venerdì, 4 Ottobre 2024

Il prezzo del grano va a picco

Sommario
grano

L’incomprensibile andamento del mercato di pasta e grano fa impazzire un po’ tutti. Dalle associazioni dei consumatori fino a quelle di settore, e perfino tra le istituzioni governative. Tanto che lo scorso mese il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha deciso di convocare, tramite il Garante per la sorveglianza dei prezzi Benedetto Mineo, la Commissione di allerta rapida, per analizzare la dinamica del prezzo della pasta, che nel solo mese di marzo ha registrato un aumento del 17,5% rispetto al 2022. Aumento non in linea con le quotazioni del grano duro, che invece continuano a scendere a ritmi preoccupanti (-30% da maggio 2022).

«Se non si riconosce valore ad un prodotto che ha elevati standard qualitativi ma costi di produzione meno competitivi rispetto a Paesi esteri, sostenere la sovranità alimentare diventa uno slogan vuoto di significato», ha affermato il Presidente Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, nella riunione di aprile del Tavolo frumento duro presso il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste alla presenza del ministro Francesco Lollobrigida. Secondo l’Associazione, in Italia è sempre più a rischio la produzione agricola di grano duro (la più estesa per superficie nel Paese). Materia prima per un prodotto di eccellenza del Made in Italy come la pasta. Il prezzo continua, infatti, a sprofondare, con un crollo delle quotazioni, che si aggirano sui 380 euro a tonnellata. Mentre nello stesso periodo del 2022 erano a 550 euro a tonnellata.

I margini per le aziende agricole diventano esigui e finisce per essere a rischio la prossima stagione di semine. Come ci ha confermato Ivan Nardone, Responsabile Cereali Cia-Agricoltori Italiani. Allo stesso tempo stanno, invece, aumentando i prezzi dei prodotti trasformati all’interno della filiera. Con le esportazioni che sono cresciute al ritmo del +5% nel 2022, per un valore totale di 3,7 miliardi. La pasta, ad esempio, i cui acquisti mondiali sono quasi raddoppiati in 10 anni passando da 9 a circa 17 milioni di tonnellate, ha visto il suo prezzo medio salire a circa 2,13 euro al chilo. Con un incremento del +25,3% rispetto allo scorso anno, quando si attestava mediamente a 1,70 euro.

Il nostro Paese, come si può facilmente immaginare, è il più grande consumatore (oltre che produttore), con 23 chili all’anno pro-capite. Nonostante ciò, oltre la metà dell’intera produzione nazionale (circa il 61%, per essere più precisi) è destinata ai mercati esteri. Lo scorso anno abbiamo esportato pasta per 3,7 miliardi di euro, corrispondenti a 2,4 tonnellate. Sulla questione si è espresso anche il Codacons. Inviando un esposto all’Autorità per la concorrenza e all’ICQRF-Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, istituito presso il Masaf. L’associazione per la tutela dei consumatori chiede di indagare sulle anomalie che si registrano in Italia sul fronte dei listini al dettaglio della pasta.

«Il grano duro per la pasta – scrive l’ente – viene pagato in Italia circa 36 centesimi al chilo ad un valore che non copre i costi di produzione. Ed è inferiore di oltre il 30% rispetto allo stesso periodo nello scorso anno, mentre il prezzo della pasta è aumentato il doppio dell’inflazione. Una distorsione che appare chiara anche dall’andamento dei prezzi medi al consumo, che secondo l’Osservatorio del Ministero del Made in Italy variano per la pasta da 2,3 euro al chilo di Milano a 2,2 euro al chilo di Roma, da 1,85 di Napoli a 1,49 euro al chilo di Palermo. Mentre le quotazioni del grano sono pressoché uniformi lungo tutta la Penisola.

Già in passato il settore della pasta è stato oggetto di gravi speculazioni. Tant’è che l’Agcm (Autorità garante della concorrenza e del mercato, ndr) nel 2009 intervenne, su impulso della segnalazione del Codacons, e sanzionò il 90% delle aziende che producevano pasta e le associazioni di categoria con una multa complessiva di poco inferiore ai 12,5 milioni di euro, per quello che considerò un cartello nella determinazione del prezzo dei loro prodotti».

Tornando al grano, per riequilibrare la catena del valore, oggi troppo penalizzante per gli agricoltori, sarà dunque necessario mettere in campo una serie di azioni strutturali. Cia pone l’attenzione sulla valorizzazione dell’origine del prodotto e chiede maggiori risorse da investire sui contratti di filiera che favoriscano le produzioni domestiche, incentivando la coltivazione del grano duro Made in Italy. Per una strategia di medio/lungo periodo sono, inoltre, necessari forti investimenti in ricerca, al fine di aumentare le rese e favorire produzioni sempre più sostenibili anche in chiave ambientale.

Il rafforzamento della filiera aumenterebbe così gli investimenti dei nostri produttori e ridimensionerebbe il ricorso all’import. Secondo Fini, bisognerebbe dare una forte spinta propulsiva al comparto e ridurre drasticamente la dipendenza dal prodotto estero. Per implementare l’autosufficienza nazionale e aiutare le aziende a produrre più grano della qualità richiesta dall’industria molitoria, occorre lavorare sulla trasparenza dei prezzi con il ripristino della CUN (Commissione Unica Nazionale), favorendo il dialogo interprofessionale. È allo stesso tempo necessaria l’istituzione del Registro Telematico dei Cereali, che prevederà azioni di contrasto ai fenomeni speculativi.

Si devono, infine, studiare con Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) nuovi strumenti che certifichino i costi di produzione del grano duro. Ma i problemi relativi al grano non affliggono soltanto l’Italia. Parallelamente infatti, Polonia, Ungheria, Slovacchia e Bulgaria hanno vietato temporaneamente le importazioni che stanno distorcendo i rispettivi mercati nazionali, abbassando i prezzi a discapito degli agricoltori e delle produzioni locali. In questo caso il nodo della faccenda riguarda in particolar modo le importazioni di grano proveniente dall’Ucraina, non soggetto ad alcun tipo di dazio doganale. In seguito alla guerra con la Russia e al blocco di alcuni porti sul Mar Nero, infatti, ingenti quantita di grano ucraino (decisamente più economico di quello europeo) si sono riversate nei Paesi dell’UE, alterando l’intero mercato.

Eppure, il Parlamento europeo ha dato il suo via libera all’estensione per un altro anno della sospensione dei dazi sulle esportazioni nell’Ue di prodotti agricoli ucraini. Ad intervenire qui è stata però la Commissione Europea, cercando una soluzione per permettere l’ingresso di questi cereali nei principali Paesi dell’Est dove è stato temporaneamente bloccato. «Convincere l’Unione europea a imporre dazi sul grano ucraino è e sarà un compito molto difficile”, ha affermato il ministro polacco Telus. «Bruxelles parla di sanzioni contro la Russia, e d’altra parte finge di non sapere che molto grano che arriva in Europa è probabilmente russo, e non ucraino».

Ma un accordo tra l’Europa e queste regioni è stato raggiunto. E prevede aiuti d’emergenza per 100 milioni di euro per i loro agricoltori (oltre ai 56,3 milioni già stanziati) e che il grano ucraino entri nei loro territori, ma a patto che vi transiti soltanto. «Compenseremo con l’Unione Europea quello che i produttori stanno perdendo», ha detto il Presidente Volodymyr Zelens’kyj. «Siamo già parte dell’Europa, dobbiamo aiutarci come sul grano».  Alla fine dello scorso anno, le esportazioni di settore dell’Ucraina verso il mercato UE sono cresciute di circa 6 miliardi (+88%). Superando i 13 miliardi di euro. Attualmente è diventata il terzo fornitore di prodotti agroalimentari nell’intera Unione Europea, scavalcando persino gli Stati Uniti.

Quali sono nell’ultimo periodo i prezzi del grano?

«Ci sono state forti precipitazioni dei prezzi del grano, soprattutto negli ultimi mesi. Ora siamo intorno ai 350 euro a tonnellata. si tratta di un calo molto significativo sulle quotazioni del grano duro su base annua. Parliamo di una volatilità tale che il prezzo è stato quasi  dimezzato (-30%), rispetto allo scorso anno, quando era di circa 550 euro a tonnellata. Abbiamo subito forti decrementi soprattutto negli ultimi mesi».

A cosa è dovuto questo calo?

«In parte sicuramente all’aumento delle importazioni, legato anche alla maggiore disponibilità del primo Paese produttore al mondo: il Canada. L’anno scorso, al contrario, aveva avuto seri problemi di siccità e quindi aveva dimezzato la propria produzione e di conseguenza le esportazioni. Però questo non basta ancora per giustificare un crollo del prezzo del grano nazionale così pesante come quello che stiamo subendo in questo momento.

Anche perché c’è da dire che lo scorso raccolto in Italia non è stato positivo, abbiamo prodotto poco. Circa 3,2 milioni di tonnellate, contro una media che arrivava anche a 4. Quindi, secondo le leggi di mercato il prezzo sarebbe dovuto aumentare, ma  questo non è accaduto. Facciamo dunque davvero fatica a comprendere il motivo di questa forte diminuzione. Anche perché allo stesso tempo c’è una forte domanda di pasta fatta con grano al 100% italiano e i consumi continuano ad aumentare in tutto il mondo».

Quali sono le prospettive nel breve termine?

«In previsione, il raccolto di quest’anno dovrebbe essere abbastanza buono, sicuramente migliore di quello del 2022. Le condizioni climatiche ci sembrano favorevoli o comunque non tali da destare preoccupazioni. Visto che si stima un aumento della produzione, l’unico vero timore da parte degli agricoltori è che il prezzo del grano possa scendere ulteriormente. Anche al di sotto dei costi produttivi.

Costi, questi ultimi, che sono in continuo aumento, complici la guerra Russia-Ucraina, l’inflazione e quindi i rincari delle materie necessarie al comparto per sopravvivere. Abbiamo calcolato che, mediamente,  siamo passati da 1100 euro per ettaro di costi di produzione a 1400. Con i prezzi attuali, la situazione è critica e potrebbe spingere gli addetti al settore a non seminare, o seminare meno, il prossimo autunno. Sarebbe un duro colpo per l’intera economia italiana, che vede nel grano duro la prima coltura per superficie a livello nazionale».

Come si potrebbe intervenire per sostenere il settore?

«C’è bisogno di una manovra per garantire una maggiore trasparenza sui prezzi. Magari anche attraverso il ripristino di uno strumento molto utile che si chiamava Commissione sperimentale nazionale del grano duro (C.S.N. Grano Duro), che è scaduta a novembre e non è stata rinnovata. Si trattava di una commissione istituita dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali su richiesta della filiera. composta in maniera paritetica dalle due categorie dei venditori e degli acquirenti.

I Commissari della C.S.N. Grano duro erano designati dalle organizzazioni professionali e dalle associazioni di categoria rappresentative dei produttori agricoli, della cooperazione agricola e agroalimentare, dell’industria di trasformazione, del commercio e della distribuzione, assicurando il principio di pluralità e proporzionalità. Un suo ripristino potrebbe essere d’aiuto alla filiera. Così come anche il riconoscimento dei costi medi di produzione ai cerealicoltori e maggiori controlli sull’etichettatura, l’istituzione della CUN del grano duro, il potenziamento dei contratti di filiera tra agricoltori e industria, oltre all’avvio immediato del Registro Telematico dei Cereali».

Cia-Agricoltori Italiani ha lanciato una petizione per salvare il grano nazionale, in cosa consiste?

«Si tratta di una raccolta firme per la tutela e la valorizzazione del cereale e della pasta Made in Italy, per dire no alle speculazioni commerciali messe in atto sulla pelle dei produttori e dei consumatori, come alle importazioni incontrollate dall’estero e al falso grano straniero spacciato per italiano. Un’azione necessaria, a contrasto delle principali cause della crisi che sta investendo le aziende del settore, tra crollo vertiginoso del valore riconosciuto al grano duro italiano e insostenibili costi di produzione.

Ѐ per porre fine a tutto ciò che Cia lancia il suo appello alla mobilitazione nazionale. Come ho detto, il grano duro è di gran lunga la prima coltura tricolore. L’Italia è in cima alla classifica europea per produzione e solo una posizione sotto a livello mondiale. Eppure, nonostante la sua vocazione, resta anche il secondo Paese importatore al mondo, dove i grani esteri, a differenza di quelli italiani, seguono standard qualitativi e di salubrità inferiori, nonché costi di produzione molto più bassi, fino a determinare, cosa ancora peggiore, il prezzo del cereale simbolo del Made in Italy. Invitiamo dunque fortemente i consumatori a sostenere questa petizione».

Oltre ai motivi già citati, perché è importante continuare a produrre grano italiano?

«Questo tipo di coltivazione è importante per tantissime ragioni. In molte aree della nostra penisola, ad esempio, non ci sono alternative per gli agricoltori. Proprio perché è una coltura rustica, che richiede poca acqua e resiste alla siccità.

Se si dovesse smettere di produrre  significherebbe la desertificazione di alcune zone del nostro Paese, con conseguenze dal punto di vista ambientale, economico, sociale, ma anche, e non è meno importante, paesaggistico. Speriamo dunque vivamente di non ridurre ulteriormente la produzione, perché già importiamo il 25/30% del fabbisogno. Speriamo di non aumentare la dipendenza dall’estero per un prodotto che è alla base di un simbolo del Made in Italy come la pasta». ©

Articolo tratto dal numero del 1 giugno 2023. Abbonati!

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