Volatilità alle stelle per la lira turca. L’accelerazione ribassista dei giorni scorsi ha portato la valuta di Ankara sul minimo storico contro dollaro – USD/TRY a 18,4180 – e contro euro – EUR/TRY a 20,7423 -, con ribassi rispettivamente del 10,9% e dell’11,1% e poi la folle inversione di tendenza con un recupero fin sugli 11,0937 contro dollaro e sui 13,3481 contro euro: in poche ore la lira turca ha guadagnato quasi il 40% sul biglietto verde e oltre il 35% sulla moneta unica. Si tratta di oscillazioni gigantesche anche per dei cross valutari – tassi di cambio secondari, si muovono in risposta ai principali, tipo EUR/USD – come quelli che vedono protagonista la lira turca.
Quadro macroeconomico in surriscaldamento. Per spiegare questi movimenti così repentini occorre partire dal quadro macroeconomico della Turchia. Il PIL è in forte rialzo: nel terzo trimestre ha fatto segnare un +7,4% a/a ma in rallentamento dal +21,7% del secondo, che però si confrontava con il trimestre peggiore del 2020 a -10,4%. Ma l’inflazione galoppa a +21,31% in novembre, massimo da fine 2018. A fronte di questi andamenti la banca centrale della Turchia, invece di aumentare i tassi per raffreddare un’economia in evidente surriscaldamento, li sta riducendo: si è passati dal 19% a settembre all’attuale 14%. Per quale motivo la banca centrale sta prendendo decisioni di tenore opposto a quelle che sarebbero coerenti con il contesto macroeconomico attuale?
La risposta è che la Turchia è sostanzialmente una dittatura. Lo disse anche Mario Draghi lo scorso aprile: la banca centrale non è un’istituzione indipendente ma è sotto il controllo del presidente Tayyip Erdogan. Quest’ultimo lunedì mattina ha dichiarato che un musulmano non può tollerare tassi di interesse elevati. La legge islamica – la Sharìa, che trova fondamento nel Corano e nella Sunna (aneddoti della vita di Maometto) – prevede la condanna del Riba, tema complesso che comprende anche gli interessi sui prestiti. Erdogan ha rafforzato il concetto affermando che la pratica di alzare i tassi per fermare l’inflazione – adottata da tutte le banche centrali – è “la madre e il padre di tutto il male”. Secondo il presidente turco la riduzione dei tassi porterà “prima o poi” a un calo dell’inflazione, proprio come accaduto nel 2011 quando scese al 4% con Erdogan all’epoca primo ministro.
Erdogan promette protezione per i depositi in valuta nazionale. Le cose stanno però in modo diametralmente opposto: c’è sostanziale unanimità tra gli economisti nel ritenere che per contenere l’inflazione la scelta di aumentare i tassi ufficiali è obbligata. La prospettiva di ulteriori riduzioni dei tassi ha scatenato le vendite sulla lira turca e il conseguente movimento ribassista di lunedì fino a metà pomeriggio. La svalutazione è frutto in parte della decisione dei risparmiatori turchi di convertire depositi in valuta locale in depositi in dollari ed euro, e in parte delle vendite di investitori speculativi. Il crollo della divisa ha poi spinto Erdogan a intervenire in sua difesa. Il presidente ha sostanzialmente anticipato misure per proteggere i depositi dei cittadini turchi in caso di svalutazione della lira: questo ha scatenato l’inversione di tendenza e il rimbalzo “monstre” partito lunedì pomeriggio.
La Turchia rischia l’avvitamento in una spirale negativa. La banca centrale turca ha ufficializzato il provvedimento: si tratta in sostanza di un incentivo a convertire depositi in valuta estera (dollari, euro e sterlina) in depositi a 3, 6 o 12 mesi in lira turca. Chi deciderà di passare a questi depositi a tempo in valuta locale riceverà un rimborso pari alla svalutazione della lira turca rispetto alla divisa di provenienza del deposito. Ovviamente a pagare questi incentivi sarà il cittadino contribuente turco attraverso le casse dello Stato. E infatti il rendimento dei titoli di Stato a 10 anni della Turchia è schizzato oltre il 23%, massimo ultradecennale: una chiara indicazione sull’aumento della rischiosità del debito turco. Peraltro in sintonia con il balzo del credit default swap a 5 anni – il costo per assicurarsi dalla possibilità di default della Turchia – salito lunedì a 622 punti base, massimo da maggio 2020. In altre parole Erdogan sta sommando errori su errori: riduzione dei tassi che fa salire l’inflazione e deprezzare la divisa nazionale, e saccheggio dei conti pubblici per sterilizzare la svalutazione della lira turca. Difficile, anche volendo, fare di peggio. ©
Simone Ferradini
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