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Italia non è un Paese per giovani e la pandemia non ha fatto altro che aggravare una situazione già fortemente compromessa. Next Generation Eu e PNRR corrono in aiuto dei giovani. L’Europa ha scelto di reagire con la Next Generation EU e noi ci apprestiamo a vivere una sfida epocale, perché se da un lato accederemo all’ammontare di fondi più ingente dall’altro accenderemo il mutuo più consistente. L’obbiettivo è quello di restituire un futuro a una generazione incolpevole. «Con il Covid-19 si è imposta una falsa narrativa intergenerazionale che ha descritto gli anziani come vittime e i giovani come untori», spiega Vincenzo Galasso, professore di Economia all’Università Bocconi e autore del libro Gioventù smarrita (Bocconi Editore). «L’accanimento contro i giovani – che non è stato solo nella narrativa ma anche nelle scelte politiche – ha creato in loro un profondo senso di smarrimento».
Come può essere descritta la gioventù che dà il titolo al suo libro?
«La pandemia ha portato alla luce tutti quei problemi strutturali già esistenti come l’abbandono scolastico, la povertà educativa e il precariato, che non fanno altro che accentuare le disuguaglianze. I giovani hanno reagito in modo molto responsabile alle restrizioni, rispettando le regole, ma porteranno le cicatrici psicologiche più a lungo di tutti. Basti pensare ai danni che possono aver subito quei ragazzi che si sono trovati a vivere la delicata fase dell’adolescenza, isolati nelle loro camerette. L’Italia è il Paese europeo che ha chiuso più a lungo le scuole e che è ricorso alla didattica a distanza per un periodo maggiore».
Quali ripercussioni ha avuto questa scelta sui ragazzi?
«Un netto peggioramento del rendimento scolastico rispetto al 2019. Alla fine dell’anno, nell’estate 2021, nelle scuole superiori italiane quasi il 50% dei ragazzi non era sufficiente in italiano e più del 50% non raggiungeva la sufficienza in matematica. Cifre drammatiche che sono più alte del 10% rispetto al 2019, ovvero prima della pandemia. La situazione era già piuttosto complessa, ma oggi è peggiorata ulteriormente».
Quindi la didattica a distanza si è dimostrata fallace?
«Lo dimostra il confronto con l’Olanda. Le scuole hanno chiuso solo da marzo a giugno 2020 e gli studenti hanno potuto sostenere i test di febbraio e di giugno regolarmente in presenza. È stato riscontrato però che nei due mesi di DAD non c’è stato alcun miglioramento dell’apprendimento, per cui la didattica a distanza serve a mantenere ma non ad aumentare le capacità intellettive degli studenti».
Visto il suo contatto quotidiano con questa generazione, che spaccato ne può dare?
«I nostri studenti hanno tanti sogni ma anche preparazione, professionalità e una visione del mondo globalizzato. Il mio non è un campione rappresentativo delle nuove generazioni di oggi, ma quello che è certo è che l’Italia non è un luogo dove i sogni dei ragazzi diventano facilmente realtà».
L’unica via percorribile è quella andare all’estero?
«Il fenomeno della migrazione giovanile in Italia è decisamente forte non soltanto dal Sud al Nord per frequentare l’università, ma anche dal Nord all’estero per trovare lavoro. Nel 2019 più di 60.000 giovani – al di sotto dei 35 anni – sono andati a vivere lontano. È come se si fosse interamente svuotata una città come Pavia. Non voglio essere pessimista. Va benissimo che i ragazzi si trasferiscano, ma vorrei che altrettanti europei facessero lo stesso, scegliendo il nostro Paese».
Di chi è la colpa se il loro futuro è vacillante?
«Delle persone della mia generazione, ovvero i cinquantenni, ma anche di quella più anziana. A mio avviso esistono due tipi di colpe. La prima è di natura strettamente economica, perché molte risorse sono state incanalate in favore dei sessantenni e settantenni di oggi, dimenticandosi che il costo molto spesso veniva gettato sulle generazioni future. La seconda è un po’ più culturale. Ho l’impressione che i ragazzi di oggi troppo spesso siano diretti dai genitori. Siamo entrati in una fase in cui c’è un fortissimo paternalismo che si può spiegare con l’economia. Quarant’anni fa era più facile per un giovane trovare un lavoro e nessuno si spaventava se non riusciva a laurearsi, mentre oggi i genitori caricano i figli di aspettative. La combinazione tra gli helicopter parents (genitori che sono molto vicini ai figli e che li aiutano a superare tutti gli ostacoli che incontrano, soprattutto in ambito scolastico, ndr) e un mondo che dà sempre meno spazio ai giovani è semplicemente schizofrenica».
Le nuove generazioni sembrano non poter vivere senza i network. Che ruolo giocherà secondo lei la digitalizzazione nel loro futuro?
«Fondamentale. Il mondo sta cambiando e quello in cui vivranno sarà ben diverso da quello in cui abbiamo vissuto noi analogici. Quello che spaventa di più i genitori è il fatto che una svolta digitale non comporta solo grandi opere e investimenti per incrementare la diffusione della rete e migliorare la connessione, ma anche un’acquisizione di capitale umano che vada di pari passo. Molti ragazzi sono digitali come hand user, ma molto meno sotto il punto di vista della programmazione. Molti pensano di essere più digitali di quello che sono realmente, ma la loro sfida è di riuscire a diventarlo per davvero».
Che cosa si può fare per aiutare i giovani in modo concreto?
«Next Generation Eu e PNRR rappresentano due validi ed essenziali aiuti per loro. La prima mette insieme investimenti in favore dell’istruzione: i problemi principali sono tre. Il tempo normale e continuo nelle scuole elementari del Nord è tantissimo a differenza del Sud. Al Nord al 4° anno delle elementari gli studenti sono stati in classe già più di quanto ci staranno al Sud alla fine della quinta quelli che fanno il tempo normale. Questo provoca disparità enormi. I tre mesi estivi di vacanza sono una follia cui si dovrebbe porre fine al più presto. I ragazzi dimenticano molte cose e il decadimento del capitale umano è molto forte. In ultimo c’è la questione legata alla transizione verso l’università o il mondo del lavoro. Per molti di loro la prima è ancora una black box, perché non vengono indirizzati e orientati e non sanno dove andare. A mio avviso si dovrebbe ridare un ruolo sociale agli insegnanti, che devono essere disponibili a un dialogo per un miglioramento della scuola».
Nel PNRR non si fa cenno alle pensioni per i giovani di oggi. Che cosa ne pensa?
«Credo sia stata una scelta politica. È ovvio che sia difficile parlare di pensioni in un Paese come l’Italia, soprattutto post Quota 100. Quello che non va bene è che si facciano ancora delle quote».
Che cosa si sente di dire alle generazioni più adulte?
«Di cercare di lasciare da parte il paternalismo e di dare più spazio alle proposte giovanili, perché le migliori vengono proprio dai nostri ragazzi». ©