venerdì, 26 Aprile 2024

DISTILLATI: IL FATTURATO GIU’ DEL 68%. «Il 9% DELLE IMPRESE ANNULLA O RIDUCE LE ASSUNZIONI»

Sommario

Crolla del 68% rispetto al pre-pandemia, il settore dei distillati dedicato al beverages, secondo i dati dell’Osservatorio Format 2021. «Per quanto riguarda il mercato estero, al generalizzato calo della domanda si è aggiunto anche il problema della difficoltà nell’esportazione dei prodotti alcolici nei Paesi extra-UE, generata a volte dalla differente interpretazione delle norme speciali vigenti nel periodo emergenziale», spiega Antonio Emaldi, Presidente Assodistil, l’Associazione dei Distillatori Italiani. «In questo difficile contesto le imprese del settore distillatorio hanno fatto la propria parte, garantendo continuità operativa per rifornire di importanti materie prime i settori farmaceutici e per produrre igienizzanti, e attivandosi per assicurare la massima sicurezza possibile ai propri lavoratori. Nel complesso, il settore ha resistito ai colpi della crisi, anche grazie agli ammortizzatori messi a disposizione dal Governo per i lavoratori, a partire dalla CIG».

Quali comparti specifici sono stati i più colpiti?

«Hanno sofferto maggiormente le piccole aziende, produttrici di distillati e liquori che in molti casi hanno cercato di limitare i danni economici, attuando ove possibile e non senza un notevole sforzo imprenditoriale, una riconversione parziale per produrre basi per igienizzanti o disinfettanti. È da sottolineare che in piena emergenza sanitaria il settore distillatorio è stato tra i primi ad aderire alle campagne di forte responsabilità sociale per contribuire attivamente alla lotta al coronavirus. In particolare, mai come in questo momento è emerso il fortissimo legame tra le disitillerie e i territori di riferimento, ambiti nei quali si è manifestata maggiormente la solidarietà del comparto».

La sospensione di quattro mesi sull’applicazione dei dazi Usa su molti prodotti Ue, fra i quali gli aperitivi e i liquori italiani, ha permesso di tirare un sospiro di sollievo…

«Abbiamo accolto con grande soddisfazione questa scelta, seppure per breve periodo. Il mercato statunitense continua a essere vitale per le nostre esportazioni e la rimozione delle tariffe daziarie è senza dubbio vantaggiosa per entrambe le parti, dato che la pandemia continua a danneggiare le rispettive economie. L’inserimento all’interno della Black list da parte dell’ex governo Trump dell’agroalimentare italiano aveva penalizzato anche diversi nostri prodotti, che da sempre sono apprezzati negli Usa come emblema del Made in Italy e che si sono trovati quindi in una situazione di svantaggio competitivo. Problema irrisolto è invece il fenomeno dell’Italian Sounding, (un fenomeno che spopola in tutto il mondo con l’imitazione delle nostre eccellenze enogastronomiche) aumentato a testimonianza della qualità italiana, riconosciuta e apprezzata in tutto il mondo».

Durante la pandemia sono aumentate le vendite di liquori nei supermercati, per la chiusura di bar e ristoranti…

«Questa situazione ha profondamente alterato gli equilibri tra i vari canali di distribuzione: è crollato il settore Horeca ed è cresciuto esponenzialmente il commercio elettronico. Anche la Gdo ha incrementato la propria percentuale sul totale. Seguendo la tabella di confronto pre e post covid dell’osservatorio congiunturale delle imprese del settore distillatorio elaborata da Format Research, Liquori e distillati contano 320 aziende di cui il 75% interamente a capitale familiare italiano».

Quali ripercussioni invece sull’occupazione?

«Il 9% delle nostre imprese si è visto costretto ad annullare o a ridurre le assunzioni previste. Tale dato beneficia della specifica struttura occupazionale del settore, che richiede una forte componente specialistica».

Come può essere quantificata la crescita dell’ecommerce nel vostro settore?

«La pandemia continua a dare impulso al processo di evoluzione delle modalità di erogazione del servizio delle imprese: +129% quelle che hanno attivato il canale dell’e-commerce tramite un proprio sito web e +139% quelle che lo hanno fatto tramite marketplace. I cambiamenti dei modelli di offerta nel settore, conseguenti alle nuove abitudini dei consumatori, penso restaranno permanenti al termine dell’emergenza».

La grappa è apprezzata anche molto sui mercati stranieri. In quali è più quotata?

«La Grappa fatica ancora a essere apprezzata, come meriterebbe, in Europa. Tra i Paesi estimatori dell’acquavite di bandiera del Made in Italy, primeggia la Germania, seguita da Francia, Spagna e Regno Unito. Oltre oceano, il mercato americano è sicuramente il più interessato alla nostra eccellenza. Per questo, grazie all’impegno di Assodistil e di alcuni importanti associati, è stato lanciato nel 2017 un progetto di promozione triennale “EU Spirits IG: Hello Grappa!”: primo distillato italiano a Indicazione Geografica ad aggiudicarsi il relativo finanziamento europeo con un investimento di circa 1 milione di euro, ripresentato poi nel 2020 con un importo di poco più di 3 milioni di euro, per il triennio successivo».

Che differenze ha riscontrato nell’ultimo anno tra il mercato italiano e quelli esteri?

«L’87% del fatturato delle imprese del settore proviene da attività realizzate sul mercato nazionale, il 13% da vendite effettuate all’estero.  Tali dati testimoniano la difficoltà nell’internazionalizzazione delle nostre imprese, spesse volte purtroppo di troppo piccole dimensioni per proporre su scala internazionale i loro prodotti, seppure di eccellenza».

È vero che nell’ultimo anno l’export è stato a rischio?

«La sospensione degli eventi pubblici e delle fiere ha avuto un impatto negativo sul 44% delle distillerie e, in particolare, sull’opportunità di poter contattare nuovi clienti e approcciare nuovi mercati. La pandemia e le restrizioni applicate in tutto il mondo hanno notevolmente modificato le modalità di consumo con conseguenze negative anche sulle esportazioni».

Che cosa pensa sia necessario che lo Stato faccia per aiutare il vostro settore a riprendersi?

«Abbiamo accolto molto favorevolmente il provvedimento di aprile del Governo Draghi che prevede contributi a fondo perduto per tutte le imprese che hanno registrato una diminuzione del fatturato di almeno il 30% tra il 2020 ed il 2019: questo aiuterà le azienda che maggiormente hanno sofferto. Poi servirà una strategia di rilancio per superare l’attuale situazione, anche facendo ricorso all’ampia disponibilità di risorse del  Piano nazionale di ripresa e resilienza, per favorire investimenti nel settore distillatorio, essenziale per la sostenibilità delle filiere agricole a monte.  Vediamo, inoltre, come indispensabile un’azione coordinata tra Governo, imprese e istituzioni per rendere più snella la burocrazia, ancora oggi vero ostacolo allo sviluppo delle imprese nel nostro Paese.  Infine, abbattimento del carico fiscale, sostegno finanziario, promozione del Made In Italy sono le azioni che il settore si aspetta per poter competere sui mercati oggi più che mai».

Che previsioni  si sente di fare per il futuro del vostro settore?

«Il settore distillatorio ha una lunga storia alle spalle ed ha dimostrato negli utlimi decenni di grandi cambiamenti sociali, economici e normativi, ed in particolare in questi mesi di perdurante pandemia, di essere solido e di saper non solo tenere, ma anche rinnovarsi per andare incontro alle nuove esigenze di mercato. È sulla base di questa solidità, ma soprattutto sulle indiscusse capacità imprenditoriali che caratterizzano il settore, che guardiamo con ottimismo al nostro futuro. Quando finalmente la crisi legata al Covid-19 sarà alle nostre spalle, riprenderemo a lavorare su quei temi di sostenibilità e di innovazione, giocoforza interrotti nell’ultimo periodo, che contraddistinguono da sempre il nostro settore ma che vogliamo rilanciare con sempre maggiore convinzione nei prossimi anni, certi che qualità dei prodotti e sviluppo sostenibile rappresentino la chiave di successo della distillazione nei prossimi anni».©