giovedì, 5 Dicembre 2024

Come sarà la Serie A delle professioniste del pallone?

femminile

Dal salario minimo alla maternità, fino alle difficoltà delle piccole squadre ad adattarsi alla nuova realtà. Con il passaggio al calcio professionistico la Serie A femminile cambia volto.

Dopo anni di battaglie, le donne del pallone ottengono il risultato più importante: uscire dal dilettantismo e avere la possibilità di diventare atlete di professione. Si concludono domenica 31 luglio i Campionati Europei di calcio femminile, i primi che le azzurre hanno affrontato da professioniste. E nonostante la Nazionale sia rimasta al di sotto delle aspettative, il movimento femminile del calcio italiano ha fatto passi da gigante. Questo è solo l’ultimo di una serie di risultati diretta conseguenza degli investimenti delle grandi firme del calcio italiano, dalla Juventus all’Inter, dal Milan alla Roma.

Ma cosa significa davvero questo passaggio per calciatrici e società? Cosa cambia nella vita di tutti i giorni per un’atleta che riesce ad arrivare nella Serie A femminile, e a cosa possono ambire le migliaia di ragazze che sognano di poter indossare un giorno la maglia della loro squadra del cuore?

Professionismo, i vantaggi per le atlete e i mugugni delle società

Essere professionista significa, prima di qualsiasi altra cosa, essere pagata. In Italia fino alla scorsa stagione una calciatrice aveva diritto soltanto a un rimborso spese, in quanto dilettante, e la media delle retribuzioni si attestava attorno ai 18.300 euro. Dalla prossima invece, potranno ricevere veri e propri stipendi, con un salario minimo di 26.000 euro lordi l’anno, equiparato a quello della Serie C maschile. Assieme al professionismo arrivano anche contributi previdenziali, e tutele come la maternità e i punti di invalidità in caso di infortuni debilitanti.

Manca ancora però un passo importante per il calcio femminile italiano, una battaglia che in altri Paesi si è già conclusa: la parità salariale in Nazionale. Il tema è già stato affrontato con successo dalle atlete statunitensi, che hanno ottenuto rimborsi spese uguali a quelli dei colleghi uomini per i propri impegni in nazionale.

Anche le società traggono vantaggio dal passaggio al professionismo, soprattutto sul mercato: buona parte dei campionati femminili europei sono infatti professionistici da molti anni. Convincere le migliori calciatrici del mondo a lasciare i propri campionati, con tutele da professioniste, per trasferirsi in una Serie A per dilettanti si era rivelato in passato molto complesso.

Secondo le previsioni di Banca Ifis, il passaggio al professionismo permetterà alle società calcistiche femminili di aumentare i ricavi, come si evince dal paragone con la Women’s Super League inglese: oltremanica i guadagni si aggirano attorno a 1,4 milioni di euro, mentre in Italia ci si ferma a 900.000, il 38% in meno.

Per le società si prospettano però anche alcune difficoltà legate al passaggio al professionismo: tutte le squadre dovranno obbligatoriamente diventare società di capitali, versare una fideiussione da 80.000 euro e rinnovare i propri impianti garantendo stadi da almeno 500 posti. Queste spese, sommate a quelle legate agli stipendi e alla previdenza sociale delle calciatrici, causeranno un aumento dei costi tra il 60% e l’80%, una vera impennata.

I grandi club come Juventus, Inter, Milan e Roma non avranno certo problemi ad adattarsi alle nuove spese che il passaggio al professionismo comporterà, ma le società minori stanno già lamentando difficoltà economiche. L’Empoli, per esempio, ha già ceduto il proprio titolo di partecipazione alla Serie A, che è stato prontamente acquistato dal Parma. La sofferenza delle piccole società però non è nuovo nel calcio femminile italiano, anzi risale ai primi grossi investimenti fatti dalla Juventus dal 2017. L’arrivo dei grandi club maschili ha sicuramente imposto un cambio di passo a tutto il movimento, ma ha anche distrutto quelle piccole realtà locali che per anni hanno tenuto a galla la Serie A femminile, come il Mozzanica o il Bardolino Verona. Il passaggio al professionismo è soltanto l’ultimo passo in questa corsa verso il futuro, che inevitabilmente miete vittime tra chi non è pronto ad affrontarla.

Matteo Runchi

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