Il Dragone chiude i rubinetti allo sport. I finanziamenti cinesi sembravano una costante destinata a cambiare il volto di alcune delle competizioni più famose al mondo: 7 sponsor ufficiali su 14 nella Coppa del Mondo di calcio 2018, un miliardo e mezzo di dollari per trasmettere in esclusiva l’NBA in Cina, persino lo storico stadio dell’Atletico Madrid rinominato in onore del proprietario della cinese Wanda Dalian Group. Senza contare i casi eclatanti di acquisto di squadre come Milan, Inter, il già citato Atletico Madrid, Southampton e Slavia Praga.
Dal 2017 in avanti, però, i soldi che hanno rifocillato FIFA, campionati nazionali e sport americani sono spariti. Come d’incanto. Proprietà vendute, contatti raffreddati, interi club cinesi passati dallo spendere 50 milioni per un singolo giocatore al dover sciogliere l’intera squadra nel giro di 5 anni. Il Covid-19, di certo, non ha aiutato. Ma il dietrofront dei magnati cinesi ha cause più profonde.
Il calcio cinese nell’era di Xi Jinping: l’ascesa
Nel 2011, un anno prima di diventare presidente, Xi Jinping aveva rivelato a un politico sudcoreano di avere tre sogni: vedere la Cina qualificarsi in Coppa del Mondo, ospitarne un’edizione e, last but not least, vincerla. Dal 2012 al 2015, il sogno cinese prende la forma di investimenti privati massicci all’estero e in patria. Quanto massicci? La risposta la fornisce il Consiglio di Stato cinese, stimando il valore del mercato calcistico locale in 42 miliardi di dollari nel 2025. In queste cifre sono inclusi gli sforzi di investimento di aziende centrali nell’economia cinese. Tra esse, i nomi principali sono Evergrande (122esimo gruppo economico al mondo per fatturato nel 2021, si occupa di sviluppo immobiliare ed è stata dichiarata in default da Standard&Poor alla fine dello scorso anno), Suning (proprietaria dell’Inter), Alibaba e Greenland, vero e proprio colosso immobiliare nato come azienda di Stato.
Il primo exit poll che certifica le nuove disponibilità finanziarie locali arriva dal mercato: 50 milioni di euro per Alex Teixeira al Jiangsu Suning (vedi alla voce Inter), 55 per Hulk e 60 per Oscar allo Shanghai SIPG (squadra gestita dall’autorità portuale di Shanghai e ora rinominata, appropriatamente, Shanghai Port) nel giro di sei mesi. Il calcio cinese sembra competere con le migliori squadre d’Europa, anche solo in parte, per calciatori che non sono semplici vecchie glorie: il più anziano dei tre, Hulk, deve ancora compiere trent’anni.
Nel frattempo, i media di Pechino rispondono all’entusiasmo strapagando i diritti di trasmissione delle leghe europee: Le Sports, PP Sports e Mediapro si accalcano per ottenere esclusive sul territorio cinese per Premier League, Serie A, Ligue 1.
Il calcio cinese nelle mani di Xi Jinping: il declino
Poi, nel 2017, comincia un cambio di linea inesorabile. Non è immediata la sua percezione nel mercato interno, dove ancora i magnati cinesi possono spendere: solo nel 2018 vengono spesi per Paulinho, Ferreira Carrasco e Arnautovic dai 30 milioni in su. Ma la tendenza si inverte, e i motivi ci sono. La nazionale continua a mancare risultati importanti, e il GDP cinese del 2016 sembra soffrire immensamente delle ingenti cifre dirette a mercati esteri.
La fuoriuscita di capitali dalla madrepatria è una delle ragioni chiave che spinge Xi Jinping a chiudere i rubinetti. Ma non è l’unico: se chi può spendere lo fa non badando alle cifre (e viene criticato dai media di Stato, come nel caso di Suning per l’acquisto dell’Inter), chi non può spendere fa pure peggio. Si indebita con fondi d’investimento esteri, come nel caso dell’ex-proprietario del Milan Li Jonghong.
Wang Jianlin, proprietario dell’Atletico Madrid e uomo più ricco di Cina fino al 2017 (investe nell’immobiliare, nei parchi divertimento e nelle catene di cinema), è il primo a essere “invitato” a cedere le sue quote madrilene. Sarà ricompensato con una squadra della Serie A locale, il Dalian Pro. La lascerà senza un proprietario nel 2021.
Tocca poi a Ye Jianming, investimenti in petrolio e gas naturale con la CEFC China Energy. Cede lo Sparta Praga, non senza farsi accusare di corruzione contemporaneamente da USA e Cina. La sua compagnia fallisce nel 2020 e dietro l’inchiesta in Asia c’è una richiesta espressa del presidente.
Da quel momento, il domino del calcio cinese crolla. Il Jiangsu Suning campione in carica smette le proprie operazioni a febbraio 2021, il Qingdao nell’aprile 2022, il Chongqing a maggio. Nove club dissolti dal 2017 a oggi, più di dieci che non effettuano i pagamenti. Giocatori affranti che concedono interviste chiedendo come possano continuare a giocare se non guadagnano un soldo.
L’impatto del declino sull’Europa e sull’Italia
L’impatto sull’Europa non è da meno. Il piano quinquennale promosso nel 2020 dal Partito Comunista Cinese richiede specificamente il rientro dei capitali dall’estero e l’investimento interno. L’emorragia di denaro esterno e debiti ha fatto dire basta al presidente. I proprietari cedono le quote (o, come nel caso del Milan, semplicemente le perdono a favore dei prestatori) dei club stranieri il prima possibile, le emittenti smettono di pagare le leghe per i diritti tv.
Riguardare oggi il caso Wang Jianlin è quasi ragione di nostalgia: basti pensare al confronto con quello del suo successore come uomo più ricco di Cina, Jack Ma (già azionario del Guangzhou Evergrande, allenato prima da Marcello Lippi e poi da Fabio Cannavaro).
E chi non vuole cedere?
Il caso più eclatante in merito è il rapporto tra l’Inter e la sua proprietaria, Suning. Nata come società con migliaia di negozi di vendita al dettaglio soprattutto di elettronica, ha dominato il mercato locale fagocitando man mano aziende impegnate in una varietà di settori: PPTV per i media, Taobao per l’e-commerce, Carrefour China per i supermarket e infine il già menzionato Wanda Group per l’immobiliare. L’acquisto dell’Inter nel 2016 viene rapidamente bissato da un’offerta da 700 milioni di dollari per trasmettere in Cina la Premier League. Non è tutto: 500 milioni per la trasmissione di Bundesliga e La Liga per 5 anni.
La liquidità del colosso, però, comincia a essere messa in dubbio. Debiti pregressi e il Covid-19 fanno accumulare un passivo nell’anno fiscale 2020 di 960 milioni di euro; la corte di Pechino congela parte degli asset del fondatore e proprietario Zhang Jintong. Tocca cedere: nel luglio 2021 un fondo di investitori statali e privati rileva parte delle quote di Suning.com, rialzando le calanti quotazioni in Borsa del gruppo. Zhang Jintong si fa da parte, restando in carica come presidente onorario. Il figlio Steven rimane parte del CDA.
E l’Inter? Tocca autofinanziarsi. Di sicuro c’è che Steven Zhang promette ai suoi impiegati che non ci sarà un passaggio di proprietà a breve, nonostante le indiscrezioni. Ma, per i tifosi interisti come per quelli cinesi, le promesse di un tempo sono rimaste tali.