Le banche centrali stringono i cordoni della borsa. La riduzione negli acquisti di titoli di BCE e Federal Reserve, il cosiddetto tapering, è il vero nodo di quello che succederà alle nostre economie nei prossimi mesi. «Sono tra quelli che credono che presto bisognerà cominciare a ridurre i nostri acquisti mensili di titoli del Tesoro», ha detto Patrick Harker, presidente della Philadelphia Fed Bank. Insomma, seppur con toni pacati e chiarendo che si tratterà di un processo lento, i banchieri americani cominciano a paventare la possibilità di ridurre la spesa. Quanto alla BCE, la presidente Lagarde ha annunciato una “ricalibrazione” dei suoi programmi di acquisto titoli, ma specificando che «the Lady isn’t tapering». «La BCE non ha ancora annunciato una riduzione mirata a portare gli acquisti a zero», dice Brunello Rosa, economista e CEO di Rosa & Roubini Associates. «I parametri dei suoi acquisti dovrebbero rimanere più o meno inalterati. Inoltre, è molto improbabile che PEPP(Pandemic Emergency Purchase Programme) e APP (Asset Purchase Programme) vengano azzerati insieme. È molto più probabile che gli acquisti si spostino dal primo al secondo, che è soggetto a molti più vincoli».
In Cina, USA e UK sembra che l’inizio del tapering arriverà prima. Attendere e osservare ciò che accadrà può essere d’aiuto all’Europa per evitare errori macroscopici o rischiamo di “rimanere indietro” in seguito?
«Il rischio è totalmente asimmetrico in questa fase. Prolungare gli acquisti più del necessario può causare effetti negativi molto più lievi che interromperli prima del previsto. Pertanto, le banche centrali preferiscono agire con molta cautela prima di annunciare qualunque forma di tapering. Non c’è nessun rischio di rimanere indietro, fintanto che l’inflazione rimane sotto controllo come al momento. La politica monetaria si dice essere come una corda: molto efficace a tirare, poco a spingere. Quando la politica monetaria diventa restrittiva, gli effetti si avvertono immediatamente. Quindi meglio essere cauti».
Quali saranno le principali conseguenze della riduzione e della fine del PEPP, sia a livello macroscopico sia microscopico?
«A livello macroeconomico, il rischio maggioqre è che il mercato interpreti la fine del PEPP come fine del backstop della banca centrale ai titoli di stato di governi con alto debito pubblico, tra cui l’Italia. Per questo, quando la BCE procederà in questa direzione, dovrà farlo con gradualità e cautela. Penso che l’APP rimarrà in vigore molto più a lungo del PEPP. A livello microeconomico, le conseguenze maggiori potrebbero essere per le emissioni obbligazionarie corporate, che hanno goduto di un ambiente particolarmente favorevole negli ultimi anni, grazie ai tassi eccezionalmente bassi. Se la fine del PEPP dovesse coincidere con tassi di riferimento più alti, giocoforza anche i corporate spreads si allargherebbero. Anche se ovviamente in termini di livello rimarranno a quote storicamente ancora molto basse».
Su chi ricadranno, nel piccolo, i principali svantaggi?
«Se la fine del PEPP dovesse anche coincidere con una stretta creditizia, potrebbero risentirne le piccole e medie imprese e anche le famiglie che vogliono accendere mutui o prestiti. Ma su questo la BCE può fare molto con le sue facilities di credit easing, come il TLTROIII. Probabile che queste vengano rafforzate se gli acquisti dovessero diminuire in prospettiva».
Un dato che preoccupa molto è quello dell’inflazione. La riduzione dell’acquisto di titoli sarà sufficiente o si dovrà accompagnare a manovre deflazionistiche?
«L’inflazione di questo periodo è un fenomeno eminentemente transitorio, legato a strozzature delle forniture e delle catene del valore globale, l’aumento dei prezzi energetici, gli effetti base. Per cui fanno bene le banche centrali a mantenere alta la spesa in acquisti, in questa fase. Nel medio periodo invece il rischio è più concreto, visti gli incrementi dei salari minimi, la riduzione della iniqua distribuzione primaria del reddito tra lavoro e capitale e la montante de-globalizzazione. Le banche centrali dovranno adeguarsi a questo nuovo ambiente, anche con rialzi dei tassi d’interesse. Ma ad oggi mi pare un discorso prematuro, soprattutto nell’Eurozona». ©