sabato, 20 Aprile 2024

ITALIA ALL’AVANGUARDIA SU RICERCA E UTILIZZO DEL GRAFENE

DiMarco Castrataro

18 Ottobre 2021

Italia all’avanguardia su ricerca e utilizzo del grafene. Molte delle startup che fanno parte del Graphene Flagship parlano italiano e tra loro ci sono Bedimensional, specializzata nella produzione di cristalli bidimensionali, e Graphene-XT, che sviluppa semilavorati per scopi industriali (lubrificanti, packaging, etc.). Di questo progetto fanno parte anche grandi aziende come Leonardo, Airbus e Aixtron, giusto per citarne qualcuna. Il Bel Paese fa quindi da apripista europeo insieme alla Germania.

Questo innovativo nanomateriale racchiude in sé una combinazione unica di proprietà eccezionali. Non è solo il materiale più sottile finora scoperto, ma anche uno dei più resistenti ed è otticamente trasparente. Inoltre, conduce bene il calore e l’elettricità, oltre ad essere impermeabile ai gas. Dalla prima dimostrazione delle sue eccezionali proprietà, nel 2004, la ricerca è in continua evoluzione.

«C’è molto entusiasmo quando si parla di grafene, ed è positivo, ma questo porta anche a delle esagerazioni, per cui bisogna stare attenti», dice Vincenzo Palermo, direttore dell’istituto ISOF del CNR di Bologna. «Io vedo le potenzialità di questa nuova tecnologia e sono convinto che sia un mercato in espansione, con vari prodotti consumer o semilavorati che si possono trovare in commercio già oggi».

In Italia, realizzato Da Bedimensional – IIT, c’è uno dei più importanti impianti dedicati al grafene al mondo: com’è la situazione?

«L’Italia ha un ruolo di primo piano in questa ricerca. Anche nel progetto Graphene Flagship siamo tra le nazioni più rappresentate insieme alla Germania, sia come istituzioni accademiche sia come aziende. Il consorzio comprende industrie rappresentative come Stellantis (ex FIAT), Leonardo, Italcementi, Aixtron, Airbus, solo per nominarne alcune. Ci sono varie startup italiane attive in questo settore che hanno iniziato a produrre grafene di buona qualità. Tra queste spicca Bedimensional appunto, nata da un’idea del IIT, che è riuscita a costruire un impianto di produzione di grande scala a Genova».

I giacimenti presenti bastano a soddisfare la domanda nazionale?

«La produzione non è una barriera quando si parla di materiali nanotecnologici, infatti basta aggiungerne poco a un composito (ad esempio la plastica) per avere un effetto significante, aggiunte di 1-5% di additivo a un materiale possono modificare le sue proprietà in maniera significativa. Ci sono importanti attività di estrazione di grafite (da cui si ottiene il grafene) in Cina, Canada e Svezia, ma più che la quantità estratta è importante la qualità del minerale, e come si riesce ad esfoliare e purificare». 

Come potrebbe un risparmiatore privato investire in questo materiale?

«Ci sono varie società, più o meno grandi, in cui è possibile investire. Ad esempio, Directa plus Spa è un’impresa italiana quotata sulla borsa di Londra. Oppure, altre aziende come Graphene-XT sono state finanziate con il crowdfunding; quindi, un risparmiatore può partecipare a tali campagne. Ovviamente prendendo tutte le precauzioni del caso».

Anche Leonardo, società italiana attiva nel campo della difesa e dell’aerospazio è molto interessata al grafene, il nuovo materiale potrebbe quindi agevolare il nostro paese nella ricerca spaziale?

«Assolutamente sì, c’è una collaborazione che abbiamo con Leonardo all’interno del Grafene Flagship. Qualche anno fa abbiamo fatto anche un’iniziativa congiunta Flagship e Leonardo a Milano, all’interno del museo della scienza e della tecnica, in cui abbiamo riunito un centinaio tra ricercatori sul grafene e quelli di Leonardo; le attività continuano. Le applicazioni dei nuovi materiali nello spazio sono molto interessanti, e sono sempre da perseguire; nelle applicazioni spaziali il costo e la capacità produttiva sono un ostacolo meno stringente che in altre applicazioni, come invece ad esempio nel caso del settore automobilistico, dove ogni tecnologia deve essere applicata su milioni di pezzi. Con Leonardo stiamo lavorando assieme per usare materiali a base di grafene per satelliti e applicazioni aeronautiche, l’interesse c’è».

I fondi stanziati a livello Europeo dal Graphene Flagship sono sufficienti o si potrebbe fare di più?

«Sono abbastanza per finanziare la ricerca e far sviluppare la tecnologia, al fine di raggiungere un livello elevato per quanto riguarda progetti molto specifici. Poi saranno le imprese che contribuiranno a loro volta alla ricerca. Ad esempio, per quanto riguarda le batterie e i filtri (di purificazione acqua) siamo a un livello di maturità già avanzato. Poi, ci sono altre applicazioni, ad esempio in ambito biomedicale, dove molto altro lavoro di ricerca è necessario».

A livello biomedicale, il grafene può essere dannoso per l’uomo?

«Ogni prodotto nuovo deve essere testato affinché non sia tossico per l’uomo e non sia tossico per l’ambiente. Dare una risposta unica è impossibile perché il grafene non è un unico materiale, ma appartiene piuttosto a una vasta classe di materiali bidimensionali (2D). Ce ne sono di vari tipi, a seconda dell’utilizzo che se ne vuole fare, per questo bisogna testare la sicurezza di un tipo specifico per ogni applicazione. Essendoci tanti studi fatti su tanti tipi di grafene diversi, non c’è una risposta univoca. Al momento, non si sono trovati effetti deleteri significativi, come possono essere quelli di altri nanomateriali.

In particolare, alcuni studi indicano che i fogli di ossido di grafene sono solubili e vengono degradati abbastanza rapidamente. Riassumendo, non vedo problemi particolari nell’utilizzare materiali bidimensionali a base di grafene, purché una volta definito il tipo da utilizzare si facciano tutti i test preliminari, al fine di verificarne sempre gli effetti».

A che punto siamo oggi per quanto riguarda la definizione di standard per la classificazione del grafene e quanto ci vorrà per avere delle indicazioni precise?

«Questo è uno dei colli di bottiglia che limitano lo sviluppo di questa tecnologia, perché ci sono tanti produttori, ditte e startup, che lo propongono per questa applicazione o quest’altra, c’è molta confusione in giro. Il problema, che poi è anche un’opportunità, è che può essere prodotto in molti modi diversi. Quindi, se ne possono avere diversi tipi di varia qualità. Al momento non ci sono degli standard che permettano o che obblighino il produttore a chiamare una cosa grafene o no. 

Nell’ambito della Graphene-Flagship, abbiamo un gruppo che è dedicato solo a questo, quindi sta definendo, insieme con team internazionali, anche con collaborazioni esterne, standard per definire la qualità. Nel nostro paese se ne occupa in particolare il Comitato Elettrotecnico Italiano (CEI)».

Quindi è difficile, soprattutto per chi non è del settore distinguere cosa sia grafene e cosa no?

«Ci sono vari prodotti a base di grafene in vendita su Amazon, per non parlare delle applicazioni industriali; andando sui siti come alibaba.com, ci sono migliaia di semilavorati venduti da centinaia di imprese che sostengono di produrre grafene, ma spesso il prodotto venduto si rivela essere di bassa qualità o semplice grafite. Attualmente non c’è un prodotto standard. Noi scienziati possiamo valutare, usando gli strumenti adatti, la qualità del grafene in esame, per le aziende spesso non è così.  Ovviamente ci sono anche imprese molto serie che vendono prodotti di alta qualità con tutti i dati di caratterizzazione riportati nelle specifiche tecniche».

Secondo le stime entro il 2020 il mercato mondiale sarebbe dovuto arrivare a 675 milioni di dollari, sono stati raggiunti?

«Fare una stima del mercato per me è impossibile, essendo un chimico. Io vedo le potenzialità della scoperta, ma non facevo stime di mercato in passato, e non ne faccio ora. Credo che sia un mercato ormai importante, visti i prodotti che ci sono in giro, anche di largo consumo. Migliaia di racchette da tennis, sci, ruote e cerchioni di bicicletta contengono grafene, e lo riportano chiaramente. È meno facile capire se sia già utilizzato in prodotti tecnologici per cui le aziende non vogliono rivelare dettagli industriali, come ad esempio le batterie. Questo non possiamo saperlo».

grafene
Dott. Vincenzo Palermo

Laureato in Economia, Diritto e Finanza d’impresa presso l’Insubria di Varese, dopo un'esperienza come consulente creditizio ed un anno trascorso a Londra, decido di dedicarmi totalmente alla mia passione: rendere la finanza semplice ed accessibile a tutti. Per Il Bollettino, oltre a gestire la rubrica “l’esperto risponde”, scrivo di finanza, crypto, energia e sostenibilità. [email protected]