giovedì, 25 Aprile 2024

Le banche in crisi si affidano alla corporate governance

DiMarco Battistone

15 Maggio 2023
Sommario
Corporate governance banche

Il sistema bancario globale è su una montagna russa. Dalla crisi negli Stati Uniti, a partire dal crollo di Silicon Valley Bank, a quella analoga scoppiata in Europa, per proseguire in un effetto domino che investe più player del settore. Il difetto comune è la mancanza di liquidità o capitali sufficienti per fronteggiare le maggiori esigenze prodotte dai rialzi dei tassi delle Banche Centrali. La FED prosegue nella stretta monetaria e mette in guardia contro un inasprimento degli standard di credito degli istituti.

«Per quanto incisiva possa essere l’azione delle autorità di vigilanza, non è tuttavia eliminabile il rischio che alcuni intermediari debbano fronteggiare situazioni di crisi», dice Giuseppe Siani, a capo del Dipartimento vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia.

Ma l’implementazione di procedure di vigilanza e corporate governance all’altezza dei rischi può essere uno strumento fondamentale. Viceversa, la situazione opposta può essere uno dei fattori dietro lo scoppio di un crac.

Giuseppe Siani, Banca d’Italia

«Il sistema di organizzazione e controllo degli intermediari ha sempre costituito un presidio essenziale per la loro stabilità ed efficienza, insieme ai requisiti patrimoniali e di liquidità. E la sua importanza è cresciuta con la maggiore complessità dell’attività bancaria». Una complessità che va di pari passo con l’innovazione tecnologica del settore e che produce ogni giorno nuove entità che sfidano quei confini entro i quali, tradizionalmente, si definiscono le banche.

Il sistema affronta questi aspetti in modo adeguato?

«Negli ultimi anni, in Italia la consapevolezza rispetto alle scelte di corporate governance e alla loro importanza è aumentata in modo crescente. Tuttavia, l’impressione è che molto si possa ancora fare, specialmente ora che la nuova attenzione dedicata ai fattori ESG (che misurano la sostenibilità ambientale, sociale e nella corporate governance) chiede a gran voce ulteriori interventi per correggere la sostenibilità di tutto il sistema, integrandovi i rischi climatici e ambientali».

A che punto siamo nell’implementazione di una corporate governance adeguata nel nostro sistema finanziario e bancario?

«In Italia negli anni sono state assunte molte iniziative. In primo luogo, le riforme delle banche popolari e di credito operativo hanno favorito un maggiore scrutinio sull’operato del management e accresciuto le possibilità di accesso al mercato dei capitali. Inoltre, la normativa europea e quella nazionale hanno poi fissato regole più stringenti, applicabili a tutte le banche, per assicurare l’adeguata composizione qualitativa e quantitativa dei board, garantire il corretto funzionamento degli organi, presidiare gli incentivi sottesi ai sistemi di remunerazione. In Italia sono stati anche innalzati in modo significativo gli standard qualitativi degli esponenti aziendali in termini di correttezza e professionalità, ma anche competenza, indipendenza e disponibilità di tempo. Abbiamo posto inoltre specifica attenzione alla funzionalità dei board e, in questo ambito, alla diversificazione dei loro componenti (per competenze, età, genere e provenienza geografica) in modo da favorire pluralità di approcci e prospettive nell’analisi dei problemi e nell’assunzione delle decisioni».

Quali sono le nuove sfide all’orizzonte su questo tema e come affrontarle adeguatamente?

«La diffusione delle tecnologie digitali ha avuto un impatto rilevante, rappresentando una grande opportunità per il sistema bancario, ma esponendolo a nuovi rischi, che devono essere individuati, compresi e gestiti in modo adeguato. Di questi temi si discute in numerose sedi nelle quali partecipiamo attivamente, consapevoli che la qualità degli organi di vertice incide sulla capacità degli intermediari di definire le strategie e i sistemi più appropriati per la gestione e il controllo dei rischi.

Vorrei innanzitutto ricordare i nostri Orientamenti, volti in primo luogo a migliorare la composizione e il funzionamento dei consigli di amministrazione delle banche medio-piccole (I orientamento), anche con riferimento alle competenze sul fronte IT. In secondo luogo, indirizzati al rafforzamento della funzione di controllo di secondo livello per la gestione dei rischi ICT, coerentemente con le prassi di vigilanza internazionali (II orientamento). Ulteriori stimoli deriveranno dall’adeguamento al Regolamento europeo DORA (Digital Operational Resilience Act), volto a promuovere la resilienza operativa digitale e la sicurezza del settore finanziario».

Il sistema finanziario cambia e i ruoli dei player di riferimento cambiano con esso. È possibile che in qualche modo soggetti che non sono ufficialmente e propriamente banche svolgano attività tipicamente bancarie, evitando quindi di dover soddisfare i requisiti connessi?

«Dal mio punto di vista, il problema non è tanto che soggetti non autorizzati svolgano attività bancaria: nel nostro Paese questa nozione è chiara e ci sono strumenti per evitare comportamenti abusivi. Piuttosto, inquadrerei il problema in termini di spostamento dei rischi verso l’intermediazione non bancaria e non finanziaria. Non è un fenomeno recente, ma nell’ultimo decennio sono aumentate frequenza e intensità con cui nuovi soggetti (es. Fintech, Bigtech) si inseriscono in segmenti tipici dell’attività bancaria o danno vita a nuove realtà difficilmente inquadrabili nei paradigmi tradizionali. Il mercato del credito è diventato più complesso anche per la molteplicità di attori che vi operano (banche, finanziarie, servicer, etc), sui quali resta alta la nostra attenzione.

In più, lo sviluppo di un mercato secondario del credito ha favorito la riduzione dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche, ma può determinare maggiori rischi di controparte, più complessi da monitorare perché tendono a estendersi oltre il normale perimetro di vigilanza. Al contempo, si intensifica il processo di esternalizzazione di funzioni aziendali da parte degli intermediari, specialmente di piccole o medie dimensioni; per la Vigilanza resta fondamentale verificare che questi siano comunque in grado di assicurare l’efficace presidio di tutti rischi, incluso quello di eccessiva dipendenza dai fornitori stessi. In alcuni casi la legislazione risponde all’innovazione estendendo il perimetro della supervisione e regolamentazione finanziaria (ad esempio, nei confronti dei gestori di piattaforme di crowdfunding); in altri casi, l’estensione si realizza, entro certi limiti, indirettamente attraverso i controlli che le autorità di vigilanza svolgono su attività e servizi esternalizzati».

Da un punto di vista più strettamente operativo, quale modalità di supervisione può essere la più efficace?

«Un tratto caratteristico della vigilanza in Italia è il grado di estensione anche al settore non bancario. Le competenze sono tra l’altro attribuite ad un unico Dipartimento della Banca d’Italia che vigila tanto sulle banche quanto sull’intermediazione non bancaria. All’Istituto sono assegnati anche compiti di stabilità finanziaria, supervisione sui mercati, sorveglianza sul sistema dei pagamenti, tutela della clientela e contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. A nostro avviso questa integrazione ha vantaggi rilevanti in termini di conoscenze, sinergie informative, efficacia dell’azione».

Un tipo di investimento ad alto rischio, ma non facilmente inquadrabile nell’attività bancaria e finanziaria sono le crypto: quali meccanismi sono stati attivati per prevenire abusi?

«Per quanto riguarda la recente diffusione delle criptovalute, l’Unione europea si è dimostrata reattiva con l’adozione di una regolamentazione sull’emissione e sull’offerta di stablecoin e utility tokens, nonché sulla fornitura di servizi relativi a queste cripto-attività (parliamo di Crypto nel servizio a pag 18). Il Comitato di Basilea ha stabilito uno standard per il loro trattamento prudenziale. La Banca d’Italia nel giugno scorso ha diffuso una comunicazione con indicazioni per l’industria e per gli utenti. Si tratta di risposte importanti, ma di certo non saranno le ultime».

A volte si ha l’impressione che per le imprese quotate la corporate governance sia un fattore maggiormente preso in considerazione (ad esempio nel Codice dedicato) che per imprese e banche non quotate…

«In linea generale, gli obblighi di adeguamento a set regolamentari più avanzati e complessi possono avere un costo elevato per i destinatari, che deve trovare giustificazione negli obiettivi che le norme perseguono.

Per le imprese quotate, la principale finalità è la tutela degli investitori nei mercati azionari e, con specifico riferimento alla disciplina della governance, la rilevanza che questa assume per una gestione trasparente ed efficace dell’impresa. Maggiori oneri sono controbilanciati da maggiori benefici sia per la singola società, sia per il corretto funzionamento del mercato dei capitali nel suo complesso. Per le banche, bisogna partire dall’assunto che si tratta di imprese particolari e che molteplici sono gli interessi generali da tutelare (corretta allocazione del credito, protezione dei depositanti, stabilità finanziaria complessiva). Ad esse si indirizzano quindi regole specifiche, anche in relazione ai profili della governance. Per molti aspetti, queste sono in linea con la disciplina applicabile alle società quotate. In alcuni casi la normativa di vigilanza risulta anche più stringente».

Quindi è necessario un approccio diversificato a seconda dei casi?

«Anche per il settore bancario si pone un’esigenza di proporzionalità nei presidi organizzativi e di controllo che tenga conto delle caratteristiche operative e dimensionali dei diversi intermediari. Vale il principio “one size does not fit all” (“una sola taglia non calza a tutti”, ndr), nella prospettiva di salvaguardare la diversificazione delle soluzioni organizzative nel sistema. Così facendo, e nel rispetto del principio della neutralità organizzativa dell’attività di vigilanza, si può puntare ad accrescerne la resilienza rispetto a shock esterni. Resta in ogni caso fondamentale che ciascun intermediario sia in grado di assicurare l’adeguata integrazione tra strategie perseguite, assetti organizzativi, sistemi di gestione e controllo dei rischi (secondo il Risk Appetite Framework – cd. RAF), presidi patrimoniali e di liquidità».

In che modo vi approcciate alle tematiche ESG, nella vigilanza?

«La transizione ecologica può generare nuove opportunità di business per il sistema bancario ma richiede un attento presidio dei rischi. È quindi alto l’impegno della comunità internazionale e numerose sono le sedi in cui si affronta questo tema. La Banca d’Italia ha intrapreso numerose attività di vigilanza nell’ultimo biennio. Nel 2021 è stato vagliato il grado di consapevolezza degli organi di governo sulle tematiche ESG. Nel 2022, la Banca d’Italia – come la BCE – ha pubblicato le “aspettative di vigilanza” relativamente all’integrazione dei fattori climatici e ambientali nella strategia, nella governance e nella gestione dei rischi degli intermediari. Contestualmente, ha anche svolto una prima indagine strutturata su un campione di banche medio-piccole. Nello stesso anno, ha partecipato allo stress-test climatico lanciato dalla BCE per valutare il grado di preparazione delle maggiori banche alla gestione di possibili shock finanziari ed economici connessi al rischio climatico».

Ad oggi, fino a che punto il rischio climatico è incluso e tenuto in considerazione dal sistema bancario?

«In generale, le banche italiane mostrano una diffusa e crescente consapevolezza sull’importanza della tematica per la sostenibilità dei propri modelli di business e stanno realizzando diverse iniziative per integrare i fattori ESG nella propria operatività. Tuttavia, nella fase attuale, la carenza di dati di sostenibilità, che spiega buona parte del ritardo nell’allineamento alle aspettative, rappresenta un ostacolo all’allocazione delle risorse verso la transizione ambientale. Un approccio al problema dei dati che imponga oneri esclusivamente sul sistema finanziario risulterebbe inefficace; si tratta di un tema ampio e complesso che investe anche gli obblighi di trasparenza delle imprese non finanziarie. Su questo ambito la Banca d’Italia non ha competenze dirette di vigilanza ma sta svolgendo comunque un ruolo di facilitatore tra i vari soggetti in campo per individuare le difficoltà a fornire idonee informazioni ESG e colmare i gap attuali con prassi e standard idonei a supportare efficacemente il processo di transizione».

In un sistema finanziario in evoluzione, come cambia invece il ruolo dell’Autorità di vigilanza?

«È indubbio che l’innovazione renda più complesso il ruolo della supervisione: il mercato registra l’ingresso di nuovi player, aumenta la concorrenza fra intermediari e allo stesso tempo diventano più intense e articolate le forme di collaborazione anche con imprese non finanziarie. Il perimetro di supervisione si modifica, mentre i rischi di natura non finanziaria (e.g. IT/cyber, dipendenza da outsourcers e/o terze parti) assumono rilevanza crescente. In tale contesto, gli intermediari sono chiamati a cogliere le opportunità dell’innovazione per porre solide basi per la “banca del futuro”.

La Banca d’Italia ha sempre promosso l’innovazione tecnologica nel sistema finanziario e monitorato che i rischi connessi siano adeguatamente individuati e gestiti. Ha inoltre assunto un ruolo attivo di stimolo e di propulsore per favorire la transizione, sviluppando diversi canali di comunicazione con il mercato (Canale Fintech, Milano Hub e la Sandbox regolamentare) per seguirne l’evoluzione, promuovere l’innovazione e comprendere meglio i rischi e i benefici di questi progetti».

Quali sono gli aspetti della normativa passibili di miglioramento?

«La regolamentazione sulla governance delle banche è stata rivista nel tempo, anche facendo tesoro delle esperienze maturate, e ha raggiunto standard avanzati sia in Europa, sia nel nostro Paese. Prima di valutare ulteriori interventi bisogna lasciare che le riforme possano esplicare appieno i loro effetti e valutarli; l’eccesso di produzione normativa può infatti creare costi ingiustificati e disorientare gli operatori. Riteniamo (più) utile in questa fase accompagnare il sistema nella corretta applicazione delle norme fornendo indicazioni sulle migliori prassi e sulle aspettative della Vigilanza.

Un’eccezione è l’ambito della gestione delle crisi, in cui la regolamentazione presenta indubbi margini di miglioramento. Per le banche non aventi rilevanza sistemica manca una disciplina armonizzata in grado di preservare la continuità aziendale e favorire l’uscita ordinata dal mercato della banca in crisi minimizzando i costi per la collettività. La Commissione Europea ha pubblicato una proposta di riforma in merito alla quale, tuttavia, ci sono posizioni diverse. L’Italia può avere un ruolo importante rappresentando le proprie posizioni, anche sulla base dei contributi tecnici che la Banca d’Italia continuerà ad assicurare durante il negoziato».                                            ©

Articolo tratto dal numero del 15 maggio 2023. Abbonati!

Studente, da sempre appassionato di temi finanziari, approdo a Il Bollettino all’inizio del 2021. Attualmente mi occupo di banche ed esteri, nonché di una rubrica video settimanale in cui tratto temi finanziari in formato "pop".