sabato, 27 Aprile 2024

SCAFFARDI, SARAS: «I prodotti petroliferi saranno ancora necessari per favorire il cambiamento»

Si aprono nuovi scenari per Saras, società operativa nel settore della raffinazione del petrolio e nella produzione di energia elettrica. L’accordo con Enel Green Power sull’idrogeno è un’operazione importante con costi importanti. «Questo accordo è solo uno dei progetti che abbiamo allo studio e in diverse fasi di realizzazione, nell’ambito delle strategie di decarbonizzazione della raffineria», dice Dario Scaffardi, CEO di Saras, gruppo che conta circa 1.750 dipendenti, con ricavi consolidati nel 2019 pari a circa 9,5 miliardi di euro e un utile netto adjusted pari a 67,3 milioni di euro. La posizione finanziaria netta al 31 dicembre 2019 (ante IFRS16) è risultata positiva per circa 79 milioni di euro.
«La raffinazione resterà nei prossimi anni l’attività di riferimento del Gruppo, la nostra è una storia di raffinazione responsabile e abbiamo intrapreso un viaggio più che mai convinti di avere un ruolo strategico nel garantire la sicurezza energetica del nostro Paese in un percorso di transizione efficiente verso la carbon neutrality. Nondimeno vogliamo essere parte attiva in questo cambiamento di passo, sviluppando soluzioni innovative e complementari alle fonti tradizionali: bio-fuel e carburanti di nuova generazione, le rinnovabili – dove abbiamo già avviato un piano di investimenti nell’eolico – e, appunto, l’idrogeno».

Questo accordo è finalizzato alla produzione e all’utilizzo di idrogeno verde…

«Sì, nei nostri processi industriali, attraverso la realizzazione di un elettrolizzatore da 20MW alimentato da fonti rinnovabili, il più grande oggi in Italia. Un partner come Enel Green Power ci consentirà di svilupparlo al meglio mettendo a fattor comune le rispettive competenze nell’ambito delle energie rinnovabili e dell’utilizzo di idrogeno, verificandone la fattibilità, le potenzialità e i limiti. Si tratta di un progetto che per ora copre solo una piccola parte del fabbisogno di idrogeno dei nostri processi di raffinazione ma che, se darà prove di efficacia, potrà essere scalabile a livelli più importanti, e soprattutto ha interessanti potenzialità in termini di sinergie non solo con i nostri siti produttivi, ma anche per lo sviluppo delle fonti rinnovabili e nel trasporto pubblico».

Di che investimenti parliamo?

«Al momento sono ancora da quantificare, ma stimati in circa 25 milioni di euro, tenendo conto che progetti come questo potranno beneficiare delle risorse che saranno messe a disposizione con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)».

C’è stata una revisione anche in termini di forza lavoro per questa operazione?

«Sicuramente si tratta di un’attività che impegnerà risorse diverse nelle sue varie fasi: inizialmente quadri tecnici per la definizione del progetto e la progettazione stessa, successivamente, in fase di costruzione, avranno un ruolo importante le ditte specializzate del nostro territorio unite alle professionalità di Enel e di Saras».

Il titolo ha subito un’impennata, i mercati hanno accolto positivamente sia l’accordo con Enel sia la conversione all’idrogeno verde: quali sono i prossimi obiettivi finanziari?

«I mercati stanno dimostrando un’attenzione crescente alle tematiche di sostenibilità e decarbonizzazione. l’idrogeno verde è in questo ambito uno dei progetti considerati oggi più interessanti e ad alto potenziale, pur essendo tra quelli più a lungo termine per i costi sottostanti, ancora piuttosto elevati. È chiaro quindi che – dopo l’annuncio delle nostre linee strategiche in tema di transizione energetica lo scorso anno – un altro passo in questa direzione venga accolto con favore dagli investitori, soprattutto guardando a una realtà consolidata nel proprio core business come la nostra, ma non per questo meno innovativa e soprattutto fortemente consapevole che nei prossimi anni quella che è una necessità ambientale sarà anche un’occasione di crescita economica da cogliere.
Va inoltre ricordato il nostro titolo è stato uno dei più penalizzati dalla crisi, la più pesante che abbia mai coinvolto il comparto del petrolio, e che ha avuto ripercussioni ancora più forti sul nostro comparto per i tagli alla produzione messi in atto dai paesi dell’Opec+ a sostegno delle quotazioni del petrolio, con ulteriori effetti sulla marginalità dei principali prodotti distillati. L’ottimismo seguito alla fine del 2020 al lancio dei vaccini ha riportato il petrolio all’attenzione degli investitori, con quotazioni che recentemente hanno anche superato quelle del gennaio scorso, segnando l’inizio di un nuovo trend».

Questo sarà un anno in cui dovrete confrontarvi con un mercato ancora impegnativo…

«Nell’area europea, dove permane il rischio di una sempre maggiore capacità di importazione da parte dei principali fornitori di greggio del Medio Oriente, sarà cruciale dimostrare di avere le risorse e le capacità sufficienti per poter traguardare e sfruttare i segnali di una ripresa più significativa nel breve termine. Per questo a livello di Gruppo abbiamo già adottato delle misure straordinarie, alcune per la prima volta nella nostra storia, come la cassa integrazione, insieme a un rigoroso piano di contenimento dei costi e al rinvio degli investimenti legati alla raffinazione non immediatamente necessari, con l’obiettivo di un efficientamento che possa compensare gli impatti della crisi, ma anche in parte consolidarsi nel tempo verso un recupero sostanziale del mercato e a cogliere nuove opportunità di crescita».

La posizione strategica in mezzo al Mediterraneo vi consente di pensare a nuove strategie produttive e distributive?

«La nostra posizione centrale nel Mediterraneo è da sempre uno dei nostri vantaggi competitivi in termini di opportunità sia di approvvigionamento sia di esportazione dei nostri prodotti in molteplici mercati extra europei. Nel corso degli anni abbiamo saputo adattarci molto bene ai mutamenti di mercato, dovendo, purtroppo, reagire anche ai molti vincoli geopolitici emersi negli ultimi anni. Ma i nostri mercati di destinazione si sono evoluti nel tempo in particolare il mercato africano, per noi di estremo interesse, che è in forte crescita».

Sono anni che viaggiate verso la sostenibilità, il rispetto dell’ambiente e la riduzione di emissioni ma forse è più veloce cambiare gli impianti che la reputazione di soggetti legati all’inquinamento. La situazione pandemica ha dato una forte spinta alla transizione ambientale: quali aspettative ha nel nuovo ministero dedicato?

«Non riteniamo assolutamente di essere “soggetti legati all’inquinamento”, nel nostro purpose aziendale affermiamo che il nostro sogno è “essere innovativi, sostenibili e punto di riferimento tra i fornitori di energia”. Noi trasformiamo una materia preziosa, il petrolio, in prodotti che servono alle persone, per il loro benessere quotidiano. Lo facciamo nel modo più pulito e più rispettoso dell’ambiente e delle persone oggi possibile. Non c’è energia buona ed energia cattiva, crediamo, invece, si debba parlare di energia sostenibile capace di soddisfare esigenze fondamentali per la vita e il progresso della società attraverso la creazione di valore economico e sociale e con un’attenzione fondamentale all’ambiente.
Nell’ultimo decennio si è consolidata la consapevolezza che l’utilizzo di combustibili fossili debba essere ridotto significativamente. È condivisibile, tuttavia è evidente che questa transizione, di cui molto si parla, richiederà tempo ed investimenti, e i prodotti petroliferi puliti che produciamo saranno necessari ancora per molti anni proprio per favorire questo cambiamento, né tantopiù essere svantaggiati rispetto ad altri partner europei. Con le Autorità abbiamo sempre collaborato».

Condividete la politica dell’Unione Europea?

«Sì. Auspichiamo solo che nel nostro Paese non vengano rese ancora più stringenti le già severe normative europee. Talvolta, purtroppo, l’Italia è stata assai meno attenta agli interessi delle sue realtà industriali rispetto a come si sono mossi altri grandi Paesi europei. Bisogna anche essere attenti a non penalizzare l’industria italiana ed europea rispetto agli agguerriti concorrenti extra UE. Il Covid-19 però lo scorso anno ha inevitabilmente colpito la mobilità e il petrolio è sceso in picchiata portando con sé nuovi accordi tra i Paesi produttori, nuove strategie di stoccaggio e anche nuove valutazioni da parte degli investitori per i loro portafogli, sempre più orientati verso altro».

Potete quantificare le vostre perdite e gli investimenti fatti per risalire? «Per citare Mark Twain “le notizie sulla mia morte sono molto esagerate”. Il petrolio è sceso in picchiata ma altrettanto velocemente si è ripreso. Fare previsioni sul petrolio è azzardato, è un bene essenziale per l’economia e resterà tale per molti anni ancora, ma è estremamente volatile come prezzo perché risente di molti effetti spesso contrastanti tra loro. Certo, l’industria del petrolio ha subito lo shock di un crollo senza precedenti dei consumi cui si è unita un’ostilità di molti investitori. Le società del comparto energetico stanno rivedendo le proprie strategie nell’ottica di una progressiva decarbonizzazione.
In questa fase i piani delle big integrate prevedono obiettivi al 2030 e fino al 2050, con una razionalizzazione delle fonti tradizionali a vantaggio di investimenti su larga scala in quelle rinnovabili nel breve termine, e, nel lungo termine, l’introduzione di tecnologie nuove. La visione dei mercati finanziari è focalizzata sul lungo termine e in questo senso stavamo già assistendo a un vero e proprio cambio di rotta da parte degli investimenti a livello globale per tenere in considerazione la componente ESG delle società e con essa i loro piani di decarbonizzazione.
Però, non va trascurato il fatto che i principali Paesi produttori stanno continuando ad investire nell’esplorazione e produzione di petrolio e gas e nella raffinazione, con il rischio che questi settori siano sempre più concentrati nelle loro mani. Come Saras manteniamo il focus su una strategia sostenibile e di integrazione progressiva delle tecnologie attuali, ma rimaniamo convinti che il passaggio sarà graduale. Il timore è che si penalizzi il settore europeo a tutto vantaggio dei concorrenti medio-orientali ed asiatici, senza alcun beneficio per l’ambiente ma con danni per le nostre economie».

In un’ottica di respiro europeo, quali sono le difficoltà italiane (burocratiche, logistiche) per produrre energie rinnovabili sulle quali si dovrebbe intervenire?

«Il nostro Gruppo ha già adottato dal 2019 un piano che prevede di raggiungere una capacità eolica di 500MW entro il 2023, di cui 126MW sono già installate con il parco di Ulassai, altri 50MW di capacità eolica esistente sono in fase avanzata, mentre sono in corso gli iter autorizzativi per 250-300 MW di eolico e per 50-100MW di fotovoltaico. Purtroppo, in Italia gli iter autorizzativi durano in media sei anni, un tempo assolutamente inaccettabile e in netto contrasto con gli obbiettivi del PNIEC. Sulla base della nostra esperienza, vediamo necessario introdurre misure volte a semplificare gli iter autorizzativi degli impianti, ad esempio individuando criteri per facilitare la concertazione e la sinergia della pletora di enti preposti al rilascio del titolo autorizzativo nel rispetto delle tempistiche dei procedimenti previste dalla norma».