venerdì, 19 Aprile 2024

Lira turca sull’ottovolante, Erdogan promette garanzie sui depositi

Volatilità alle stelle per la lira turca. L’accelerazione ribassista dei giorni scorsi ha portato la valuta di Ankara sul minimo storico contro dollaro – USD/TRY a 18,4180 – e contro euro – EUR/TRY a 20,7423 -, con ribassi rispettivamente del 10,9% e dell’11,1% e poi la folle inversione di tendenza con un recupero fin sugli 11,0937 contro dollaro e sui 13,3481 contro euro: in poche ore la lira turca ha guadagnato quasi il 40% sul biglietto verde e oltre il 35% sulla moneta unica. Si tratta di oscillazioni gigantesche anche per dei cross valutari – tassi di cambio secondari, si muovono in risposta ai principali, tipo EUR/USD – come quelli che vedono protagonista la lira turca.

Quadro macroeconomico in surriscaldamento. Per spiegare questi movimenti così repentini occorre partire dal quadro macroeconomico della Turchia. Il PIL è in forte rialzo: nel terzo trimestre ha fatto segnare un +7,4% a/a ma in rallentamento dal +21,7% del secondo, che però si confrontava con il trimestre peggiore del 2020 a -10,4%. Ma l’inflazione galoppa a +21,31% in novembre, massimo da fine 2018. A fronte di questi andamenti la banca centrale della Turchia, invece di aumentare i tassi per raffreddare un’economia in evidente surriscaldamento, li sta riducendo: si è passati dal 19% a settembre all’attuale 14%. Per quale motivo la banca centrale sta prendendo decisioni di tenore opposto a quelle che sarebbero coerenti con il contesto macroeconomico attuale?

La risposta è che la Turchia è sostanzialmente una dittatura. Lo disse anche Mario Draghi lo scorso aprile: la banca centrale non è un’istituzione indipendente ma è sotto il controllo del presidente Tayyip Erdogan. Quest’ultimo lunedì mattina ha dichiarato che un musulmano non può tollerare tassi di interesse elevati. La legge islamica – la Sharìa, che trova fondamento nel Corano e nella Sunna (aneddoti della vita di Maometto) – prevede la condanna del Riba, tema complesso che comprende anche gli interessi sui prestiti. Erdogan ha rafforzato il concetto affermando che la pratica di alzare i tassi per fermare l’inflazione – adottata da tutte le banche centrali – è “la madre e il padre di tutto il male”. Secondo il presidente turco la riduzione dei tassi porterà “prima o poi” a un calo dell’inflazione, proprio come accaduto nel 2011 quando scese al 4% con Erdogan all’epoca primo ministro.

Erdogan promette protezione per i depositi in valuta nazionale. Le cose stanno però in modo diametralmente opposto: c’è sostanziale unanimità tra gli economisti nel ritenere che per contenere l’inflazione la scelta di aumentare i tassi ufficiali è obbligata. La prospettiva di ulteriori riduzioni dei tassi ha scatenato le vendite sulla lira turca e il conseguente movimento ribassista di lunedì fino a metà pomeriggio. La svalutazione è frutto in parte della decisione dei risparmiatori turchi di convertire depositi in valuta locale in depositi in dollari ed euro, e in parte delle vendite di investitori speculativi. Il crollo della divisa ha poi spinto Erdogan a intervenire in sua difesa. Il presidente ha sostanzialmente anticipato misure per proteggere i depositi dei cittadini turchi in caso di svalutazione della lira: questo ha scatenato l’inversione di tendenza e il rimbalzo “monstre” partito lunedì pomeriggio.

La Turchia rischia l’avvitamento in una spirale negativa. La banca centrale turca ha ufficializzato il provvedimento: si tratta in sostanza di un incentivo a convertire depositi in valuta estera (dollari, euro e sterlina) in depositi a 3, 6 o 12 mesi in lira turca. Chi deciderà di passare a questi depositi a tempo in valuta locale riceverà un rimborso pari alla svalutazione della lira turca rispetto alla divisa di provenienza del deposito. Ovviamente a pagare questi incentivi sarà il cittadino contribuente turco attraverso le casse dello Stato. E infatti il rendimento dei titoli di Stato a 10 anni della Turchia è schizzato oltre il 23%, massimo ultradecennale: una chiara indicazione sull’aumento della rischiosità del debito turco. Peraltro in sintonia con il balzo del credit default swap a 5 anni – il costo per assicurarsi dalla possibilità di default della Turchia – salito lunedì a 622 punti base, massimo da maggio 2020. In altre parole Erdogan sta sommando errori su errori: riduzione dei tassi che fa salire l’inflazione e deprezzare la divisa nazionale, e saccheggio dei conti pubblici per sterilizzare la svalutazione della lira turca. Difficile, anche volendo, fare di peggio. ©

Simone Ferradini

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