venerdì, 26 Aprile 2024

GENDER GAP, ROCCISANO: «IN ITALIA LAVORA SOLO IL 52,7% DELLE DONNE, CONTRO IL 66,8 IN UE»

Sommario

Gender gap, ultimi posti per l’Italia nella classifica dell’uguaglianza di genere tra i Paesi avanzati. Le donne soffrono per tasso di occupazione, prime per carico di lavoro di cura. E la situazione è peggiorata con la pandemia che ha schiacciato l’universo femminile sotto il peso della cura familiare, pagando di più in termini di perdita di occupazione rispetto ai colleghi uomini. «Siamo indietro di molti anni rispetto al resto d’Europa», dice Federica Roccisano, economista e presidente della Cooperativa Sociale Hermes4.0. «Basti pensare che nel 2010 lavorava mediamente il 61,2% delle donne nella UE, mentre in Italia nello stesso anno era il 49,5% e ancora nel 2020 la percentuale è molto più bassa, con un dato nazionale di 52,7% a fronte del 66,8% della media UE. Il Covid-19, le misure intraprese nel corso dell’emergenza sanitaria, hanno decisamente aggravato la situazione, andando a intaccare il tempo di lavoro anche delle donne che durante lo smart working sono dovute diventare ancora più “multi-tasking” del solito, dovendo gestire call di lavoro, la didattica a distanza dei figli e la cura delle persone più fragili della famiglia».

Nel PNRR di Draghi ci sono 400 milioni per favorire l’imprenditorialità femminile e oltre 1 miliardo per la promozione delle competenze in ambito tecnico-scientifico, soprattutto per le studentesse. Possono bastare?

«Non credo che il tema sia l’ammontare di risorse messe a disposizione, non lo credo per il recupero del divario con il Mezzogiorno del Paese, non lo credo neanche con riferimento alle politiche di genere. Mi convince di più indagare sul come si pensa di realizzare gli interventi: negli anni abbiamo assistito a bonus occupazionali, a misure di incentivi per start up e nuove imprese. Ma non mi sembra che i numeri siano stati particolarmente produttivi.

Di cosa c’è davvero bisogno?

Ritengo che una seria politica a favore dell’occupazione femminile non possa prescindere dal potenziamento dei servizi di cura, senza i quali abbiamo già visto che in molte scelgono di rimanere fuori dal mercato del lavoro e dal miglioramento dell’accesso all’istruzione. Se è vero che le donne italiane, infatti, sono più qualificate degli uomini, dal momento che nel 2020 se ne sono laureate il 34,3% rispetto al 21,4% dei maschi, è vero anche che il numero di laureati in Italia è più basso di quello europeo di circa 12 punti percentuali in entrambi i casi. L’accesso alle materie scientifiche, le cosiddette STEM, è certamente un fattore chiave, dal momento che solo in questo segmento il numero di laureati (33,93%) doppia quello delle laureate (15,72%). Anche in questo caso recuperare questo gap significherebbe incrementare il numero di donne qualificate immesse nel mercato del lavoro e accrescere le ambizioni delle giovani. Certo è che senza un’azione culturale a contrasto degli stereotipi di genere, rimane tutto molto complicato».

Il Gender Employment gap, ovvero la sottoccupazione femminile, quanto ci costa in termini di Pil e di mancata produzione di ricchezza?

«Il gender gap, la differenza di occupazione tra uomini e donne ha effetti estremamente negativi nel sistema sociale ed economico italiano e non solo in termini di ricchezza. Di fatti, incrementare il numero di signore presenti nel mercato del lavoro avrebbe un forte potere nel generare una crescita di PIL andando, anche, a potenziare il numero di lavoratori qualificati presenti nei sistemi pubblici e privati. Più o meno automaticamente, si genererebbe anche un aumento delle retribuzioni e della presenza femminile nei luoghi decisionali e, cosa alla quale sono particolarmente affezionata, di bambine e ragazze che si ispirano osservando i successi e non gli insuccessi, delle donne nel mondo del lavoro».

Quanto è necessario per uscire dalla crisi riportare le donne al lavoro?

«È importantissimo, direi fondamentale. Perché la crisi economica che stiamo vivendo in relazione all’emergenza sanitaria COVID-19, può essere superata solo se si attivano tutti quei soggetti che a oggi sono collocati nella fascia più debole del Paese. È il differenziale che possono portare in termini di occupazione e di reddito percepito che può fare la differenza. Non da meno, l’occupazione femminile genera, in maniera più decisa rispetto a quanto avviene per quella maschile, domanda di servizi aggiuntivi per l’assistenza all’infanzia e altri servizi di cura e, quindi, genera ulteriore lavoro».

L’Unione Europea quanto crede nell’importanza della Gender Equality?

«La Commissione un anno fa ha approvato una Comunicazione diretta agli Stati Membri con la quale sottolinea il valore della parità di genere in termini di istruzione, di opportunità lavorativa e di realizzazione personale. Atti di questo tipo, associati ai fondi messi a disposizione per finanziare interventi concreti, sono stimoli per gli Stati Membri che, in risposta, devono attivarsi per raggiungere gli standard richiesti, sapendo che per farlo non sarà sufficiente mettere in campo tot milioni di euro ma, come nel caso dell’Italia, servirà intervenire nei contesti sociali, politici e pubblici in generale per contrastare gli stereotipi di genere e l’esclusione delle donne da determinati contesti».

Un welfare che aiuti le donne a poter coniugare lavoro e famiglia sappiamo quanto sia fondamentale. Ora, l’assegno unico per i figli è stato rinviato al 2020 e i 4,6 miliardi per i nuovi asili nido, scuole materne e servizi di educazione e cura per la prima infanzia sembrano insufficienti. Di che cosa c’è bisogno davvero? 

«Il sistema di Welfare è fondamentale e, oltre agli interventi su base nazionale, serve costruire la rete di protezione necessaria per le donne e per i loro figli nei vari territori. Non servono i miliardi se non si attivano queste misure a livello di prossimità delle famiglie. Ed è lì che si vedono le principali diseguaglianze tra le diverse Regioni».

C’è chi critica il PNRR, sostenendo che delude chi lotta per la parità di genere ed pare che manchi una visione a lungo termine che permetta di superare davvero il divario di genere. 

«Avere inserito la parità di genere tra le priorità trasversali è un fatto positivo. Diciamo anche che il tam tam mediatico che sul tema è stato fatto ha portato qualche frutto. Personalmente, ho molto apprezzato l’idea di inserire la certificazione per le imprese che adottano policy adeguate, anzi, la inserirei anche nei contesti pubblici».

C’è il rischio che la condizione delle donne peggiori anziché migliorare?

«Il rischio c’è se il sistema educativo non ritorna alla dimensione reale uscendo dalle pratiche solo on line. In molte risposte ho infatti voluto puntualizzare l’effetto che il successo delle donne può avere negli occhi delle ragazze e delle bambine che le osservano. Ecco, non alimentare le ambizioni delle giovani generazioni certamente porta al peggioramento della condizione delle donne invece che al miglioramento. E non possiamo permettere che questo accada».