giovedì, 25 Aprile 2024

Big Tech: frena il boom. Tra volatilità e licenziamenti, 2023 in salita

Tech

Il successo delle Big Tech vacilla. La crescita eccessiva dovuta principalmente al confinamento obbligato dalla pandemia, sembra non resistere al “ritorno alla normalità” e la recessione conseguente porta anche ai recenti licenziamenti di massa. Ma se il comparto mondiale non se la cava benissimo, ancora meno bene fanno le compagnie tecnologiche italiane. Per rendersene contro basta guardare in che posizione – su 800 – si trova la prima tricolore nella classifica mondiale delle società con la capitalizzazione più alta di mercato nel settore Tech: la 278. Si tratta di Technoprobe, leader nel settore dei semiconduttori e della microelettronica. Da qui, solo facendo un salto in avanti di 364 posizioni se ne trova un’altra: la Digital Bros (642esima). «I motivi? Sono atavici e dipendono da una serie di fattori. In primis quello che ha consentito alla Silicon Valley di diventare la triade: università, industria, capitali», dice Luca Frigerio, imprenditore, investitore in startup e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Luigi Einaudi. «L’Italia non ha mai avuto un distretto Tech in grado di intercettare le esigenze di un settore estremamente rapido, ovvero, un ecosistema integrato a supporto delle aziende (idea-università-industria e/o capitali). La mancanza di questo contesto ha fatto sì che il vero sviluppo dell’ecosistema sia avvenuto spesso fuori dai nostri confini».

Discorso opposto per gli Stati Uniti che, senza alcuna sorpesa dominano il comparto: nella top 10 a livello internazionale, sette società su dieci sono americane. Sul gradino più alto del podio Apple, seguita da Microsoft, Alphabet, Amazon, Tesla, NVIDIA, TSMC (Taiwan), Samsung (Corea del Sud), Tencent (Cina) e Meta Platforms. Insomma, la tecnologia non è il punto forte dell’Italia e il settore stenta a decollare, anche se i dati dell’ultimo anno sono migliorati e le previsioni non sono così negative.

Nel 2021, secondo il rapporto Anitec-Assinform “Il digitale in Italia 2022 – Mercati, Dinamiche, Policy”, il giro d’affari del comparto ha registrato una crescita del 5,3%, raggiungendo complessivamente 75,3 miliardi di euro. In particolare è cresciuta la percentuale per i dispositivi e i sistemi (+9,1% e un mercato che raggiunge i 21,1 miliardi di euro), con un’accelerazione dovuta principalmente alle vendite dei personal computer e degli apparecchi televisivi. Andamenti positivi si sono avuti anche in tutti i comparti dell’Information Technology, con il segmento del Software e Soluzioni ICT che ha chiuso l’anno scorso a quota 8,1 miliardi di euro, con una crescita dell’8%, e quello dei Servizi ICT che ha raggiunto quasi i 13,7 miliardi di euro, con un aumento del 7,6%. In questa scia positiva, sono continuati, invece, i trend negativi dei Servizi di Rete TLC (-3,3%). In “standby” il settore della blockchain in Italia. Infatti, se nel 2021, secondo una ricerca dell’Osservatorio Blockchain e Distributed Ledger della School of Management del Politecnico di Milano, a livello mondiale si contavano 370 iniziative, tra progetti e annunci, sviluppate da aziende e pubbliche amministrazioni, in crescita del 39% rispetto al 2020, il mercato italiano è stato molto più in fase di attesa. «Vedo a livello Europeo e non solo, una frammentazione dovuta a diversi aspetti, tra cui la presenza più o meno elevata di ecosistemi aperti e disposti a investire nel settore, ma soprattutto all’importanza di una presenza normativa che predisponga chiarezza sull’attuazione di standard comunitari per operare tra le diverse aree sub-settoriali del comparto blockchain», commenta Luigi Di Benedetto, fondatore dell’osservatorio nazionale IBNO (Italian Blockchain National Observatory) e membro del consiglio nazionale dell’associazione di categoria Italia4Blockchain. «Va tuttavia detto che l’Europa sta compiendo importanti passi avanti nell’armonizzazione del quadro giuridico, normativo e politico. Il 24 settembre 2020 la Commissione Europea ha pubblicato una proposta per un “Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sui Mercati delle Criptovalute”, comunemente denominata proposta MiCA, tuttavia negli ultimi giorni la stessa Commissione si è esposta annunciando uno slittamento del voto per via della situazione in Ucraina e della difficoltà tecnica dovuta alla lunghezza e alla complessità del testo».

L’importanza di questa misura è stata recentemente ribadita in un convegno organizzato dalla nostra casa editrice dal vice Presidente della BCE Luis de Guindos. «Il crack di FTX? Non mi ha sorpreso. Il rischio di investire in criptovalute è noto, a causa della loro volatilità e dell’assenza di normative. L’America si sta muovendo, dovremo farlo anche noi».

Nel 2021, gli investimenti delle aziende nel mercato italiano della Blockchain sono stati di 28 milioni di euro. Stabili rispetto ai 23 milioni del 2020 e ai 30 milioni del 2019. Il segmento più attivo si conferma quello finanziario e assicurativo, con il 50% degli investimenti. Seguono la pubblica amministrazione (15%), l’agroalimentare (stabile all’11%) e le utility (10%). «Guardando all’Italia, dunque, nota per la propria caratteristica “conservatoria”, forse dovuta al primato di avere uno degli apparati normativi più complessi e articolati al mondo, non mi stupisce quindi che la filiera produttiva rimanga “in attesa” per avere più certezze visto che, da un lato stiamo vivendo una crisi economica-finanziaria tra le più gravi mai vissute che porta a una revisione dei budgets e investimenti per il mantenimento del tessuto produttivo. Dall’altro, un’incertezza normativa che si ripercuote tra i player di settore che già hanno investito, così come tra i retailers e clienti finali utilizzatori dei servizi. Ma, nonostante il periodo particolare, l’Italia non è l’ultimo fanalino di coda nel settore e negli ultimi anni stiamo assistendo a uno sfruttamento delle peculiarità della tecnologia blockchain in maniera trasversale, dagli exchange già diventati rilevanti per volumi d’affari, alla maturazione della tecnologia NFT nell’industria artistica e nel diritto d’autore; fino ad arrivare all’applicazione della blockchain a un’industria che è stata la protagonista negli ultimi anni come la sanità».

L’andamento del mercato digitale previsto al termine del 2022 in Italia sarà influenzato dalla combinazione degli effetti di due fattori: l’accesso alle risorse del PNRR destinate ai progetti di digitalizzazione del Paese e la situazione economica determinata dal conflitto in Ucraina. L’industria, infatti, è penalizzata dall’aumento del costo dell’energia e dei metalli di cui Mosca e Kiev sono Paesi esportatori (tra cui il rame, l’alluminio, il nickel). La preoccupazione determinata dalla guerra sta producendo un rallentamento nei piani di investimento digitale di aziende e organizzazioni, che si riflette sull’andamento del mercato. Si ipotizza pertanto una crescita media annua del mercato digitale di quasi 6 punti percentuali, fino a superare i 91 miliardi di euro nel 2025.

Secondo alcune stime il settore dell’ICT tradizionale e il mercato digitale evidenziano un gap nelle dinamiche di crescita che si ridurrà fino ad allinearsi. Questo è un indicatore di come i piani di trasformazione digitale siano ormai diffusi e prevedano investimenti di una portata tale da comprendere anche il rinnovo delle componenti più tradizionali del mercato (di rete, sistemi e applicazioni). Il mercato dei digital enabler (processo che consente di armonizzare, sincronizzare, integrare, visualizzare, combinare, associare e analizzare dati provenienti da diverse fonti) e dei digital transformer rappresentano un insieme articolato di soluzioni e piattaforme. «L’Italia è allineata al resto dell’Europa, soprattutto dopo le recenti linee guida introdotte dall’Agenzia Nazionale per la Cybersicurezza finalizzate ad attualizzare le esigenze del comparto, in particolare sono stati indicati cinque pilastri attuativi», torna a spiegare Frigerio. «Assicurare una transizione digitale cyber resiliente della Pubblica Amministrazione (PA) e del tessuto produttivo, l’autonomia strategica nazionale ed europea nel settore del digitale, anticipare l’evoluzione della minaccia cyber, la gestione di crisi cibernetiche, il contrasto alla disinformazione online nel più ampio contesto della cosiddetta minaccia ibrid. La strategia si basa sulla collaborazione tra istituzioni, imprese, PA e università, indicando ben 82 misure necessarie alla sua implementazione. È evidente come l’implementazione di piani di questa natura sia strettamente correlata alla disponibilità di fondi (il PNNR) e alla velocità di attuazione, pertanto sarà indispensabile un attento monitoraggio dei progressi in corso per non disallinearci dal resto della comunità Europea».

Quindi, in sostanza che cosa potremo aspettarci nel 2023?

«Sarà un anno particolarmente difficile soprattutto in Europa. Le tensioni geopolitiche e la conseguente crisi dei mercati finanziari e industriali, ma anche l’effetto del Long Covid sull’economia, incideranno negativamente sul mercato domestico, meno resiliente e solido rispetto all’America e all’Asia. Ci ritroveremo con un’inflazione strutturale che metterà in crisi ampie fasce di popolazione (anzi, ha già messo in crisi), con conseguente aumento delle tensioni sociali e delle relative politiche di bilancio necessarie a stemperarle. Questo lascia meno spazio agli investimenti finalizzati alla crescita. Anche la rigidità sui contenuti del PNNR non aiuta, servirebbe un profondo aggiornamento degli stessi orientato a migliorare l’indipendenza energetica, indispensabile come non mai soprattutto alla luce della guerra in Ucraina».

L’Europa, alla fine, si conferma l’area caratterizzata da una maggiore maturità della domanda in prodotti e servizi digitali. Nel 2021, con lo scoppio della pandemia e il conseguente sviluppo del lavoro da remoto, la didattica a distanza e la telemedicina hanno spinto gli investimenti sia delle aziende che degli enti pubblici, inclusi quelli attivi nei comparti sanità e istruzione. In linea con quanto rilevato nel 2021, il mercato digitale nel resto del mondo è sostenuto dalla domanda di prodotti e servizi digitali da parte dei Paesi in via di sviluppo. Si tratta di una componente di spesa destinata nel breve termine a subire un forte rallentamento a causa della difficile situazione geopolitica in molte aree del pianeta. Le Regioni in cui si è investito di più nel settore Tech a livello mondiale sono Nord America e Asia Pacifico. La prima è un’area all’avanguardia nell’implementazione di soluzioni Cloud e digitali. Le imprese beneficiano delle infrastrutture di livello mondiale e catene di approvvigionamento locali che spingono la domanda di inventimenti in categoria tecnologiche emergenti. Ma ciò non significa che questa macroregione domini i nuovi mercati Tech. La concorrenza di Cina, India e altri Paesi dell’Asia Pacifico (APAC) si fa sempre più forte. Un’area che è diventata il punto di riferimento a livello mondiale della robotica e di IoT. Sempre più governi asiatici lavorano per sfruttare le nuove tecnologie per affrontare le sfide economiche e demografiche. Un esempio? La robotica in Giappone rappresenta una risposta alla carenza di manodopera. Nella Regione aumentano gli investimenti nello sviluppo di città intelligenti, soprattutto in Corea del Sud. La spesa sostenuta dai Paesi dell’America Latina, dopo la frenata registrata durante il picco dell’emergenza sanitaria, ha ripreso a crescere sostenuta dagli investimenti in nuove soluzioni digitali a supporto della produttività aziendale (piattaforme collaborative e HCM, soluzioni Cloud, ecc.) e della riduzione dei costi aziendali. «L’infrastruttura tecnologica è in costante crescita anche nei mercati europei. Tuttavia la catena di approvvigionamento ci vede estremamente dipendenti dai Paesi di origine delle materie prime, vedi il caso Cina per le terre rare o l’America (con Taiwan) per i semi conduttori. Più in generale il ragionamento vale per tutto il comparto industriale, non solo in ambito tecnologico. L’Europa resterà un continente interessante per i consumi, ma molto meno per sviluppo tecnologico. Anche in questo caso non vi sono segnali di una inversione di tendenza, viceversa il progressivo consolidarsi di alcune realtà produttive estere (vedi Cina per le auto elettriche) non potrà che peggiorare questo trend». ©