Alla fine, i tori vincono. Guardando al track record degli oltre 200 anni di storia del New York Stock Exchange, è evidente come i periodi positivi siano più lunghi e forti dei cosiddetti bear market – in cui i titoli perdono oltre il 20% della loro capitalizzazione.
In praticamente un secolo, dal 1926 a oggi, l’S&P 500 ha guadagnato oltre l’80.000% di capitalizzazione, superando sempre i momenti di crisi. Ma quali sono i più grandi alti e bassi di sempre?
La grande depressione
La crisi del 1929 è impressa nella memoria degli americani come una delle peggiori di sempre. A innescarla, fu lo scoppio di una bolla azionaria gonfiata dagli eccessi speculativi degli anni precedenti. In soli due giorni, il Lunedì e il Martedì Nero, il Mercato brucio oltre il 23% della capitalizzazione.
La conseguente corsa agli sportelli fece fallire diverse banche e mise in ginocchio l’economia, che non si sarebbe ripresa se non diversi anni dopo, con l’avvento del Presidente democratico Franklin Delano Roosevelt nel 1933 e delle riforme del suo New Deal.
La ripresa post-bellica
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel 1946, i Mercati cominciarono a calare: con la fine delle restrizioni imposte ai prezzi durante il conflitto e la necessità di riconvertire le produzioni militari all’industria civile, una recessione sembrava alle porte.
Ma questi timori si rivelarono infondati: grazie alla crescita dei consumi e degli investimenti privati, assieme al crescente sviluppo tecnologico, si innescò a una sostenuta crescita del PIL, che avrebbe trainato l’economia – e i listini – per più di un decennio.
La crisi dell’87
Risale al 1987 la più grande perdita giornaliera mai registrata dai Mercati americani. Il 19 ottobre, il cosiddetto Lunedì Nero, Dow Jones e S&P 500 persero più del 20%, trascinando con sé le Borse di tutto il Mondo.
A causare l’improvviso crollo, poi recuperato nei mesi successivi, fu soprattutto il nervosismo degli investitori, preoccupati dal rialzo dei tassi d’interesse della Fed e timorosi di un crollo, dopo un periodo di esuberanza nei titoli. Ad amplificare il tutto, però, fu la crescente diffusione di software di trading programmati per vendere non appena le quotazioni fossero scese sotto una certa soglia.
Il tech boom
Con il crollo del Muro di Berlino nel 1989 e la fine della Guerra Fredda, si sviluppò nei Mercati un sentiment ottimista. Le speranze degli investitori andarono a concentrarsi sulla novità tecnologica rappresentata dall’avvento di Internet. Questo produsse una crescita straordinaria di tutti i titoli legati al web – i cosiddetti “dot com” (“punto com”), dalla denominazione dei loro indirizzi link dei siti. Ma la crescita sfociò in una bolla, poi scoppiata all’inizio degli anni 2000 con il fallimento di numerose imprese innovative.
La crisi finanziaria globale
È il crac più vicino a noi nella storia di Wall Street. Alla base vi fu l’ondata di insolvenze che colpì i mutui in seguito al rialzo dei tassi d’interesse della Federal Reserve. Il ribasso dei prezzi immobiliari che ne seguì innescò nel Mercato una reazione a catena che arrivò fino alle grandi banche d’affari, troppo esposte al rischio derivante dalle insolvenze.
Il culmine della crisi fu il fallimento di Lehman Brothers, uno dei più antichi colossi di Wall Street. Ma le conseguenze si estesero su una scala molto più ampia, portando a un calo del PIL globale del 2,2% nel 2009.
Dopo il crollo
Mentre l’effetto domino globale innescato dalla Grande Recessione continuava a rallentare le economie, i Mercati assistevano a un recupero graduale, ma costante. In virtù della nuova stabilità raggiunta dopo la crisi, i listini prosperarono grazie alle politiche monetarie espansive e ai tassi d’interesse bassi – in alcuni casi sotto lo 0% – stabiliti dalle Banche Centrali.
Fonti: University of Idaho, Macrotrends
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