venerdì, 26 Aprile 2024

IL MEDITERRANEO TRA BLUE ECONOMY, COMMERCIO E POLITICA

Nell’ultimo decennio, il Mediterraneo è stato e continua a essere un’area fondamentale in cui si decidono la sicurezza, la stabilità e la prosperità di una parte dei maggiori player internazionali. La ricchezza del mare nostrum fa gola a molti paesi. Basta che una nave si incagli nel Canale di Suez e il flusso del commercio globale è immediatamente ridimensionato. Nelle sue acque si combattono molte partite energetiche: le tensioni tra Europa e Turchia nel Mediterraneo orientale per le acque territoriali di Cipro, l’accordo per le Zone economiche esclusive (ZEE) tra Libia e Turchia, siglato nel novembre del 2019, un’intesa bilaterale che fissava una delimitazione precisa tra le ZEE di questi due Paesi in una porzione di mare che pone in diretta sovrapposizione le acque libiche e turche con quelle greche e in minima parte egiziane. Ma non c’è solo la Turchia. «Il commercio estero dei principali Paesi del mondo (dalla Cina agli Usa) e dell’Europa (Germania, Italia, Francia) verso gli Stati della sponda Sud del Mediterraneo è in costante crescita», spiega Michela Mercuri, docente di geopolitica del medio oriente e autrice del libro Naufragio Mediterraneo. «Il gigante asiatico, ad esempio, ha incrementato il suo commercio estero con quest’area del 841% negli ultimi 15 anni; gran parte è stato via mare ed è transitato dal Canale di Suez che, grazie all’allargamento avvenuto nel 2015, è oggi lo snodo principale del traffico marittimo mondiale e centrale rispetto alle strategie cinesi e al rilancio dell’antica Via della Seta».

Che cosa l’ha portato a essere oggi il mare di nessuno?

«Come ricordiamo nel libro: “Il Mediterraneo nel quale siamo immersi oggi è un mare globale, investito da uno tsunami geopolitico del quale non vediamo la fine, in cui combattono attori che hanno trovato spazio nelle falle lasciate dalla destabilizzazione della sponda Sud”. Una nuova guerra fredda a bassa intensità e con un numero ampio di attori, con vecchi protagonisti e nuove comparse sta dilaniando un sistema i cui vuoti lasciati dalle rivolte arabe fanno gola a molti, troppi, Stati. A cominciare dalla Turchia e i suoi progetti di espansione geopolitica ed egemonica del mondo islamico attraverso, al fronte arabo filo-occidentale, guidato dall’Egitto e finanziato, soprattutto, dagli Emirati Arabi Uniti e dai sauditi, che temono l’espansione turca. C’è poi la Russia che, sfruttando il vuoto lasciato dagli americani, punta ad avere uno sbocco sul mare nel Mediterraneo e ha individuato nell’est libico il luogo ideale in cui realizzare questo disegno. Da questo punto di vista il Mediterraneo, con i suoi numerosi focolai di crisi ha aperto nuovi spazi geopolitici per potenze, emergenti e non, nessuna delle quali ha, però, la visione e la capacità di costruire un progetto capace di abbracciare l’intero bacino».

Si può parlare di naufragio geopolitico?

«Oggi il mare Mediterraneo ha perso la sua funzione geopolitica di «mare tra le terre», frontiera tra civiltà e dunque crocevia degli scambi tra di esse. Questa assenza di una coscienza storica e mediterranea-europea, strettamente collegata con la perdita della visione strategica da parte delle élite decisionali del mondo occidentale, è uno dei più grandi problemi del Mediterraneo di oggi, soprattutto in conseguenza dell’affacciarsi sempre più assertivo sulle sue sponde di nuovi attori come la Russia, la Cina e la Turchia. L’Unione europea non può dirsi incolpevole. Indifferente e divisa di fronte alle gravi crisi che hanno coinvolto quest’area, ha perso diverse occasioni per affermare una propria identità geopolitica, contribuendo alla creazione di un vuoto geopolitico.  Questa situazione rischia di trasformare il Mare Nostrum in hic sunt leones. Un mare che rischia di naufragare a causa dell’ingerenza assertiva di attori grandi e piccoli, regionali ed extra-regionali, statuali e non statuali (si pensi alle organizzazioni jihadiste) e generare il vuoto europeo».

Il vero cambiamento per l’Italia è iniziato già nel 2003 con la seconda guerra in Iraq?

«La destrutturazione del Mediterraneo risale ad azioni e a processi compiuti e irreversibili, buona parte dei quali ha avuto origine con la guerra dell’Iraq che ha segnato l’apertura dei tanti vasi di Pandora che componevano il mosaico geopolitico del Medio Oriente e dunque del Mediterraneo. Da lì iniziano una serie di atti e omissioni geopolitiche di cui le primavere arabe sono state solo l’ultima e più pericolosa delle illusioni, mentre il disimpegno militare americano degli ultimi anni ne è solo la logica conseguenza».

Con il disorientamento dell’Italia e il disimpegno degli Stati Uniti, quali potenze economiche giocano negli equilibri del Mediterraneo?

«La partita rischia di ridursi a un gioco a tre tra Francia, Russia e Turchia, con altri attori comprimari e nuovi sfidanti economici, come la Cina. Questo assetto sarebbe la fine del Mediterraneo come l’abbiamo conosciuto, ma anche la fine della politica estera italiana e della nostra specialità geopolitica di Paese europeo nel Mediterraneo. Un Mediterraneo diviso franco, russo, turco non vedrebbe solo la fine della nostra presenza in questo mare come attore politico ma sarebbe anche la definitiva marginalizzazione del nostro Paese in Europa e nella NATO, dove contiamo in funzione del nostro residuo ruolo di potenza mediterranea».

Con quali strumenti l’Italia potrebbe riuscire a dire basta alla politica della sedia, che la riduce a raccogliere le briciole delle potenze sedute al tavolo?

«Occorre moltiplicare per 10 la nostra presenza diplomatica nel Mediterraneo e per 100 il supporto alla nostra portualità, alle nostre reti logistiche e all’internazionalizzazione delle nostre imprese nei settori economici strategici della regione. Dobbiamo, poi, tornare a investire nella spesa militare, senza dimenticare nuove vie, nuovi approcci, come quello che definiamo dello state-building dal mare, abbinando la ricostruzione degli Stati rivieraschi ai proventi che possono provenire dallo sfruttamento delle tante dimensioni della blue economy. Il vuoto euro-mediterraneo può essere colmato. Ma è necessario che l’Italia si faccia carico di nuove responsabilità e si doti di nuovi strumenti. È un progetto non a breve termine che presuppone che, pur nella difficile situazione economica in cui versa il nostro Paese, dobbiamo essere in grado di perseguire una politica mediterranea autonoma e non dipendente dalle nostre debolezze finanziarie verso Bruxelles».

Che ruolo gioca il controllo dei porti?

«La ricchezza del mare nostrum fa gola a molti paesi. Nell’area mediterranea si concentra una parte significativa del nostro interscambio marittimo per questo la sua centralità è fondamentale per la tenuta della portualità nazionale. Il Mediterraneo è al centro d’interessi geopolitici ed economici: dall’energia, al commercio, alla pesca. Tuttavia, osservando la geografia di questo bacino, troviamo a ovest i porti spagnoli, a est quelli della Grecia e della Turchia e a sud quelli di Marocco, Malta ed Egitto. Alcuni dati pubblicati da Assoporti nel 2020 evidenziano come le performance migliori in termini di crescita siano state registrate a Oriente, in particolare nel Pireo e in Turchia, e sulla sponda sud del Mediterraneo, in particolare in Marocco. Per competere in questo scenario l’Italia dovrà investire in infrastrutture portuali e tecnologia nei porti e nel territorio e nello stesso tempo consolidare e innovare l’esistente che già ora rappresenta un patrimonio infrastrutturale di base di notevole consistenza».

E i flussi migratori incontrollati?

«L’Europa e l’Italia hanno ridotto la questione migratoria a un problema di politica interna. Ma non si tratta di un tema nazionale. Dovrebbe essere affrontato come un problema di politica estera allargando lo sguardo ai Paesi di partenza e di transito. Se l’Europa non saprà farsi carico di un approccio congiunto al tema migratorio il problema rischia di assumere dimensioni ancor più incontrollate. Nel recente Trattato del Quirinale, siglato tra Italia e Francia, si dice “Le Parti s’impegnano a sostenere una politica migratoria e d’asilo europea e politiche d’integrazione basate sui principi di responsabilità e di solidarietà condivise tra gli Stati membri”. È questa l’unica soluzione possibile, per lo meno nel breve periodo».

Quali obiettivi può prefissarsi il nostro Paese per il futuro?

«Premesso che il già citato trattato del Quirinale rischi di essere solo un accordo bilaterale fatto di buone intenzioni ma poco concreto ed evidentemente sbilanciato a favore della Francia, se l’Italia saprà sfruttare questo nuovo ruolo all’interno dell’Ue per rafforzare la sua posizione in Europa ma anche la sua proiezione strategica nel Mediterraneo, oramai a dir poco “appannata” potrà lentamente recuperare spazio nella sponda sud».

Il mondo post pandemico sarà più sensibile a determinati temi?

«Per la prima volta nella storia recente, assistiamo a una minaccia che colpisce l’intero pianeta simultaneamente, con conseguenze simili a tutte le latitudini e in un contesto di interconnettività e interdipendenza senza precedenti. L’impatto della pandemia di Covid-19 sulle nostre vite e sulle relazioni internazionali potrebbe offrire agli Stati l’opportunità di ripensare la politica globale. Da qui l’impegno per una più efficiente cooperazione internazionale e l’urgenza di una cooperazione sanitaria ed economica, unico modo per impedire il collasso delle statualità e delle loro società a ogni latitudine». ©