre, in questo scenario che si è ristretto, stanno entrando sempre più operatori extra-europei, soprattutto cinesi, con le loro auto elettriche, ma non solo, anche con quelle a motore endotermico. Per cui, la torta di Mercato è più piccola, e ci sono più competitor a dividersela. E questo è già un primo aspetto molto rilevante di pressione e difficoltà per molte aziende, sia tra quelle che costruiscono veicoli sia ovviamente per il mondo della componentistica».
Gli effetti della transizione ai veicoli elettrici
«Il secondo aspetto di crisi e difficoltà, per tutta la filiera dell’automotive, riguarda la transizione verso la mobilità elettrica. È una transizione normata e regolamentata a livello di Unione Europea dal 2019, che prevede una serie di passaggi obbligatori in termini di target per la riduzione della CO2. Il primo step scade proprio nel 2025, con un obiettivo di riduzione dell’anidride carbonica prodotta dai veicoli pari a meno 15% rispetto ai livelli di partenza del 2021. La seconda scadenza di questa tabella di marcia è al 2030, con un target del meno 50% delle emissioni inquinanti, sempre rispetto al 2021. C’è poi il termine finale al 2035, con il bando totale alla produzione di veicoli leggeri a combustione interna, per cui saranno ammessi solo quelli elettrici o a idrogeno».
E quindi?
«Queste norme e questi obiettivi UE per la transizione, però, non trovano una risposta nel Mercato. In gran parte dell’Europa, e ancora di più in Italia e Spagna, non si stanno vendendo veicoli elettrici ai ritmi programmati e come la relativa normativa impone per raggiungere quei target di riduzione della CO2. In sostanza, c’è un programma politico alla transizione Green che non viene seguito da consumatori e automobilisti».
Le contraddizioni di un programma forzato
Cosa sta succedendo?
«La quota di Mercato delle auto elettriche, per ogni produttore, non è sufficiente per raggiungere entro il 2025 quel target di meno 15% di anidride carbonica rispetto a cinque anni prima, e ciò sta creando e creerà una serie di problematiche molto rilevanti. Ogni casa automobilistica che non raggiunge quell’obiettivo dovrà pagare multe molto salate, calcolate in 95 euro per ogni grammo di emissioni eccedenti e per tutte le vendite fatte in Europa».
Per fare un esempio numerico?
«A titolo di esempio, se una casa automobilistica vende un milione di veicoli in Europa, e quest’anno si trova a sforare il target UE di 5 grammi di CO2 per veicolo, il calcolo da fare per le multe e penali da pagare è questo: 95 euro di sanzione moltiplicato per 5 grammi e poi moltiplicato per un milione di veicoli. A conti fatti, ciò significa che in totale il settore automobilistico rischia di dover pagare tra i 15 e i 16 miliardi di euro solo di penali per il mancato raggiungimento degli obiettivi Green».
Il rischioso paradosso delle sanzioni Ue
E poi, quali altri ostacoli ci sono?
«Un altro grave paradosso, che si sta determinando con questa situazione, è che se una casa produttrice non riesce ad alzare la quota di Mercato delle auto elettriche vendute, allora per abbassare la propria quota di emissioni inquinanti, avvicinandosi il più possibile agli obiettivi e quindi pagando meno penali e multe, è portata a ridurre la quota di produzione e vendita delle auto a motore endotermico. In pratica, un costruttore o riesce ad aumentare il numeratore dei veicoli elettrici, o deve diminuire il denominatore di quelli più inquinanti, per aggiustare i conti e limitare il peso delle sanzioni. È piuttosto assurda la conseguenza per cui un produttore sia costretto a non vendere ciò che il Mercato ancora chiede di più».
Cosa state cercando di fare, in tal senso?
«Per cercare una soluzione e mettere una pezza alla situazione, l’ACEA, l’associazione europea delle case automobilistiche, punta a una moratoria e uno slittamento di uno o due anni per il primo target della transizione».
L’automotive elettrico avanza molto piano
Qual è la situazione attuale del Mercato delle auto elettriche?
«Purtroppo a oggi le auto elettriche, se non vengono sussidiate e incentivate, hanno una differenza di prezzo ancora notevole rispetto a quelle endotermiche, e i costi disincentivano dall’acquisto. In Italia la quota di EV venduti sul totale delle immatricolazioni è attorno al 3%, in Spagna del 4%, in Francia e Germania è di circa il 13%, in Gran Bretagna del 18%. Ci sono poi i Paesi Scandinavi, come Svezia e Norvegia, dove la percentuale è molto più alta, ma lì il Mercato è cresciuto con incentivi fortissimi, portando i veicoli elettrici a essere più convenienti di quelli a combustione. Tra l’altro, la Norvegia fa politiche interne Green per le auto e al tempo stesso vende grandi quantità di petrolio e gas naturale all’estero, una linea non molto coerente».
Misure per energia, ricerca e innovazione
Quindi, cosa è necessario fare e quali misure portare avanti?
«Occorre lavorare su due piani ben distinti e tra loro interdipendenti: quello europeo e quello più specificamente nazionale. Sul primo versante è necessario portare avanti le proposte presentate ad esempio dal Governo italiano e da quello ceco per ridisegnare in maniera efficace e credibile il percorso di transizione che porterà alla decarbonizzazione dei vettori energetici per i veicoli al 2035, evitando un approccio mono-tecnologico».
E per quanto riguarda l’Italia?
«È importante sviluppare misure urgenti a favore delle aziende della filiera, in particolare per ciò che riguarda la riduzione del costo dell’energia, un credito d’imposta per la ricerca e l’innovazione e misure di sostegno al settore dei veicoli commerciali leggeri, che, nel nostro Paese, hanno un peso produttivo rilevante. È fondamentale anche poter contare su rinnovati ammortizzatori sociali straordinari per i prossimi 3 anni, perché sono molte le aziende che rischiano di non avere alternative ai licenziamenti». ©️
Articolo tratto dal numero dell’1 gennaio 2025 de Il Bollettino. Abbonati!
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