giovedì, 25 Aprile 2024

Turchia: l’inflazione sale, ma non frena la crescita

Turchia

L’inflazione turca raggiunge nuovi massimi ventennali, toccando il 61,14% su base annua, in aumento di 5,46 punti in un mese, ma il periodo nefasto non preoccupa il presidente Erdogan, convinto oppositore dell’aumento dei tassi di interesse. Secondo Confindustria turca le prime due settimane del conflitto Russia-Ucraina (rispettivamente al primo e al terzo posto per presenze di turisti in Turchia) sono costate ad Ankara 50 miliardi di dollari. Numeri che a marzo hanno causato un aumento dei prezzi pari al 5,5% all’acquisto e al 9,2% alla produzione. «La Turchia ha dato prova di grandissima resilienza. La crescita economica è dell’11%, la seconda realtà a crescere in ambito Ict», spiega
Valeria Giannotta, direttore dell’Osservatorio Italia-Turchia del CeSPI. «Ha affrontato la pandemia giocando un po’ in vantaggio rispetto ai Paesi europei. È stata colpita in un secondo momento. Così, ha fatto tesoro delle esperienze degli altri. In un primo momento ha nazionalizzato la produzione, finalizzata solo al mercato turco. Ma la catena di approvvigionamento non si è mai fermata».

Quali sono i settori in cui ha investito di più?

«Quello dell’automotive, al 14° posto in Europa (vedi approfondimento a pag. 8). Ma anche la produzione di televisioni ed elettrodomestici bianchi, il settore dell’aerospazio e della difesa, come i droni, che sono stati usati dalla difesa ucraina nel conflitto con la Russia. L’aspetto interessante è che la Turchia, come membro Nato, ha iniziato a vendere ad altri membri dell’organizzazione e ai Paesi del Nord Africa, quindi, l’alta tecnologia si sta attestando come una delle punte di diamante. Un altro settore trainante è quello dell’energia. La Turchia, a differenza dell’Italia, punta alla differenziazione e a diventare un hub energetico».

Il Paese punta ad avere un ruolo strategico nei prossimi anni nell’approvvigionamento di gas all’Europa. E questo potrebbe essere il momento giusto per spingere sull’acceleratore: il conflitto russo-ucraino ha acceso i riflettori sulla necessità di trovare alternative al flusso proveniente dall’Orso di Putin. Per questo i leader europei valutano gasdotti alternativi. Il giacimento di “Shah Deniz”, in Azerbaigian: dal gasdotto Trans Anatolico TANAP, che attraversa la Turchia (vedi mappa), arrivano ogni anno in Europa 4 miliardi di metri cubi di gas e in Turchia ne rimangono 6 miliardi. I numeri, in futuro, sono destinati a crescere perché l’infrastruttura non è ancora operativa al 100%.

Anche Israele si candida a diventare tra i maggiori esportatori. Il presidente Isaac Herzog, che recentemente ha incontrato Erdogan, vorrebbe sfruttare le infrastrutture turche per convogliare il gas del giacimento Leviatano il più grande al mondo nel viaggio fino in Europa. Secondo le stime, contiene più di 21 trilioni di metri cubi di gas naturale, quantità che non solo permette di soddisfare le esigenze di produzione energetica d’Israele per i prossimi quarant’anni, ma lascia al Paese anche un ruolo importante sul tema export.Il dialogo tra Israele e Turchia è stato favorito anche dalla decisione degli Stati Uniti di abbandonare il progetto del gasdotto Eastmed che, passando dallo Stato greco, avrebbe escluso i turchi. Capitolo correlato anche quello dell’Africa, dove crescono le aspirazioni dell’Egitto a diventare il terzo polo di un possibile hub energetico con Cipro perno centrale. Il Paese africano già esporta Lng e gas, anche in Italia. L’idea di una collaborazione potrebbe decollare. L’unico ostacolo rimane la questione dello sfruttamento delle riserve di gas che si trovano nell’isola del Mediterraneo orientale sulle quali Turchia ed Europa hanno idee diverse.

Gli investimenti diretti in Africa del Paese guidato da Erdogan ammontano a 6 mld di dollari. Che ruolo avrà in futuro da un punto di vista geopolitico?

«La Turchia ha giocato molto sul background storico, soprattutto sull’aspetto religioso. Nel continente africano, all’inizio degli anni duemila, ha deciso di investire costruendo scuole, fondazioni e centri di assistenza umanitaria. La differenza tra la Turchia e le altre grandi potenze che gravitano è che il Paese di Erdogan viene percepito in modo positivo. Basti guardare la Somalia, in cui ci sono delle attività di treding nel settore della difesa somala».

Gli scambi commerciali bilaterali Russia-Turchia si aggirano attorno ai 30 mld di dollari: turismo, energia ed edilizia i tre settori che li legano di più. Un’eventuale rottura dei rapporti Ankara-Mosca quali ricadute potrebbe avere sulla stabilità interna della Turchia?

«Il posizionamento della Turchia nell’attuale conflitto russo ucraino è dettato anche da fattori interni. In questo momento nel Paese ci sono delle grosse disfunzionalità, un tasso d’inflazione a doppia cifra che è andato oltre il 50% con forti rincari e un conseguente impoverimento delle tasche dei turchi. Aumenta il tasso di disoccupazione e il settore dell’energia ha destato molta preoccupazione e grosse proteste di piazza. Al livello esterno, Erdogan ha già vissuto delle crisi di confidenza con la Russia, come l’abbattimento del jet russo nel 2015 che ha portato al congelamento dei rapporti con l’attuale amministrazione. I due Paesi, nonostante siano partner cordiali, giocano su fronti opposti, pensiamo alla Libia e alla Siria. Nel 2020 c’è stato uno scontro tra Russia e Turchia e più di 34 soldati turchi sono stati uccisi. Il Paese di Erdogan non avrebbe la forza di affrontare un ulteriore crisi ai propri confini che riguarda direttamente Ankara».

Si conferma sempre più l’ampia apertura all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea da parte delle imprese che vi operano. Uno degli aspetti favorevoli al business in questo Paese è legato al posizionamento geopolitico. La quasi totalità delle imprese ritiene che il mercato turco rappresenti anche una testa di ponte per accedere ad altri paesi dell’area o del continente africano. Quali benefici per l’Ue?

«Il processo politico che porterebbe la Turchia ad essere pieno membro dell’Unione europea è iniziato nel 2005 e si è arenato quasi subito per una questione di forma quindi sostanziale. Su 35 capitoli negoziali, ad oggi se n’è aperto e chiuso solo uno e circa 17 sono bloccati da veti incorciati. Spostandoci sul piano economico, fa gia parte dell’Unione europea. Quest’ultima è il secondo partner commerciale del Paese turco. Abbiamo anche sforato i 20 miliardi di euro di scambi e l’obiettivo congiunto è quello dei trenta. Quindi, sostanzialmente è un integrazione economica che può essere migliorata. In ogni caso, la Turchia rimane un partner europeo da un punto di vista economico, energetico, della sicurezza, dell’innovazione, estremamente giovane, con un alto livello di istruzione».

La Turchia è un Paese giovane (31,5 anni l’età media) e ha un’economia in crescita (da 102,33 mld di dollari di GDP nel 1986 a 1.333,77 stimato nel 2026). Quali saranno i settori in cui la Turchia investirà di più nei prossimi anni?

«Il finanziario, soprattutto la città di Instanbul, che si sta attestando come centro molto importante per la finanza islamica. Il settore delle energie rinnovabili, specialmente eolico e solare, innovazione digitale e logistica».

Nel giugno del 2023 in Turchia si terranno le elezioni. Da una parte il Paese è diventato il porto degli oligarchi russi, dall’altra Macron nei giorni scorsi ha annunciato un’operaizone umanitaria con Turchia e Grecia a Mariupol. Quanto e come inciderà il conflitto Russia-Ucraina sulle elezioni del prossimo anno?

«La Turchia, nel tentativo di mediazione che ha con Ucraina e Russia, sta giocando molto in termini di credibilità, sia interna che esterna. All’esterno sta dimostrando all’Occidente che è un partner Nato credibile. All’interno del Paese c’è una percezione sociale che questo sistema presidenziale non funzioni. È un meccanismo nelle mani del leader, un’interpretazione personalistica del potere. Forti tensioni quando tocchiamo i diritti umani e libertà di espressione. Altra criticità è la rappresentanza. Attualmente il presidente controlla tutto, la separazione dei poteri è inesistente. Più del 50% della società non si ritrova in questa retorica, non si sente rappresentata. Una percentuale che cresce soprattutto tra la generazione Z, quella che in Turchia sembra che possa cambiare le sorti del Paese, diventando l’ago della bilancia». ©

Mario Catalano

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