Non usa mezzi termini Olivier Véran, Portavoce del Governo francese e Ministro delegato per il rinnovamento democratico. «Non critico la reazione delle piazze», dice il politico, ospite dell’incontro organizzato da il Bollettino con il Club Italia-Francia, in riferimento alla maratona di manifestazioni che stanno mettendo a ferro e fuoco il Paese d’Oltralpe contro la riforma delle pensioni.
La posizione precaria del Governo
A far traboccare il vaso dei cittadini sopra la testa del Governo e del Presidente Emmanuel Macron è l’applicazione dell’articolo 49, comma 3 della Costituzione, che consente di approvare un disegno di legge senza passare per l’Assemblea Nazionale. La decisione di Macron di esercitare questo potere, presa contro il volere di alcuni membri dello stesso Consiglio dei ministri, ha provocato un’immediata mozione di sfiducia alla Prima ministra Elizabeth Borne, evitata per soli 9 voti. Eppure, la riforma in questione, a occhi italiani, può non sembrare così controversa o pericolosa. Nello specifico, la legge alzerebbe l’età di pensionamento di due anni, dai 62 attuali a 64, con una salita graduale di 3 mesi per anno fino al 2030. Un provvedimento che, quando proposto in termini simili da noi «è passato in due ore di dibattito parlamentare».
Perché, dunque, una reazione simile? «Non elogio la modalità italiana né critico quella francese: noi abbiamo una grande tradizione di lotte sociali, dalla Seconda guerra mondiale a oggi, come è noto. Esse hanno permesso di ottenere dei risultati e per questo i francesi sono molto attaccati al modello previdenziale attuale». Insomma, una differenza di fondo nell’impostazione e nella forma di partecipazione politica, motivata anche da ragioni concrete. «Nel Paese abbiamo un livello di tassazione molto alto. E un popolo che paga molte imposte vuole che il denaro sia ben impiegato e gestito. Per questo, c’è un’attenzione molto forte della popolazione e questo tipo di riforma passa raramente senza movimenti sociali. Bisogna ascoltare queste proteste per capirle».
Una partecipazione a due velocità
Eppure, il nostro Paese presenta circostanze in apparenza simili: il cuneo fiscale si attesta al 46,5%, contro il 47% della Francia, ma con l’aggiunta della tassa nascosta dell’evasione. Quanto ai sindacati, sulla carta, non hanno niente da invidiare a quelli dei nostri cugini d’oltralpe: la sola CGIL conta ufficialmente 5 milioni di iscritti, più del doppio dei 2,4 milioni stimati sommando tutti i principali sindacati francesi. Ma allora, come spiegare una simile differenza di reazione, alla prova dei fatti? È una domanda che si pongono in molti da quando le proteste sono esplose, con alcuni che sembrano guardare persino con nostalgia alla situazione francese.
Una risposta univoca il ministro ammette di non averla: «Ignoravo che gli italiani guardassero con invidia alla situazione francese», dichiara. «Ma siamo in un momento cruciale per il nostro Paese: è fondamentale che, quando ci sono scioperi e manifestazioni, che si svolgano nel modo giusto. Quello che vediamo in questo caso è un principio di violenza, portata da estremisti che hanno sogni rivoluzionari e approfittano di ogni occasione per ricordarci che siamo un Paese che ha fatto la rivoluzione». Insomma, c’è poco da invidiare. «Bisogna stare attenti a non passare da una protesta sociale legittima, con scioperi e manifestazioni, a qualcosa di violento e pericoloso per la nazione».
Le differenze di sostanza
Il tema caldo delle pensioni, però, lascia spazio a un forte dibattito economico che vede coinvolto l’asse italo-francese. A partire dalla questione energetica: «Puntiamo al nucleare di nuova generazione e alle rinnovabili». Una dichiarazione che sembra rinforzare il confine che passa tra i due Paesi: loro puntati a un’indipendenza, noi bloccati da burocrazia e dibattiti decennali. A evidenziare la differenza finanziaria, invece, c’è il comparto del private equity e del venture capital, che in Francia vede raccolte decisamente superiori alla nostra e una visione smart che spinge su startup, innovazione e giovani. Un dato su tutti: in Italia, i dirigenti sotto i quarant’anni sono appena il 14% del totale; in Francia, quasi il 32%. Il rischio è la gerontocrazia. «La Francia non lo diventerà, specie per un aumento di due anni dell’età pensionabile».
Sul braccio di ferro per portare a Milano una delle tre corti centrali del nuovo Tribunale per il brevetto unitario (le altre due sono a Parigi e Monaco di Baviera), la Francia insieme alla Germania si mettono di traverso sulla dialettica delle competenze, perché?
«È una questione in cui decide l’Europa», glissa Véran, ma se c’è una volta in cui proprio non decide l’Europa è il Tribunale dei brevetti, essendo disciplinato da un trattato ad hoc, esterno al sistema dell’Unione Europea. Decidono gli Stati, tramite accordi e trattative, quindi si vedrà.
In compenso «abbiamo bisogno di avere dei campioni europei», afferma. Allora perché quando si trattava di far diventare Fincantieri (impegnata nel sud della Nazione sul progetto sulla fusione nucleare) un campione europeo con l’acquisizione già conclusa dei Chantiers de l’Atlantique di Saint Nazaire il governo francese si è messo di traverso e l’operazione è saltata? Nessuna risposta.
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