sabato, 27 Aprile 2024

IL TURISMO DI CHI HA DISABILITÀ VIAGGIA A UNA VELOCITÀ DIFFERENTE

DiRedazione

1 Agosto 2021 , ,
Sommario

Disabilità e vacanze: il turismo di chi ha disabilità viaggia a una velocità differente con un fatturato da 800 miliardi di euro. In Italia – dati Istat – sono 3,1 milioni, il 5,2% della popolazione: di questi, il 29% vive sola, il 27,4% con il coniuge, il 16,2% con il coniuge e i figli, il 7,4% con i figli e senza coniuge, circa il 9% con uno o entrambi i genitori, il restante 11% circa vive in altre tipologie di nucleo familiare. «Negli anni il settore ha puntato su un’offerta standardizzata progettata sul “cliente” e non sulla “persona”», dice Giovanni D’Alessandro, CEO di Tripmetoo, la startup a vocazione sociale che opera nel settore travel con un approccio che valorizza la diversità umana. «Questo approccio ha contribuito a creare una grande barriera soprattutto culturale che pone distinzione tra “viaggiatori tradizionali” e “viaggiatori speciali”, offrendo prodotti differenti e non inclusivi. Il 57% dei viaggiatori ritiene che i player del settore dovrebbero personalizzare la loro esperienza di acquisto sulla base delle preferenze o del profilo di comportamento del cliente».

Quanto vale questo mercato?

«Bisogna partire da un presupposto importante: questi clienti non viaggiano mai soli, soggiornano almeno dieci giorni e decidono di fare più di una vacanza all’anno. Parliamo di un mercato che già nel 2012 in Europa registrava un fatturato di 800 miliardi di euro compreso l’intero indotto e con 783 milioni di viaggi effettuati in UE solo da parte di persone con disabilità (da considerare l’effetto moltiplicatore dovuto ad accompagnatori e familiari). Con interventi di messa a norma o con una leggera formazione del personale si otterrebbe un incremento del fatturato europeo del 18% equivalente a 140 miliardi di euro. Altra cosa è il turismo esperienziale – scoprire luoghi con una modalità differente – che oggi in Europa vale 40 miliardi di euro. Gli studi evidenziano come già a partire dal 2020 c’è stata una crescita delle mete meno conosciute e delle aree interne, contribuendo così alla riduzione dei fenomeni di turismo di massa e alla protezione dell’ambiente. Secondo un’indagine di booking.com il 54% dei viaggiatori a livello mondiale vuole fare la sua parte per ridurre l’overtourism (56% per la fascia d’età tra i 18 e i 25 anni). Il 51% sceglierebbe una meta meno conosciuta ma simile a quelle più note, se ciò avesse un minore impatto ambientale. Il 60% dei viaggiatori in tutto il mondo vuole usare un servizio (app/sito web) che consigli mete in cui un aumento del turismo potrebbe avere un impatto positivo sulla comunità locale».

Con l’espressione “turismo per la diversità umana” che cosa s’intende esattamente?

«Il termine accessibile ci sta un po’ stretto e va superato per migliorare la qualità del comparto e dei territori rendendoli realmente inclusivi, preferiamo parlare di turismo che valorizzano le persone, individuando le loro precise caratteristiche e riuscendo a offrire servizi ad hoc, che siano essi viaggiatori con disabilità, famiglie con bambini, anziani o chi ha esigenze alimentari specifiche. Ma migliorare la fruibilità e l’accessibilità di strutture e servizi non è semplice: manca la formazione del personale impiegato e un cambio di paradigma rispetto ad alcune tematiche, mancano degli standard, delle buone prassi e degli esempi da seguire nonché incentivi e linee guida per incoraggiare ad approcciare al tema con un’ottica che vada in direzione della valorizzazione della diversità umana e non del solo servizio gratuito per chi ha disabilità».

I dati dicono che il 5,2% degli italiani ha esigenze speciali…

«Sì, che non vuol dire necessariamente essere su una carrozzina. Nella popolazione di 15 anni e più il 2% ha gravi limitazioni nella vista, il 4,1% nell’udito, il 7,2% nel camminare. È giusto che ognuno di loro organizzi facilmente e in piena autonomia il “proprio” viaggio scegliendo servizi turistici esperienziali legati al profilo personale privilegiando autonomia e comfort».

E poi i gradi di disabilità e/o esigenza non sono uguali…

«La soluzione è adottare il sistema della personalizzazione dell’offerta attraverso la profilazione del viaggiatore e selezionare prodotti turistici che rispondono al meglio alle logiche dell’inclusive design, ovvero quelle soluzioni “universali” che possono essere fruite dal più alto numero di utenti con esigenze differenti. Il 95% della popolazione rappresenta la diversità umana mentre solo il 5% può considerarsi standard. Alle spalle ci deve essere un lavoro di progettazione che corrisponda all’ideale di accessibile ma anche di bello».

A che punto siamo in Italia?

«Il 61% dei siti web non rispetta i criteri di accessibilità e la percentuale è ancora più alta se limitata al settore turistico. A volte corrispondono ai requisiti “normativi”, ma magari nel bagno c’è la pattumiera con il pedale. Noi siamo riusciti a mappare oltre 200 realtà da nord a sud, ma è chiaro che è un numero molto basso rispetto alla proposta turistica italiana. Bisogna dare informazioni certe e dettagliate creando viaggi esperienziali unici e inclusivi per tutti».

Che cosa manca al turismo italiano per essere competitivo?

«Bisogna ampliare le normative esistenti comprendendo e integrando anche le esigenze sensoriali, alimentari; migliorare le competenze e le professionalità nel settore innalzando il livello qualitativo dell’offerta. Non ci si deve limitare a normare solo l’abbattimento delle barriere architettoniche, ma piuttosto puntare alla creazione di un ecosistema in cui tutte le persone, con differenti gusti e caratteristiche, possano usufruire di spazi, servizi e informazioni».

Come agite voi?

«La piattaforma web, accessibile anche a ipovedenti e dislessici, consente ai travelers anche con bisogni specifici di organizzare e vivere esperienze turistiche “su misura”. Il linguaggio funziona: l’80% di chi ci sceglie non ha alcuna esigenza specifica e naviga sul sito per prenotare anche una semplice vacanza. Il sistema tecnologico integrato permette di raccogliere informazioni specifiche su servizi e attività turistiche tramite l’app RILEVAme e promuoverle attraverso il marketplace tripmetoo.com che, grazie a un’interfaccia user friendly, permette al viaggiatore, anche con esigenze specifiche, di organizzare facilmente e in piena autonomia il “proprio” viaggio; agli operatori turistici, di ricevere supporto attraverso consulenza e formazione per favorire lo sviluppo di uno scenario basato sullo human tourism e la creazione di un sistema di piccoli e continui upgrade che migliorino sempre più la fruibilità di strutture ricettive e dei servizi turistici; al terzo settore, di essere finalmente valorizzato ricoprendo un ruolo da protagonista all’interno dell’ecosistema turistico. In quattro anni abbiamo investito circa 500 mila euro nelle tecnologie e nella progettazione dell’intero sistema: il Covid-19 non ha fermato la nostra voglia di superare i confini nazionali e siamo alla ricerca di un partner industriale che condivida con noi anche gli obiettivi sociali».

Quali sono i vantaggi?

«Questo modello favorisce un cambio di approccio che riguarda trasversalmente l’intero ecosistema turistico, sia pubblico sia privato. La connessione tra gli operatori, la messa in rete delle aree interne e il cambio di paradigma nell’approccio al tema della disabilità e dei bisogni specifici possono costituire un fattore propulsivo capace di stimolare la crescita economica, sociale e culturale non solo del settore ma dell’intero sistema Paese. Un territorio accessibile e inclusivo è in grado di qualificare il proprio sistema turistico e di valorizzare il territorio nonché le persone. Infine, risolvendo le esigenze specifiche di alcune persone, si aumenta la qualità della vita dei cittadini stessi, non solo dei viaggiatori». ©