mercoledì, 24 Aprile 2024

IMPRESE FAMILIARI: ITALIA BATTUTA DA FRANCIA E GERMANIA

Sarà la poca internazionalizzazione o la minore vocazione per la crescita dimensionale ma un dato è certo: nel nostro Paese, con 48 imprese (l’11,0%) c’è un’incidenza di aziende familiari quotate inferiore a Francia (29,3%) e Germania (13,2%), mentre la Spagna è ferma al 4,5%. «È evidente che l’Italia, per una serie di motivi, forse anche storico culturali, ha una minore tradizione di ricorso al mercato dei capitali rispetto agli altri Paesi», dice Fabio Quarato, direttore del XII Osservatorio AUB, che ha coordinato lo studio “Le imprese familiari italiane di fronte alla pandemia covid-19”, nel quale sono state prese in esame le prime mille aziende, familiari e non, per ricavi di vendita nel 2018, dei quattro Paesi europei. Se non usciamo dai confini nazionali, però, quelle quotate a carattere familiare superano le non familiari. «Sono quelle che si stanno impegnando di più. Infatti, abbiamo avuto cinquanta nuove Ipo nel solo segmento AIM nei primi otto mesi del 2021. Di queste, quarantatre erano familiari».

Dal 2010 al 2019 sono cresciute più delle non familiari. Perchè?

«Dopo la crisi del 2009 c’è stata una sorta di selezione naturale dove soprattutto tra le aziende familiari sono rimaste le più performanti. Hanno capito che, per continuare non solo a crescere ma anche a sopravvivere, bisognava soprattutto spingere sull’internazionalizzazione e sulla via di percorsi di crescita».

A differenza di Francia, Spagna e Germania, nel sistema economico italiano pesano molto le familiari, quelle su cui gli italiani scommettono di più. Che differenza c’è tra le imprese dei quattro Paesi presi in esame?

«La prima è la dimensione: le aziende francesi e, soprattutto quelle tedesche, hanno una taglia che non è paragonabile a quella delle italiane. Noi abbiamo poche aziende sopra i 5-10 miliardi, mentre negli agli altri Paesi se ne contano diverse decine sopra quella taglia. La seconda differenza è che in imprese di grandi dimensioni la presenza della famiglia negli organi di governo è ancora molto elevata».

Dal 2017 il ROI delle familiari è diminuito di oltre il 9%. Come ne usciranno nel post pandemia?

«Dipenderà molto se davvero ci sarà un pieno ritorno alla normalità, l’apertura dei mercati internazionali e i costi delle materie prime. Se continuiamo a essere in una congiuntura economica come quella attuale probabilmente sarà difficile tornare ai tassi di redditività del 2017».

Il 33,3% delle imprese a carattere familiare ha una situazione di solidità problematica o meritevole di attenzione a inizio 2019. Che tipo di aiuti servono?

«Una boccata d’ossigeno è già stata data a queste realtà nel corso della pandemia forse senza nemmeno discriminare troppo quali fossero più o meno meritevoli di sostegno. Molte aziende nel 2020 hanno fatto ricorso al debito aggiuntivo e poi, in molti casi, non lo hanno nemmeno utilizzato. Se da un lato questo è stato necessario per superare un momento molto complicato, dall’altro c’è da capire quanto sia sostenibile nel lungo periodo una struttura finanziaria di questo tipo. Bisognerà aspettare quando sui mercati inevitabilmente comincerà a esserci meno liquidità rispetto a oggi perchè, le banche centrali, in questi mesi, hanno immesso sul mercato tanto denaro con tassi di interessi molto bassi».

Germania e Italia sono i Paesi con la maggiore incidenza di aziende che operano nel settore manifatturiero rispetto a Spagna e Francia. Con l’aumento delle materie prime, quale sarà lo scenario futuro?

«Nell’ultimo decennio il settore è stato uno dei nostri punti di forza e della Germania. Oggi la domanda continua a esserci ed è in alcuni settori molto forte. L’incognita dei costi delle materie prime probabilmente nel breve non permetterà di tornare a delle redditività come quelle passate. Però, oggi, vedendo i dati, la domanda è molto forte, anzi, ci sono aziende che non riescono a starci dietro per problemi nelle catene di fornitura».

Nelle imprese dei quattro Stati europei si conferma un gender-gap molto elevato nei ruoli di leadership. In che modo si può ridurre la “forbice”?

«La differenza di genere non è un problema solo italiano, ma universale. Con il rinnovo della legge Golfo-Mosca del 2020, elevando la soglia al 40%, mi sembra che il nostro Paese abbia dato un messaggio molto forte nel voler affrontare questo tema».

Nelle aziende italiane a carattere familiare, si registra una percentuale maggiore di leader sopra i 70 anni. Il Paese investe abbastanza per incentivare i giovani a creare impresa?

«In Italia quasi un imprenditore su quattro è ultrasettantenne. Questo è un tema che riguarda soprattutto le familiari e che si lega a stretto filo con il tema del passaggio generazionale di questa tipologia di impresa dove, molto spesso, la persona della precedente generazione fatica a lasciare le redini del comando alle nuove generazioni ed è presente in azienda anche ben dopo l’età pensionabile».

Le aziende familiari, che partivano da una diffusione dell’utilizzo dello smart-working più ridotta, sono giunte all’85%. Una parte dei fondi del PNRR sono destinati alla digitalizzazione. Saranno sufficienti?

«Sono quelle che hanno sofferto di più la riorganizzazione del lavoro perchè la maggior parte sono imprese manifatturiere. È chiaro che lo smart working è difficile dove si fa industria. Sulla digitalizzazione, credo che forse una delle strade per proseguire il percorso di crescita nei prossimi anni sia proprio quello di usare al meglio i fondi europei del PNRR per programmi di investimento importanti. In questo modo si può recuperare il gap di digitalizzazione che scontano molte imprese nel nostro Paese». ©

LinkedIn: Mario Catalano

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