sabato, 27 Aprile 2024

TEATRI: ARTISTI, ATTORI E MUSICISTI DI NUOVO IN SCENA. «BENE IL PNRR, MA LE RIFORME SONO PRIMARIE»

Sommario

Teatri: capofila nel ritorno sui palchi estivi, il Campania Teatro Festival rinasce grazie a un investimento di 6 milioni di euro, tra fondi regionali e contributo statale. «L’aver voluto continuare a destinare una cifra così cospicua è un segnale di grande attenzione. Ripartiamo grazie alla sensibilità della Regione Campania che ha voluto stanziare l’intero contributo, lo stesso degli anni precedenti, per rispondere a una crisi sanitaria con la sfi da dell’arte. Un’azione lungimirante con la quale si riaccendere il Paese», dice Alessandro Barbano, presidente della Fondazione Campania dei Festival. Fino a settembre sui palcoscenici napoletani si alternano i grandi maestri della scena europea. Sono 159 gli appuntamenti in programmazione in luoghi all’aperto e in totale sicurezza, dieci le sezioni, 70 i debutti assoluti e 3 quelli nazionali. «Registriamo diversi sold out, la gente ha voglia di tornare a godere dello spettacolo dal vivo. Ci inorgoglisce il fatto che gli spettatori vengano da tutto il mondo, anche da Cile e Slovenia».

Buone notizie per un settore che ha sofferto molto

«Tantissimo. In una prima fase i Ristori del governo sono stati indirizzati in maniera non selettiva e non sono serviti a dare sollievo alle maestranze, agli attori. Poi ha prevalso un pregiudizio, quello dell’inessenzialità. Si fa solo l’essenziale e quindi non la cultura. Oggi invece ci rendiamo conto di quanto sia il suo alto valore. Le prescrizioni sanitarie sono state giuste, ma ci sono stati anche troppi errori, non ultimo la programmazione di una campagna vaccinale con bersagli non mirati che ci ha portato ad avere una copertura tardiva».

PNRR e missione cultura e turismo: la cifra stanziata è sufficiente?

«Non sono i soldi del PNRR che cambieranno il Paese, ma la visione, la capacità di attivare processi e questo vale per tutti settori, non solo per cultura e turismo, ma anche per la Pubblica Amministrazione, la giustizia, la scuola, la sanità. Le riforme giocano un ruolo primario. Bisogna fare dell’occasione del Piano un processo trasformativo dell’Italia in tutti i comparti. Il cambiamento non avviene con i soldi dell’Europa, il cambiamento è strategia di gestione delle perdite e della paura che si attiva. Questo è il riformismo, l’atteggiamento più giusto da cui partire. Comprendere che è necessario cambiare anche rinunciando ad alcuni privilegi o sicurezze, mettere in discussione alcuni processi a vantaggio di altri, di nuovi anche a favore delle generazioni future. Diversamente non invertiremo la rotta».

La parola d’ordine è ricominciare?

«Ricominciare e ripartire. Con l’edizione di quest’anno di Campania Napoli Festival diamo il nostro contributo per la riaccensione del Paese: abbiamo lavorato strenuamente per mettere in atto una strategia di responsabilità che ci consentisse di poter realizzare, anche quest’anno, l’evento in piena sicurezza sanitaria. Già l’anno scorso siamo stati tra i pochi a non fermarci e a garantire un cartellone di oltre 60 date, questa volta sono 159».

Tornano a lavorare tante persone, le stesse che si sono lamentate perché la loro posizione non è regolamentata e, quindi, non hanno potuto usufruire di alcun bonus

«Il nostro è un Paese pronto a svegliarsi, che non ha bisogno di oboli né di assistenza e tanto meno di sussidi che addormentano l’idea, la fantasia. Abbiamo invece bisogno di occasioni e di espressioni. Così si cimenta la parte migliore dell’Italia, quella più sana che vuole tornare a sognare, vivere, lottare, amare. L’altra parte fa fatica a risvegliarsi perché sopita da una terapia antipandemica, sociale, che ha purtroppo prediletto una logica sedativa e palliativa a una logica curativa».

Per ricominciare al meglio gli eventi devono fare qualche cambiamento?

«Nella logistica, ma non nell’identità. Guai a farsi dominare dall’emergenza. Quando la cultura accetta questo diventa essa stessa emergenzialista e determina una grande amputazione. La dimensione umana durante l’emergenza diventa biologica, mangiare e dormire e il nutrimento delle idee appare superfluo. Noi sfidiamo questo stereotipo beneficiando anche della campagna vaccinale e corrispondiamo alla vocazione del Festival che è ricerca dell’avanguardia, dell’ignoto. L’arte come la scienza punta a varcare ogni frontiera e questo spirito resta». In un momento come questo è difficile reperire adesioni da parte delle compagnie? «Il Festival è un’occasione di rilancio e di speranza ma non un salvagente assistenziale. È un front artistico e l’obiettivo è tener conto della connotazione sociale senza rinunciare a una caratterizzazione artistica che il festival ha. Le idee migliori, le suggestioni, le fantasie siano frutto di originalità».

Lo spettacolo dal vivo e quello in digitale sono due formule destinate a convivere?

«Il teatro è contatto e su questo il digitale scopre il suo maggiore punto di debolezza. Il palcoscenico vive lo stesso problema della scuola: è uno scambio di anime e di corpi, dopodiché non è detto che del teatro non si possa godere anche in streaming ma è complementare. La vita deve tornare alla ricchezza di respiri, odori, applausi e fischi. Non dobbiamo dimenticare che la cultura è parte della vita, è nutrimento, terapia, una luce su cui appendere le speranze».

Di cosa ha bisogno il settore?

«Di scelte mirate che mettano tanti più burocrati lontano dai centri decisionali e tanti più creativi ai posti di comando. Il resto viene da sé». ©