Nemmeno il PNRR sembra poter salvare gli stadi di calcio italiani. Il tentativo di inserire tra i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, finanziato dai fondi europei, le ristrutturazioni dell’Artemio Franchi di Firenze e del Pier Luigi Penzo di Venezia è fallito e le due strutture dovranno essere riqualificate in altro modo. Eppure, il problema dell’inadeguatezza degli impianti sportivi italiani continua a frenare il campionato di Serie A, senza che si riesca a trovare una soluzione.
Stadi in vendita, dall’Italia alla Francia
Da Milano a Roma, passando appunto per la Toscana e il Veneto, i progetti si impantanano in burocrazia, costi troppo alti e decisioni delle Soprintendenze ai beni culturali. Gli esempi virtuosi esistono, ma si tratta spesso di realtà provinciali, con l’unica eccezione della Juventus, che però ormai ha completato il proprio stadio da dieci anni.
Le grandi squadre italiane non sono però le uniche a dover fare i conti con impianti da ristrutturare o da acquistare. In Spagna, il Real Madrid sta portando avanti con successo un rifacimento del Santiago Bernabeu, che trasformerà l’arena in un impianto ad alto tasso di tecnologia. Intanto il Paris Saint Germain sta tentando invano di entrare in possesso di uno degli impianti parigini.
Dopo l’offerta, rifiutata dal comune della capitale francese, per il Parco dei Principi, ora il presidente del club Nasser Al-Khelaifi sta pensano allo Stade de France. Ma come mai tanto rumore per ottenere un impianto sportivo? Perché uno stadio può fare la differenza.
Nel mondo del calcio e dello sport di squadra in generale, rappresenta per una società una risorsa indispensabile per competere con la concorrenza. In un mondo sempre più dominato dai diritti televisivi, il ricavato della vendita dei biglietti rappresenta l’unica entrata alternativa ai soldi degli sponsor, per i club che vogliono ambire a grandi obiettivi nazionali ed europei. In Inghilterra, in media, una società ottiene dal proprio impianto sportivo il 25% del proprio fatturato. Va meglio in Spagna, dove questa percentuale sfiora un terzo del totale.
Quanto guadagnano dagli stadi le squadre di Serie A?
Soltanto il 13% circa del fatturato delle società di Serie A deriva dalla vendita dei biglietti e le ragioni principali di questo divario sono due. Una ha a che fare con il calo di presenze che affligge il nostro campionato ormai da anni. L’altra ha a che fare con le strutture stesse. Prima di tutto gli stadi italiani sono, salvo rare eccezioni, pubblici.
Non appartengono alle squadre che ci giocano, ma ai comuni in cui sono ubicati, ai quali i club non solo pagano l’affitto, ma spesso devono garantire di partecipare alla manutenzione della struttura. In Serie A soltanto Atalanta, Juventus e Udinese posseggono il proprio stadio.
Si aggiunge il Sassuolo, che però fa eccezione. I neroverdi infatti tecnicamente non sono proprietari del Mapei di Reggio Emilia, ma lo è appunto l’omonima azienda di costruzioni, che possiede anche la squadra di calcio. Quanto al Monza, invece, ha solo ottenuto una lunga concessione, ma il Brianteo, U-Power Stadium quando ci gioca la squadra di Berlusconi, è ancora tecnicamente del comune.
La maledizione di Italia ’90
Gli stadi italiani hanno poi un altro problema. Se scegliessimo di guardare a una città a caso tra quelle che ospitano una o più squadre di Serie A o di Serie B, troveremmo probabilmente un impianto costruito nei primi tre decenni del 1900. La struttura è in cemento, a volte porta i segni del secolo che ha attraversato, lo stile è quello omogeneo del razionalismo italiano.
Ha ampie curve lontane dal campo da gioco, una tribuna coperta e il resto degli spalti lasciato in balia degli elementi e, se è particolarmente sfortunato, una pista da atletica. Se è stato mai ristrutturato, gli ultimi grandi interventi risalgono agli anni ’80, in preparazione dei mondiali del 1990. Quest’impostazione di inizio ‘900 stona con il calcio moderno. Arene in stile razionalista, dominate dal cemento armato, con tre quarti degli spalti a cielo aperto, risultano anacronistiche al primo paragone con una qualsiasi struttura più recente.
Una considerazione ovvia, visto che hanno quasi un secolo, ma meno ovvio è che le squadre di calcio italiane siano ancora costrette a giocarci. Lo stadio Franchi di Firenze e il Penzo di Venezia sono solo due degli esempi più eclatanti. Il primo, in particolare, che ospita una squadra dalle ambizioni europee e dal seguito piuttosto ampio, tutt’altro che una provinciale, è stato al centro di numerosi tentativi di ammodernamento negli ultimi anni.
Gli ostacoli di ristrutturare uno stadio
Ma toccare il Franchi è quasi impossibile. Perché dal 1989 alcune parti della sua struttura, in particolare la Torre Maratona e le scale elicoidali che portano agli spalti, sono state dichiarate monumento nazionale e sono quindi protette dalla Soprintendenza ai beni culturali. L’ultima ristrutturazione, quella avvenuta per i mondiali del 1990, fu definita un «cinico massacro» delle bellezze architettoniche della struttura.
Negli anni successivi si sono sprecati i progetti di riqualificazione e i tentativi di costruire un nuovo stadio per la Fiorentina, tutti finiti nel nulla. Al centro di questi fallimenti sta l’impossibilità di abbattere il Franchi, proprio per la sua importanza architettonica riconosciuta dallo Stato.
Da un problema però, il valore storico dell’impianto avrebbe potuto trasformarsi in opportunità. Una parte del denaro del PNRR, fornito dall’Unione Europea, deve andare in progetti di riqualificazione di “grandi attrattori culturali”, e a quale progetto potrebbe calzare meglio questa descrizione che non a uno stadio?
Così, nel piano stilato dal governo compaiono 95 milioni di euro per ammodernare il Franchi senza rovinarne il prezioso patrimonio artistico. Una cifra considerevole, soprattutto dato che si tratta di una ristrutturazione. Per dare un metro di paragone, l’abbattimento del Delle Alpi di Torino e la successiva costruzione dello Juventus Stadium (ora Allianz Stadium) sono costati 150 milioni di euro, comprensivi dell’acquisto della concessione di 99 anni dell’area dal comune.
Ma i soldi pubblici hanno messo tutti d’accordo. Tutti tranne la Commissione Europea, che il 23 aprile 2023 ha bocciato sia il piano di ristrutturazione del Franchi che la “Città dello Sport” di Venezia. Nel caso del capoluogo veneto, lo stadio che avrebbe dovuto sostituire il Penzo sarebbe stato costruito ex novo, nel contesto di un più ampio polo che risolvesse i problemi delle strutture sportive della città lagunare. Costo totale: 300 milioni di euro, anch’essi rifiutati dall’Unione Europea. Il sindaco Brugnaro si dice intenzionato ad andare comunque avanti, ma l’assenza dei fondi di Bruxelles preoccupa.
Milano e la “Cattedrale”
Se la vicenda del Franchi pare complicata, quella dello stadio di Milano supera ogni aspettativa. Anche il Meazza di San Siro, dove oggi giocano Milan e Inter, è dell’inizio del 1900. A differenza del Franchi però, ha subito significativi interventi che ne hanno modificato la struttura rendendolo irriconoscibile. Negli anni ’70 è stato aggiunto il secondo anello di spalti e negli anni 80 un terzo anello assieme alla copertura completa, sostenuti entrambi dagli ormai iconici piloni a spirale.
Pur essendo un simbolo della città, il Meazza causa diversi grattacapi alle squadre che lo utilizzano. Oltre a essere di proprietà del comune, la struttura su cui poggia ha ormai 98 anni. Spesso succede che alcuni settori vengano chiusi per vibrazioni anomale, che richiedono controlli di sicurezza.
Da qui la necessità di passare ad un impianto più moderno, che rifletta le ambizioni dei club di Milano e si allinei con le più recenti tendenze in ambito di spettacolo sportivo. Nel 2017 nasce quindi il progetto, presentato da entrambi i club al comune, di abbattere San Siro e costruire un nuovo stadio. L’idea piace, lo studio Populous vince il bando e presenta “La Cattedrale”.
Lo studio di fattibilità però ridimensiona l’idea iniziale. Vale comunque 600 milioni di euro, anche se oggi le stime parlano di un costo che si avvicina di più agli 800 milioni. Ma negli anni le cose cambiano, soprattutto a livello societario. Il Milan è passato da un fondo americano ad un altro, da Elliott a RedBird, e la proprietà cinese dell’Inter ha raffreddato gli investimenti a causa del cambiamento delle politiche di Pechino e di alcuni problemi finanziari.
Così sul nuovo San Siro sono iniziati prima i tentennamenti, poi i ritardi, ai quali si sono affiancate le voci che volevano i rossoneri impazienti di costruire la propria nuova casa. Si è iniziato a vociferare di un abbandono della Cattedrale e di nuovi impianti in periferia. A San Donato, a Sesto San Giovanni, e poi proprio a San Siro, poi nella zona della Murata, affianco al Meazza.
Speranze a Roma
Ma la situazione resta nebulosa, anche se il progetto originale è ancora teoricamente in piedi. Il comune si sta spazientendo, e il sindaco Sala non perde occasione per ricordare alle due società gli impegni presi.
Nel frattempo, Populous ha progettato anche un altro degli stadi più attesi d’Italia, quello della Roma. Sono anni che i giallorossi tentano di costruire un proprio impianto per lasciare l’Olimpico, altro colosso dell’inizio del secolo scorso, ristrutturato innumerevoli volte ma che ormai sconta un divario incolmabile con le strutture più moderne.
Il nuovo impianto doveva sorgere a Tor del Valle, mentre ora l’ubicazione più probabile sembra la zona di Pietralta. Il costo dello stadio ammonta a oltre 260 milioni di euro, ma la realizzazione di tutte le aree circostanti farà lievitare il prezzo a quasi 530 milioni di euro.
Ciononostante, i lavori dovrebbero cominciare a breve, ma per entrambe le città più grandi d’Italia, l’orizzonte temporale di realizzazione dei nuovi stadi sembra ormai essersi spostato agli europei del 2032.
La questione dello Stade de France di Parigi
Tanti problemi per ristrutturare uno stadio sembrerebbero un fatto tutto italiano, ma proprio in questi giorni anche uno dei club più ricchi d’Europa sta vivendo una situazione simile a quella di Fiorentina, Milan, Inter e Roma. Il Paris Saint Germain vuole ristrutturare il Parco dei Principi, che fa da cornice alle sue partite casalinghe da quasi mezzo secolo.
Il PSG è la squadra che in assoluto ricava di più dal proprio stadio in Europa, più di 150 milioni di euro, il triplo della migliore delle italiane. Ma Nasser Al-Khelaifi, presidente dei parigini che guida della società da quando è stata acquistata dalla Qatar Investment Authority, vuole ampliare la sua capacità di ospitare tifosi, attualmente ferma a meno di 48.000 unità.
La struttura però non appartiene al PSG, ma al comune di Parigi, che non sembra voler concedere alla società l’autorizzazione di modificare lo stadio. Così Al-Khelaifi ha presentato un’offerta: 38 milioni di euro per acquisire la proprietà dell’impianto e poter finalmente realizzare una casa moderna per una squadra che punta da anni a vincere la Champions League.
Un’offerta più che adeguata secondo il presidente, ridicola secondo il comune che ha rifiutato. Invece di insistere, il PSG sembra aver deciso di cambiare interlocutore. A Parigi esiste infatti un altro grande stadio in uso, lo Stade de France, dedicato alle partite della nazionale. È di proprietà dello stato francese stesso, e può ospitare ben 81.000 spettatori. Proprio in quella direzione sembrano al momento volgersi le mire degli sceicchi qatarioti.
A chi guardare per il futuro: gli esempi in Italia
Gli esempi riportati sono quelli di chi ci prova, ma non ci riesce. Società ben intenzionate intrappolate dalla burocrazia, che finiscono per veder sfumare ogni tentativo di costruire una nuova casa alla propria squadra di calcio. Ma non tutti i tentativi vanno a vuoto e perfino in Italia ci sono diversi esempi di successo: fare uno stadio non è impossibile.
La prima a riuscirci è stata la Juventus. Il vecchio Stadio Delle Alpi era unico per tutti i motivi sbagliati. Pur essendo recente, era afflitto da tutti i difetti degli impianti più vecchi. Scomodo, con costi di gestione enormi, un affitto troppo pesante e troppi posti a sedere, che lo facevano sembrare perennemente mezzo vuoto.
Da qui la decisione, all’inizio degli anni 2000, di costruire una nuova casa alla Juventus. I lavori iniziano in concomitanza con la retrocessione del club in Serie B per lo scandalo Calciopoli, e terminano in tempo per la stagione 2011/2012, in cui i bianconeri torneranno campioni d’Italia, festeggiando nel nuovo impianto. Un investimento da 150 milioni di euro, che ha però portato stabilmente circa 40 milioni all’anno di ricavi fin da quando i diritti del nome sono stati venduti ad Allianz.
Gli altri due esempi di stadio di proprietà in Italia sono provinciali: la Dacia Arena di Udine e il Gewiss Stadium di Bergamo. La prima, tecnicamente ancora Stadio Friuli, è costata circa 25 milioni di euro, ma aveva la fortuna di basarsi su una struttura degli anni ’70, molto più recente di quella della maggioranza degli altri stadi italiani.
Nel caso dell’impianto di Bergamo invece, i lavori cominciati nel 2019 richiedevano l’abbattimento di buona parte della struttura originale. La squadra non ha voluto spostare la propria sede di gioco e quindi la costruzione dell’impianto si è svolta durante le pause estive dei campionati, a un ritmo piuttosto lento.
A partire dalla prossima stagione anche l’ultima curva, quella del settore ospiti, sarà abbattuta e rimpiazzata con una gradinata coperta che completerà lo stadio. Il tutto per un costo finale di realizzazione si aggirerà attorno ai 40 milioni di euro.
La Spagna all’avanguardia
Questi progetti sembrano all’avanguardia in Italia, ma in realtà inseguono soltanto quella che in Europa è la norma da anni. Davanti a tutti nel modo di intendere lo stadio di calcio ci sono al momento le due squadre di Madrid: Real e Atletico.
Entrambe per la ristrutturazione del proprio stadio sono partite da un concetto: 30 partite all’anno, quelle giocate in casa da una squadra, sono troppo poche per giustificare un investimento così importante come costruire o rinnovare uno stadio. L’impianto deve diventare il centro degli eventi della città in cui è ubicato. Così i Colchoneros per primi hanno abbandonato il Vicente Calderon, e ora giocano al Metropolitano. 270 milioni di euro di investimento e un obiettivo: tenerlo occupato per 250-300 giorni all’anno.
Non solo calcio e concerti, ma altre competizioni sportive, fiere e qualsiasi tipo di evento che attragga più di 10.000 persone. Ad oggi, circa il 15% dei ricavi del Metropolitano sono extra-calcistici. Ma il vero progetto principe di questa nuova politica sarà terminato a fine dell’anno: il nuovo Santiago Bernabeu, casa del Real Madrid.
Florentino Perez ha investito nella ristrutturazione dello storico stadio dei Blancos più di 570 milioni di euro, 360 dei quali sono già rientrati grazie alla vendita del 30% degli incassi per i prossimi 20 anni. Soldi andati in un progetto che costituirà la base per rendere lo stadio molto più di un campo di calcio: il prato infatti potrà essere retratto, nascosto in una serra sotterranea, per lasciare spazio ad altri tipi di pavimentazione.
Il nuovo Bernabeu potrà ospitare partite di tennis, basket, concerti, eventi di ogni tipo, e secondo alcune voci anche alcune partite di Football americano. L’obiettivo è rendere gli incassi della struttura una delle principali fonti di guadagno della società. La cifra che il progetto iniziale ha immaginato si aggirerebbe attorno ai 450 milioni all’anno dai soli eventi extracalcistici. ©
Matteo Runchi