sabato, 27 Aprile 2024

CINA-USA: guerra fredda nell’area MENA

Medio Oriente e Nord Africa

Tra Cina e USA è guerra per la conquista di Nord Africa e Medio Oriente. Nell’ultimo decennio, la competizione globale tra Pechino e Washington è cresciuta in intensità. Le maggiori prospettive globali della Cina, in particolare attraverso la Belt and Road Initiative (BRI), hanno portato a un impegno economico significativamente maggiore nei Paesi di Medio Oriente e Nord Africa (MENA). Di questi, gran parte ha firmato accordi formali, mentre altri, come la Giordania, collaborano con l’iniziativa. Con il finanziamento di progetti volti a favorire lo sviluppo economico locale, Pechino punta a conquistare il favore di questi Stati e ad assicurarsi un’immagine positiva anche per gli anni a venire. Sul fronte opposto, gli Stati Uniti sembrano in procinto di ritirarsi dalla regione, per dirigere le proprie mire verso l’Asia. Ma qual è l’opinione dei Paesi MENA, (Medio Oriente e Africa del Nord) su questi sviluppi?

«In tutta l’area, la Cina rimane più popolare degli Stati Uniti»: è quanto emerge dalla Wave VII (2021-22) di Arab Barometer, la più grande indagine sugli atteggiamenti e sui valori sociali, politici ed economici nella regione, dai tempi del Covid-19. Tra i nove Paesi presi in esame, solo in Marocco gli Stati Uniti (69%) sono complessivamente più benvoluti della Cina (64%). Ma la tendenza potrebbe cambiare. Negli ultimi anni, in nessun Paese è aumentato il desiderio di relazioni economiche più strette con Pechino, mentre in molti casi c’è stato uno spostamento di 20 punti contro il Dragone. Solo in quattro dei nove Paesi intervistati, almeno il 50% vorrebbe un avvicinamento alla Repubblica Popolare, con un sostegno maggiore in Tunisia (63%), Iraq (53%), Giordania e Libia (50%). In linea generale, si assiste a un calo significativo rispetto alle indagini condotte nel 2018/19 da Arab Barometer. Ad esempio, in Giordania e in Palestina, la “simpatia” per la Terra di Mezzo è scesa di 20 punti; un calo di 14 punti si è registrato in Marocco e Sudan, di 13 in Libia e di 5 punti in Libano. Mentre non ci sono stati cambiamenti significativi in Tunisia e in Iraq. In confronto, nella maggior parte dei casi, la voglia di stringere legami più forti con gli Stati Uniti è aumentata o rimasta invariata nello stesso periodo. Solo in due dei Paesi intervistati, almeno la metà desidera relazioni più strette con Washington: il Sudan (58%) e la Tunisia (54%). Altrove, la preferenza scende dai quattro su dieci fino alla metà della popolazione, con la Palestina come eccezione principale (21%). A differenza di quanto accade per la Cina, l’indice non ha subito un calo generalizzato in tutta la regione rispetto a quattro anni fa. Solo in Palestina (- 10 punti) e in Giordania (- 9) si è registrata un’importante flessione. In Iraq (+ 11), Tunisia (+ 9) e Libia (+ 6), i cittadini sono più propensi a un avvicinamento con gli USA, mentre in Libano, Marocco e Sudan non sono emersi cambiamenti rilevanti nel periodo in esame.

La spiegazione? Sembrerebbe che l’impegno economico della Repubblica Popolare nell’area MENA non convinca (o che, addirittura, non si sia rivelato all’altezza delle aspettative) e che la BRI non stia sortendo gli effetti sperati. In parte, poi, potrebbe essere legata al fatto che i brand cinesi, attori chiave nel modello della Belt and Road Initiative, sono ritenuti più deboli rispetto alle loro controparti occidentali. Insomma, la percezione degli investimenti asiatici nella regione non risulta eccessivamente positiva, se confrontata con realtà aziendali provenienti da altre nazioni straniere. Solo in Iraq (27%), una compagnia asiatica è preferita a una americana o tedesca per la costruzione di un progetto infrastrutturale. Quanto a qualità del lavoro svolto, la percentuale di scelta della prima opzione varia da un massimo del 18% in Libia, ad appena il 10% in Mauritania. A titolo di confronto, in sette degli otto Paesi in cui è stata posta la domanda, un’azienda tedesca è considerata “di migliore qualità”, e solo in Mauritania un’azienda americana risulta essere la prima scelta (in Libano, Stati Uniti e Germania sono a pari merito con il 25%). In tutti gli altri Paesi, all’infuori dell’Iraq (e qui potrebbe essere legato ai significativi investimenti cinesi dall’inizio della pandemia), non più di una persona su cinque preferirebbe che il contratto di appalto fosse assegnato a un’azienda del Dragone.

Una prova ancora più schiacciante emerge dalle risposte date alla domanda “Qual è il luogo di origine dell’azienda che costruirebbe un progetto con la qualità più bassa?” In tutti gli otto Stati in cui è stata posta, la Cina è la risposta più comune. In Iraq (68%) e in Giordania (64%), circa due terzi degli abitanti sono di questo parere e più della metà in Mauritania (55%); il 32% in Marocco e il 35% in Libia. Tuttavia, il compromesso per una maggiore qualità spesso si traduce in un aumento dei costi. I cittadini di tutta l’area indicano come più probabile che un’azienda asiatica porti a termine il progetto con una spesa limitata, a fronte di imprese tedesche e statunitensi ritenute più costose. Questa percezione di prezzi bassi e cattiva qualità, nondimeno, contribuisce a costruire un’immagine negativa dei marchi cinesi.

Tra le variabili prese in esame, c’è poi la probabilità che un Paese straniero si serva di tangenti per aggiudicarsi appalti, con gli americani in vantaggio come i meno propensi a pagarle. In Mauritania, Marocco e Tunisia, vince di poco la Germania, mentre in Libia la Turchia è al primo posto (25%). In nessun Paese la Cina raggiunge il tetto della classifica. Contemporaneamente, però, le aziende con sede negli Stati Uniti sono considerate anche le più propense ad accettare tangenti per assicurarsi un contratto e questo in sei delle otto nazioni considerate. In Libia, la Turchia è al primo posto (34%), mentre la Cina raggiunge il primato in Mauritania (33%). Un’altra unità di misura sono i salari: in particolare, ci si chiede quale Paese straniero pagherebbe meglio la forza lavoro locale. Su questo punto, le aziende statunitensi sono in netto vantaggio, con una percentuale che va dalla maggioranza (54%) in Giordania, al 29% in Tunisia e Libano. In questi ultimi, vincono le compagnie tedesche con – rispettivamente – il 33% e il 30%. Le aziende cinesi non sono considerate così propense a pagare buoni salari, con un massimo del 16% in Marocco e andando a sfiorare il 5% in Tunisia e il 4% in Giordania. Quanto al trattamento riservato ai lavoratori, le opinioni dell’area MENA sono pressoché allineate, con ampio trionfo delle società americane e tedesche. Su questo indicatore, la percezione delle asiatiche è un po’ più positiva: in Iraq sono in vetta alla classifica, a pari merito con americane e tedesche (22% ciascuno), mentre altrove la percentuale varia dal 22% in Libia al 7% in Mauritania.

Tutto sommato, il numero di scambi commerciali dell’area MENA con Pechino resta significativamente più alto rispetto a quello con Washington. E, ciononostante, i cittadini della regione percepiscono il potere economico USA come un pericolo più pressante rispetto all’espansione asiatica. Un terzo (o poco meno) degli Stati intervistati teme la “minaccia Cina” – di questi, solo il 21% in Marocco e il 20% in Libano. Ma da nessuna parte è considerata più preoccupante di quella occidentale. In otto dei nove Paesi in cui è stata posta la domanda, un terzo degli abitanti si dice più allarmato per quest’ultima, tra cui più della metà in Iraq e Palestina (53%, rispettivamente).

Riguardo alle questioni politiche, sia Washington sia Pechino hanno potenziali responsabilità che potrebbero limitare il loro sostegno complessivo. Quanto alla Cina, va considerato il trattamento riservato alle minoranze musulmane, in particolare alla popolazione uigura dello Xinjiang. Sembrerebbe, comunque, che una fetta relativamente ridotta della popolazione stia monitorando la situazione e che, quindi, questa abbia un peso limitato nella strutturazione dell’opinione pubblica sul Dragone. Contemporaneamente, il continuo sostegno degli Stati Uniti a Israele, compresi i recenti sforzi di normalizzazione con i Paesi arabi, è malvisto da questi ultimi e non è difficile immaginare quanto questo possa danneggiare gli sforzi USA per conquistare cuori e menti nel mondo musulmano. Insomma, la maggiore popolarità della Cina potrebbe essere dovuta, almeno in parte, alla debolezza del suo rivale globale.

Tutto questo emerge da nove sondaggi d’opinione condotti a livello nazionale in Medio Oriente e Nord Africa, nel periodo 2021-22, da Arab Barometer – rete di ricerca apartitica, attiva nell’area dal 2006. I dati riportati sono il risultato di 23.000 interviste. Nel complesso, è chiaro che nella competizione in corso tra le due principali potenze globali, la Cina resta complessivamente preferita agli Stati Uniti, ma questo divario potrebbe ridursi nel prossimo decennio. Nel sentimento collettivo, l’ago della bilancia tende verso Pechino perché la Cina, a differenza degli Stati Uniti, non si porta dietro alcun fardello coloniale e, dettaglio non da poco, non è mai intervenuta militarmente nell’area. Va però considerato che l’ex-Impero Celeste sta scrivendo la propria storia moderna nella regione, cosa che non incontra sempre il pieno favore popolare. ©

Preferenze per gli Stati Uniti, per Paese, nell’area MENA
Preferenze per la Cina, per Paese, nell’area MENA

Nata e cresciuta in Brianza e un sogno nel cassetto – il mare. Ama leggere e scrivere ed è appassionata di comunicazione. Dopo la laurea magistrale in Lingue e Culture per la Comunicazione e la Cooperazione Internazionale, entra nella redazione de “il Bollettino” con un ricco bagaglio di conoscenze linguistiche acquisito durante il percorso scolastico. Ai lettori italiani porta notizie che arrivano da lontano – dall’Asia al mondo arabo.