Il calcio femminile vive una stagione di grande fermento. Da quando le grandi società di Serie A hanno iniziato a investire nel settore, la rilevanza sociale, mediatica ed economica delle donne in questo sport è completamente cambiata. E non ci riferiamo solo alle giocatrici.
L’Italia vanta il record europeo per numero di arbitri in rosa, oltre 1800. Un apporto fondamentale a una categoria, quella arbitrale, i cui ranghi si stanno riducendo. Durante la stagione 2022/2023 c’è stato anche l’esordio della prima donna arbitro nella Serie A maschile, Maria Sole Ferrieri Caputi. Ci sono poi più di 370 allenatrici, sei delle quali con la qualifica più alta disponibile nel calcio europeo, la UEFA PRO, e 64 donne impiegate nello staff della nazionale.
Calcio femminile: il successo di pubblico
La svolta degli ultimi anni è resa evidente dai dati relativi al numero donne tesserate per la FIGC. Nel biennio 2017-2018 erano 25.896, non molte di più delle quasi 24.000 di fine 2016. Alla rilevazione successiva però, quella del 2019-2020, si verifica un netto aumento, a 31.390 tesserate. Soltanto il Covid-19 ha fermato questa crescita. Il successo si è riflesso anche tra le giovani che si avvicinano al mondo del calcio. Prima del Covid-19 erano oltre 12.000 le calciatrici tra i 10 e i 15 anni, più di un terzo delle adulte in attività.
La pay TV sky ha trasmesso In televisione il calcio femminile fino alla stagione 2021-2022, sui canali Sky Sport. Dal 2021 infatti i diritti passano a La7, che trasmette in chiaro le partite sia sul canale principale che su La7d. Un passaggio che ha generato anche un aumento dei profitti derivati dai diritti TV del 36%. È in questo momento che il calcio femminile italiano inizia ad appassionare un numero significativo di spettatori. La media parla di quasi 160.000 tifosi davanti alla televisione per ogni giornata della Serie A femminile trasmessa in chiaro. Il picco lo ha raggiunto la finale di Supercoppa Italiana, che ha registrato 352.000 spettatori medi, con oltre 2,3 milioni di contatti singoli e uno share del 2,5%.
L’attenzione si è trasformata in qualcosa di concreto a luglio del 2022, quando la Serie A femminile è diventata un campionato professionistico. Una battaglia combattuta per anni dalle calciatrici italiane, prima considerate soltanto dilettanti. Niente più rimborsi spese ma stipendi veri, e soprattutto niente più tentazioni di andare all’estero, in Francia o in Inghilterra, dove il professionismo è già una realtà affermata.
Sponsor e investimenti
La Serie A femminile ha fatto un evidente salto di qualità. Nella stagione 2022-2023 è riuscita ad attrarre la sponsorizzazione di un’azienda importante come eBay. Ma l’investimento più importante è stato quello dei grandi nomi del calcio italiano. La prima fu la Juventus nel 2017, seguita a ruota da altri club di Serie A negli anni successivi. Le squadre in possesso della licenza UEFA hanno speso, tra il 2019 e il 2020, 9,5 milioni di euro nel calcio femminile, nonostante la pandemia. Nel biennio precedente erano arrivate ad appena a 1,7 milioni di euro.
Il calcio femminile italiano è un fenomeno in crescita. Lo dimostrano l’interesse del pubblico e i crescenti investimenti nel settore. Il professionismo delle atlete è stato un passo importante, ma anche una testimonianza di come il movimento stia ancora soltanto colmando un gap accumulato negli anni rispetto all’estero.
Il primato statunitense
Per quanto riguarda le donne del calcio, sono i paesi anglofoni ad essere all’avanguardia. In particolare, nel mondo è riconosciuta ormai da anni la leadership degli Stati Uniti, e non solo in fatto di risultati sportivi. Grazie al sistema universitario, che garantisce a vari sport un afflusso continuo di atleti di alto livello, il calcio femminile statunitense si è sviluppato rapidamente. Il 13% della popolazione americana si dice interessata al campionato o alla nazionale, e le partite della NWSL (National Women’s Soccer League) hanno una media di 10.000 spettatori l’una. Numeri che il calcio femminile italiano raggiunge solo durante grandi eventi particolarmente seguiti e pubblicizzati, come l’ultima Supercoppa Italiana.
Il campionato sta pensando ad espandersi in due nuove città e il valore delle squadre sta aumentando vertiginosamente. A dicembre 2019 l’OL Reign è stato venduto per 3,15 milioni di dollari. Nell’estate del 2021 Michele Kang, imprenditrice e fondatrice di CognoSante, azienda che opera nell’ambito delle tecnologie per servizi sanitari, ha acquistato gli Washington Spirits per 35 milioni di dollari. Una crescita esponenziale, riflessa anche dal probabile aumento degli exopansion fee.
Negli sport americani i partecipanti a una competizione non si scelgono tramite i sistemi di promozione e retrocessione come in Europa. I campionati si espandono quando una città decide di ospitare una nuova squadra. Per partecipare è necessario pagare una sorta di tassa di entrata, l’expansion fee, alla Lega che gestisce la competizione. Nel caso della NWSL, l’ultima espansione fu pagata circa 3 milioni di dollari. La nuova richiesta da parte della Lega si aggirerebbe ora attorno ai 50 milioni di dollari.
Il gender gap tra calcio femminile e maschile
Il segnale più evidente dello sviluppo del movimento del calcio femminile in ciascun Paese rimane però la parità di compensi a livello di squadre nazionali. Se infatti le logiche dei pagamenti nelle squadre di club seguono l’immensa popolarità e il giro d’affari sproporzionato che ruota attorno alle squadre maschili, i rimborsi riconosciuti dalle federazioni nazionali dovrebbero basarsi semplicemente sull’impegno richiesto ai giocatori.
Questo hanno sostenuto le calciatrici statunitensi che, già nel 2019, hanno fatto causa a U.S. Soccer per 24 milioni di dollari, vincendo. Da quel momento donne e uomini del calcio americano, quando chiamati a rappresentare la propria nazione nelle competizioni internazionali, vengono pagati allo stesso modo. Lo stesso accede dal 2020 nel Regno Unito.
Il movimento del calcio femminile italiano ha ancora molta strada da fare per raggiungere i Paesi all’avanguardia. Rispetto al passato anche recente però, il cambiamento sembra essere evidente. La strada intrapresa negli ultimi anni sembra però quella giusta. «Oggi 8 squadre su 10 della Serie A sono diretta espressione di club maschili, sono cresciuti il livello e la competitività, e questo ha portato maggior interesse da parte di sponsor e media, grazie ai quali il calcio femminile viene diffuso arrivando a tutti», dice Marta Carissimi, ex calciatrice di Torino, Fiorentina e Milan e oggi Responsabile dell’Area Tecnica della squadra femminile del Genoa cfc.
L’interesse per il calcio femminile in Italia sta crescendo: a cosa è dovuta questa nuova popolarità?
«Dal 2015 la Federazione ha intrapreso un piano di sviluppo del calcio femminile: da un lato creare settori giovanili all’interno dei club professionistici maschili, partendo dal tesseramento di 20 bambine U12, dall’altro la possibilità per i club professionistici maschili di acquisire il titolo sportivo di una società dilettantistica femminile. In parallelo sono state create le nazionali U16 e U23 che si sono aggiunte alla U17, U19 e alla nazionale maggiore già esistenti, e sono stati attivati nuovi progetti dal settore giovanile scolastico a partire dalle bambine di 5 anni. Tutto questo ha portato a un aumento dei numeri alla base e una maggiore appetibilità dei club da parte di giocatrici straniere, perché trovano nei club professionistici brand riconoscibili, strutture e disponibilità economiche. Il mondiale del 2019 è sicuramente stato un volano importante, con la RAI che ha fatto registrare 24 milioni di telespettatori totali. A quel risultato si è arrivati grazie al lavoro svolto da tutte le componenti, e oggi il percorso di crescita prosegue puntando a nuovi importanti obiettivi».
Dalla stagione corrente la Serie A femminile è passata al professionismo. Cosa significa per una calciatrice della massima serie e per quelle che invece militano in quelle minori?
«Essere professioniste vuol dire essere riconosciute nel proprio lavoro con diritti, doveri e tutele: quindi contributi previdenziali e infortuni INAIL. Questo permette di poter ragionare sul calcio come lavoro e non in parallelo ad un’altra attività lavorativa, come lo era fino alla scorsa stagione per la serie A e lo è oggi per le giocatrici di categorie minori».
Qual è il futuro del movimento femminile del calcio italiano e quali sono le prospettive di crescita?
«La crescita del calcio femminile è testimoniata dai numeri. Tra il 2008 e il 2020 c’è stato un aumento del 66,5% delle tesserate totali in Italia e un ampliamento della base tra i 10 e i 15 anni di oltre il 93%. È in forte ascesa anche il numero degli spettatori, con picchi raggiunti con l’apertura dei grandi stadi in occasione della Women’s Champions League e di alcune partite di cartello. Il processo è appena iniziato e le prospettive di crescita sono ampie: basta guardare alle nazioni che hanno iniziato a investire nel calcio femminile prima di noi per avere un benchmark di riferimento. In Italia oggi contiamo poco più di 31.000 tesserate, mentre in Inghilterra sono oltre 120.000 mila e in Germania sfiorano le 200.000. E secondo uno studio della UEFA il calcio femminile continuerà a crescere aumentando il suo valore di sei volte nei prossimi 10 anni, quindi il potenziale è ancora tanto».
La prossima estate si giocheranno i Mondiali in Australia e Nuova Zelanda. Possono essere un’opportunità per suscitare interesse come lo furono quelli di Francia del 2019?
«Sicuramente le opportunità ci sono, perché il Mondiale di questa estate vuol essere “oltre la grandezza” così come recita il claim scelto dagli organizzatori. A oggi sono stati già venduti oltre mezzo milione di biglietti. La partita di apertura è stata spostata allo Stadium Australia, il più grande impianto di Sydney, per riuscire a soddisfare la richiesta di biglietti per la partita inaugurale. Il fuso orario di 10-12 ore non agevolerà forse il telespettatori in Italia, ma i presupposti per suscitare interesse e seguito anche da qui ci sono tutti».
In altri Paesi, come USA o Regno Unito, le calciatrici hanno appianato il gender gap con i colleghi maschi, almeno in nazionale. Quando potrà accadere lo stesso in Italia?
«In Italia il percorso di sviluppo è iniziato da pochi anni. Parlare oggi di appianare il gender gap penso sia prematuro, è importante proseguire nella crescita con grande senso di responsabilità e sostenibilità del sistema». ©
Articolo tratto dal numero del 1 marzo, per leggere il giornale abbonati!